CODICE DELLA RESPONSABILITA’ DEGLI ENTI
D.LGS. 231/01
ANNOTATO CON LA GIURISPRUDENZA - LA RELAZIONE MINISTERIALE
E CON
IL CORRELATO TESTO DELLE NORMATIVE DI RIFERIMENTO
AGGIORNATO ALLA L. 68/2015 IN MATERIA DI DELITTI CONTRO L'AMBIENTE
AGGIORNATO ALLA L. 69/2015 IN MATERIA DI REATI SOCIETARI
di Michele CATTADORI
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X EDIZIONE
2015
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Decreto legislativo - 08/06/2001, n. 231 - Gazzetta Ufficiale 19 giugno 2001, n. 140
Epigrafe
Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, a norma dell'articolo 11 della legge 29 settembre 2000, n. 300.
IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
Visti gli articoli 76 e 87 della Costituzione;
Visto l'articolo 14 della legge 23 agosto 1988, n. 400;
Visti gli articoli 11 e 14 della legge 29 settembre 2000, n. 300, che delega il Governo ad adottare, entro otto mesi dalla sua entrata in vigore, un decreto legislativo avente ad oggetto la disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche e delle società, associazioni od enti privi di personalità giuridica che non svolgono funzioni di rilievo costituzionale secondo i principi e criteri direttivi contenuti nell'articolo 11;
Vista la preliminare deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione dell'11 aprile 2001;
Acquisiti i pareri delle competenti commissioni permanenti del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati, a norma dell'articolo 14, comma 1, della citata legge 29 settembre 2000, n. 300;
Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 2 maggio 2001;
Sulla proposta del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato e del commercio con l'estero, con il Ministro per le politiche comunitarie e con il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica;
Emana il seguente decreto legislativo:
RESPONSABILITÀ AMMINISTRATIVA DELL'ENTE
Principi generali e criteri di attribuzione della responsabilità amministrativa
- Relazione Ministeriale al Decreto:
1: "...la persona giuridica è ormai considerata "quale autonomo centro d'interessi e di rapporti giuridici, punto di riferimento di precetti di varia natura, e matrice di decisioni ed attività dei soggetti che operano in nome, per conto o comunque nell'interesse dell'ente". E non si vede perché l'equiparazione tra enti e persone fisiche non debba spingersi ad investire anche l'area dei comportamenti penalmente rilevanti..."
1.1 La natura giuridica della responsabilità:"...appare ormai recessiva una concezione "psicologica" della colpevolezza, che ne esaurisce cioè il contenuto nel legame psicologico tra autore e fatto; di contro, la rinnovata idea di una colpevolezza intesa (in senso normativo) come rimproverabilità sembra perfettamente attagliarsi al fenomeno...
...Potrebbe anzi affermarsi che proprio la mancata previsione di una forma di responsabilità della persona giuridica in relazione a comportamenti in linea o comunque discendenti dalla politica aziendale, in uno con il suaccennato costume di rinnovare frequentemente e sistematicamente i centri di imputazione formali all'interno della stessa, si risolvesse - paradossalmente - nell'aggiramento di quel principio di "responsabilità personale" che ha rappresentato la remora più sensibile all'adozione da parte dell'Italia di nuovi modelli sanzionatori.
Ciò nondimeno, il legislatore delegante ha preferito, comprensibilmente, ispirarsi a maggior cautela, ed ha optato per un tipo di responsabilità amministrativa.
In proposito, appare tuttavia necessario fare da subito una puntualizzazione. Tale responsabilità, poiché conseguente da reato e legata (per espressa volontà della legge delega) alle garanzie del processo penale, diverge in non pochi punti dal paradigma di illecito amministrativo ormai classicamente desunto dalla L. 689 del 1981. Con la conseguenza di dar luogo alla nascita di un tertium genus che coniuga i tratti essenziali del sistema penale e di quello amministrativo nel tentativo di contemperare le ragioni dell'efficacia preventiva con quelle, ancor più ineludibili, della massima garanzia."
3 Principi generali: "...il nuovo sistema di responsabilità sanzionatoria, pur essendo formalmente ascritto all'ambito dell'illecito amministrativo, reclama alcuni aggiustamenti rispetto all'insieme dei principi enucleabile dalla c.d parte generale della legge 689/1981. Ciò, in considerazione non soltanto della peculiarità dei soggetti suoi destinatari (enti e non persone fisiche), ma soprattutto della distinta impronta penalistica che lo segna e che deriva dall'essere comunque costruito in dipendenza della verificazione di un reato. Si aggiunga la gravità delle conseguenze che la legge delega fa derivare dalla commissione dell'illecito, conseguenze che possono spingersi fino alla chiusura definitiva dello stabilimento o all'interdizione definitiva dall'attività, sanzioni capitali per l'ente; si comprenderà, allora, come in questo settore appaia più che mai viva l'esigenza, già diffusamente avvertita (soprattutto dagli organi di giustizia europei), di omogeneizzare i sistemi di responsabilità amministrativa e di responsabilità penale all'insegna delle massime garanzie previste per quest'ultimo, spingendo verso la nascita di un sistema punitivo che - nel caso degli enti - rappresenta senza dubbio un tertium genus rispetto ad entrambi. D'altro canto, la tendenza più generale, forse irreversibile, spinge ormai verso la progressiva assimilazione dei due modelli, che tendono a confluire in una sorta di diritto sanzionatorio unitario, soprattutto in materia economica..."
- Giurisprudenza:
- Natura giuridica della responsabilità dell'ente - Giurisdizione italiana -
· Natura giuridica della responsabilità dell'ente:
· L'ampiezza e il rigore normativo nella definizione dei criteri di imputazione della responsabilità dell'ente rivela l'autonomia del titolo di responsabilità dell'ente rispetto a quello della persona fisica incolpata del reato presupposto. D'altra parte, il carattere sostanzialmente punitivo di tale forma di responsabilità si traduce anche nell'operatività di un onere probatorio per l'accusa con riguardo a ciascuno degli elementi costitutivi della fattispecie dell'illecito penale, poiché, a prescindere dalle problematiche connesse alla relativa qualificazione, la responsabilità dell'ente ha carattere punitivo; ciò impone, in adesione ai principi costituzionali, la piena estensione delle garanzie sostanziali e processuali. In altre parole, il d.lg. n. 231/2001 sanziona un comportamento dell'ente diverso e autonomo da quello riferibile all'autore del reato presupposto e non mira a introdurre forme di sanzioni ulteriori (rispetto al sistema delle pene) per la persona fisica, che è autore del reato. Trib. Milano, 28 aprile 2008, in Foro ambrosiano 2008, 3, 329.
· La cd. "colpa dell'organizzazione" risulta provata in caso di assenza di modelli organizzativi idonei a prevenire reati della specie di quelli accertati a carico dell'amministratore (concussione), adeguatamente monitorati da un Organismo di Vigilanza. Trib. Milano, 28 aprile 2008, in Foro ambrosiano 2008, 3, 329
· Il d.lg. 231/01 ha introdotto una responsabilità da illecito avente natura composita che presuppone un reato ma ha natura amministrativa, in quanto privo delle caratteristiche formali tipiche del reato. L' ente chiamato a rispondere di tale illecito difetta dunque di soggettività penale, invero espressamente definita amministrativa agli art. 1 e 55 d.lg. 231/01 e nella l. 146/06, e risponde per una responsabilità diretta per il fatto proprio (ex art. 2043 c.c. e non ex art. 2049 c.c.) ma di natura amministrativa, sol che si pensi al sistema sanzionatorio così particolarmente atteggiato da prevedere la confisca come sanzione principale invece di misura di sicurezza patrimoniale. Indice della natura amministrativa della responsabilità dell' ente ex d.lg. 231/01 è - oltre alla mancanza delle caratteristiche strutturali - il fatto che la definizione di reato riporta a sanzioni tipiche. L'argomentazione secondo cui la natura dell'illecito "de quo" ha natura sostanzialmente penale non può inferire anche l'assimilazione formale in tale senso, attesi i principi di legalità, tipicità, tassatività e del divieto di analogia che governano il sistema penale. Uff. Indagini preliminari Milano 18 gennaio 2008, in Foro ambrosiano 2008, 2, 207.
· Nell'ambito della criminalità d'impresa, qualora ricorrano i presupposti della responsabilità della persona fisica e della responsabilità amministrativa dell'ente si verte in ipotesi di responsabilità cumulativa dell'individuo e dell'ente collettivo, sussistendo un nesso tra le due forme di responsabilità che, pur non identificandosi con la figura tecnica del concorso, a essa è equiparabile, in quanto da un'unica azione criminosa scaturiscono una pluralità di responsabilità. Da ciò consegue che il sequestro preventivo funzionale alla confisca per valore ben può incidere contemporaneamente sia sulle persone fisiche indagate per il reato presupposto sia sull'ente societario che ha tratto profitto dal reato (nella specie, relativa al reato presupposto di corruzione attiva, in base, rispettivamente, al combinato disposto degli art. 321, comma 2, c.p.p. e 322 ter c.p. e degli art. 19 e 53 d.lg. 8 giugno 2001 n. 231): infatti, deve trovare applicazione il principio solidaristico che informa lo schema concorsuale in forza del quale il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente può interessare indifferentemente ciascuno dei soggetti indagati anche per l'intera entità del profitto accertato, con l'unico limite che il vincolo cautelare d'indisponibilità non deve essere esorbitante, nel senso che non deve eccedere, nel complesso, il valore del profitto, e non deve determinare ingiustificate duplicazioni, posto che dalla unicità del reato non può che derivare l'unicità del profitto. (Nella specie, peraltro, la Corte ha annullato con rinvio l'ordinanza "de libertate" in tema di sequestro preventivo, giacché, a fronte di una misura cautelare adottata contestualmente nei confronti delle persone fisiche indagate per il reato presupposto e dell'ente chiamato a rispondere dell'illecito amministrativo, non risultava affatto chiarito se il vincolo cautelare così come imposto si fosse sostanziato o no in una duplicazione, totale o parziale, nel caso da ritenersi illegittima e tale da giustificare una revoca, totale o parziale, del sequestro). Cassazione penale, sez. VI, 06 febbraio 2009, n. 19764, Guida al diritto 2009, 26, 82 (s.m.).
· È pacifico che il d.lg. 231/2001 ha introdotto un illecito risarcibile ex art. 2043 c.c. che consegue ad una responsabilità da fatto proprio e non da fatto altrui (art. 2049 c.c.), responsabilità più volte definita nel corpo del decreto come 'dipendente da reato', ma il cui accertamento è autonomo ai sensi dell'art. 8 d.lg. 231/2001 da quello del reato presupposto. I due accertamenti sono concentrati nella giurisdizione penale, alla luce dell'archetipo normativo delineato dall'art. 24 l. 689/81, che rimane indicativo della necessità di concentrazione (pur essendo la responsabilità prevista dalla l. 689/81 di carattere solidale, mentre quella nascente dal d.lg. 231/01 una responsabilità diretta). Inoltre, la concentrazione determina una giurisdizione esclusiva in capo al giudice penale che risponde all'applicazione dei principi costituzionali del diritto di difesa, del giusto processo, dell'unità della giurisdizione. Gli argomenti sopra indicati non consentono di addivenire ad una declaratoria di inammissibilità dell'azione risarcitoria neppure in caso si voglia riconoscere la natura non esclusiva della giurisdizione penale a conoscere anche dell'illecito amministrativo, a fronte dell'assenza di qualsiasi appiglio normativo di segno contrario e posto che l'unicità della competenza del giudice civile non trova alcun fondamento costituzionale, sistematico e letterale. La lettura del combinato disposto degli art. 185 c.p. e 74 c.p.p., che in senso strettamente letterale legittimano attivamente il danneggiato da reato e passivamente l'imputato ed il responsabile civile, deve essere fatta alla luce dell'art. 35 d.lg. 231/01 che ritiene applicabili le norme processuali dettate a favore dell'imputato anche all' ente . Inoltre, l'art. 34 d.lg. 231/01 rinvia all'applicabilità delle norme del codice di rito penale e delle disposizioni d'attuazione 'in quanto compatibili. Uff. Indagini preliminari Milano 05 febbraio 2008, in Foro ambrosiano 2008, 2, 219 (s.m.) nota di: Bellingardi.
· Il legislatore con il d.lg. 231/2001 costruisce un modello punitivo che ha quale destinatario l'ente come realtà autonomamente identificabile e distinta rispetto alla persona fisica: per cui non può mai assumersi che l'immedesimazione nell'ente da parte dell'amministratore, autore del reato presupposto, possa in alcuni specifici casi essere totale, cosicché l' interesse o il vantaggio dell'uno possa essere ritenuto interesse o vantaggio dell'altro. Trib. Milano, 28 aprile 2008, in Foro ambrosiano 2008, 3, 329.
· Giurisdizione italiana:
· La mancata adozione del modello organizzativo definito compliance program non costituisce di per sé un illecito, essendo l'adozione del programma una causa di esclusione della responsabilità per colpa della società in caso di reati commessi dai soggetti nella posizione di cui all'art. 5 comma 1 d.lg. n. 231 del 2001. È pacifico che anche una società straniera ha l'obbligo di osservare la legge italiana quando opera in Italia, come nel caso di specie, con la conseguenza della piena giurisdizione italiana sia in ordine alla valutazione dei presupposti applicativi della legge vigente in Italia, sia in ordine all'applicazione delle sanzioni o delle misure interdittive. Trib. Milano, 28 ottobre 2004, in Dir. comm. internaz. 2006, 3-4, 805 (s.m.). nota di: BARIATTI.
Art. 1
Soggetti
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1. Il presente decreto legislativo disciplina la responsabilità degli enti per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato.
2. Le disposizioni in esso previste si applicano agli enti forniti di personalità giuridica e alle società e associazioni anche prive di personalità giuridica. [27]
3. Non si applicano allo Stato, agli enti pubblici territoriali, agli altri enti pubblici non economici nonché agli enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale.
- Relazione Ministeriale al Decreto:
2: "...Innanzitutto, l'inequivoca volontà della delega di estendere la responsabilità anche a soggetti sprovvisti di personalità giuridica ha suggerito l'uso del termine "ente" piuttosto che "persona giuridica" (il segno linguistico avrebbe dovuto essere dilatato troppo al di là della sua capacità semantica).
Quanto poi agli enti "a soggettività privata" non dotati di personalità giuridica, la scelta ben si comprende da un punto di vista di politica legislativa, dal momento che si tratta dei soggetti che, potendo più agevolmente sottrarsi ai controlli statali, sono a "maggior rischio" di attività illecite ed attorno ai quali appare dunque ingiustificato creare vere e proprie zone di immunità.
... Infine, si noti che le precise indicazioni della delega, fedelmente riprodotte nello schema di decreto legislativo, hanno indotto ad escludere gli "enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale", tra cui sembrano rientrare anche i partiti politici ed i sindacati (questi ultimi sguarniti di personalità giuridica, vista la nota, mancata attuazione dell'art. 39 Cost.), dando così luogo ad una zona franca giustificabile soltanto alla luce delle delicate conseguenze che produrrebbe l'impatto, su questi soggetti, delle sanzioni interdittive previste dal nuovo impianto legislativo.
Quanto invece agli enti dotati di soggettività pubblica, come si è detto, la legge delega obbliga ad escludere espressamente "lo Stato e gli altri enti che esercitano pubblici poteri". Va peraltro da sé l'ampliamento dell'esclusione prevista per lo Stato, a comprendere anche gli enti pubblici territoriali (Regioni, Province,Comuni): oltre ad avere la titolarità di poteri tipicamente pubblicistici (si pensi alle attribuzioni delle Regioni in materia legislativa), l'equiparazione di questi enti allo Stato è suggerita da ragioni di ordine sistematico (ci si riferisce al disposto dell'art. 197 c.p., in tema di obbligazione delle persone giuridiche per la pena pecuniaria) e, più in generale, da una esigenza di ragionevolezza nelle scelte legislative.
L'esclusione degli "enti che esercitano pubblici poteri" preclude poi senz'altro la riferibilità dell'impianto normativo alle singole Pubbliche Amministrazioni: e ciò, anche a ritenere che le stesse non siano direttamente riconducibili al concetto di Stato, in quanto sue indispensabili articolazioni.
Viceversa, enti a soggettività pubblica, e tuttavia privi di poteri pubblici, sono i c.d. enti pubblici economici, i quali agiscono iure privatorum e che, per questa ragione, meritano una equiparazione agli enti a soggettività privata anche sotto il profilo della responsabilità amministrativa derivante da reato. Nessuna obiezione (pratica o teorica), dunque, all'inserimento degli stessi nel novero dei destinatari del sistema.
Tra l'uno e l'altro estremo, peraltro, la locuzione "enti pubblici che esercitano pubblici poteri" lascia residuare ampie zone d'ombra.
Costituisce infatti un dato acquisito che da tale nozione esulano, accanto agli enti pubblici economici, numerosi altri enti pubblici.
Alcuni di questi (pochi) sono enti pubblici associativi, dotati sostanzialmente di una disciplina negoziale, ma a cui le leggi speciali hanno assegnato natura pubblicistica per ragioni contingenti (ACI, CRI, ecc.). Ma la categoria più significativa concerne gli enti pubblici che erogano un pubblico servizio, tra cui le Istituzioni di assistenza e, soprattutto, le Aziende ospedaliere, le scuole e le Università pubbliche, ecc.
... Non si può nascondere infatti che, a prima vista, il dettato della delega sembrerebbe imporre l'inclusione di tutti questi enti nel novero dei destinatari delle disposizioni del decreto legislativo; il dato testuale parrebbe cioè prevedere l'assoggettamento alla disciplina sanzionatoria come la regola: rispetto ad essa, le eccezioni andrebbero contenute nei limiti dello stretto indispensabile. Quanto agli enti associativi, tuttavia, essi sono oggi soggetti ad una forte tendenza alla privatizzazione che presumibilmente ne comporterà l'estinzione entro breve termine. Pertanto - e salvo pure quanto verrà aggiunto di seguito - l'estensione della responsabilità a questi soggetti avrebbe comportato un costo probabilmente non compensato da adeguati benefici: il che risulta evidente ove si consideri che la dottrina pubblicistica non è affatto concorde nel tracciare la linea di distinzione tra questa categoria e gli enti pubblici associativi c.d. istituzionali (come gli Ordini e i collegi professionali), per i quali valgono considerazioni analoghe a quelle che saranno esposte immediatamente di seguito per gli enti pubblici esercenti un pubblico servizio. ...consentono di ritenere con ragionevole certezza che il legislatore delegante avesse di mira la repressione di comportamenti illeciti nello svolgimento di attività di natura squisitamente economica, e cioè assistite da fini di profitto. Con la conseguenza di escludere tutti quegli enti pubblici che, seppure sprovvisti di pubblici poteri, perseguono e curano interessi pubblici prescindendo da finalità lucrative.
Un'ultima precisazione. Il rilievo da ultimo svolto potrebbe indurre a ritenere irragionevole l'inclusione nel sistema degli enti a soggettività privata, che tuttavia svolgano un pubblico servizio (in virtù di una concessione, convenzione, parificazione o analogo atto amministrativo). Al di là del fatto che, in questi enti, la finalità di natura pubblicistica non esclude il movente economico (sommandosi ad esso), l'assoggettabilità degli stessi alla disciplina dello schema appare implicitamente ammessa dallo stesso legislatore delegante, nella lettera l), n. 3) del comma 1, che sembrerebbe richiamarsi proprio a tale categoria laddove, nel caso di interdizione, prevede l'esercizio vicario dell'attività se la prosecuzione di quest'ultima "è necessaria per evitare pregiudizi a terzi.
... il legislatore delegante avesse di mira la repressione di comportamenti illeciti nello svolgimento di attività di natura squisitamente economica, e cioè assistite da fini di profitto. Con la conseguenza di escludere tutti quegli enti pubblici che, seppure sprovvisti di pubblici poteri, perseguono e curano interessi pubblici prescindendo da finalità lucrative.
... il dato testuale (della legge delega) parrebbe cioè prevedere l'assoggettamento alla disciplina sanzionatoria come la regola: rispetto ad essa, le eccezioni andrebbero contenute nei limiti dello stretto indispensabile".
- Giurisprudenza:
- Ambito d'applicazione - Modello organizzativo -
· Ambito d'applicazione - Società di Capitali:
· Le società per azioni costituite per svolgere, secondo criteri di economicità, le funzioni in materia di raccolta e smaltimento dei rifiuti trasferite alle stesse da un ente pubblico territoriale (cosiddette società d'ambito), sono soggette alla normativa in materia di responsabilità da reato degli enti. Cass. Pen., sez. III, n. 234 del 26 ottobre 2010. In CED 2010; Cass. Pen. 2011, 5, 1907, s.m. - con nota di: Cugini-.
· "...E' indubbio che la disciplina dettata dal D.Lgs. 231/01 sia senz'altro applicabile alle società a responsabilità limitata c.c. "unipersonali". ... Una lettura costituzionalmente orientata della norma in esame dovrebbe indurre a conferire al disposto di cui al comma 2 dell'art. 1 del D. L.vo in parola una portata più ampia, tanto più che, non cogliendosi nel testo alcun cenno riguardante le imprese individuali, la loro mancata indicazione non equivale ad esclusione, ma, semmai ad una implicita inclusione dell'area dei destinatari della norma. Una loro esclusione potrebbe infatti porsi in conflitto con norme costituzionali - oltre che sotto il riferito aspetto della disparità di trattamento -anche in termini di irragionevolezza del sistema". Cass. Pen., sez. III, n. 15657/2011, CED Cass. Pen. 2011. (massima non ufficiale www.Codice231.com).
· Società di capitali a scopo mutualistico:
· In forza del disposto dell'art. 1 D.Lgs 231/01, le società cooperative a responsabilità limitata sono assoggettate al d.lgs 231/01. Massima non ufficiale - www.Codice231.com. Cass. Pen., sez. VI, n. 32627 del 23 giugno -2 ottobre 2006, La Fiorita, in Guida al Dir. n. 42/2006,, p.61, nota: G.Amato; Corr. Trib. 2007, p. 43, nota: P.Corso; Cass. Pen., 2007, p. 80, nota: Renzetti; D. & G., n. 41/2006, p. 54, nota: F.Spagnolo.
· Società di persone:
· In forza del disposto dell'art. 1 D.Lgs 231/01, alle società in accomandita semplice è applicabile la normativa sulla responsabilità "da reato" degli enti. Cass. Pen., sez. VI, n. 36083 del 9 luglio-17 settembre 2009.
· Società Tra Professionisti - Società Multidisciplinari:
· Gli studi professionali (nel caso de quo, uno studio odontoiatrico costituito sotto forma giuridica di società in accomandita semplice), sono assoggettabili alla disciplina del decreto 231 del 2001. Cass. Pen., sez. II, n. 4703 del 24.11.2011 -dep. 7.02.2012- (conferma GIP Messina 4.03.2011). Massima non ufficiale - www.Codice231.com. in Corr. Merito, 2012, p.4, con nota di G. Lunghini e di S. Rapizza; in Lav. Giur., 2012, p.473, con nota di F. Stancapiano, in Resp. Amm. Soc. n. 3/2012, p.49, con nota di C. Santoriello; Diritto.it 2012, con nota di F. Vitale
· Lo studio associato (nel caso de quo, uno studio di dottori commercialisti), sono assoggettabili alla disciplina del decreto 231 del 2001.
La commissione del reato presupposto di riciclaggio, ex art. 648-bis c.p., da parte di un componente della associazione professionale determina la responsabilità professionale dello studio associato che abbia omesso di adottare ed efficacemente attuare modelli di organizzazione, gestione e controllo idonei a prevenire reati ex d.lgs 231/01. Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano 5 novembre 2013 (avviso ex 415-bis c.p.p.). Massima non ufficiale - www.Codice231.com
· Imprese individuali:
· Le norme sulla responsabilità da reato degli enti si applicano anche alle imprese individuali, che devono ritenersi incluse nella nozione di ente fornito di personalità giuridica utilizzata dall'art. 1, comma secondo, D.Lgs. n. 231 del 2001 per identificare i destinatari delle suddette disposizioni. Cass. n. 15657 del 15.12.2010. in CED 2011; in Società 2011, 9, 1075, nota di Paliero; in Triv. Trim. Dir. Pen. Economia, 2011, 4, 952.
· Il d.lg. 8 giugno 2001 n. 321, nel disciplinare la responsabilità degli enti per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato, si riferisce unicamente agli "enti", termine che evoca l'intero spettro dei soggetti di diritto metaindividuale. Le disposizioni in esso previste non si applicano, pertanto, alle imprese individuali. Correttamente, quindi, il g.i.p. ha respinto la richiesta presentata dal p.m., a norma dell'art. 45 del cit. d.lg., di applicazione ad un imprenditore individuale della misura cautelare dell'interdizione dall'esercizio dell'attività (di impresa) per la durata di un anno ed il tribunale ha rigettato l'appello proposto dal p.m.. Cass. pen., sez. VI, n. 18941 del 03 marzo 2004, Rv. 228833. In Riv. dottori comm. 2004, 905, nota di: Troyer; CED Cass. pen.. Conf. Cass. Pen., sez. VI, n. 30085 del 16.05-23.07.2012, Rv. 252995. In Ced Cass. Pen.
· "...Come si desume dalla lettera e dalla ratio della normativa. Il presupposto logico cui è necessariamente subordinata tale responsabilità è, infatti, la possibilità di una distinzione soggettiva fra l'ente e l'autore del reato, mentre non può essere individuata a carico della ditta o dell'impresa individuale una soggettività giuridica che, per quanto in modo elementare e non tale da assurgere alla personalità giuridica, sia comunque autonoma da quella dell'imprenditore che ne è titolare". Tribunale di Roma, 30 maggio 2003, in Merito, 2004, 57.
· Enti privati che svolgono un servizio pubblico:
· Le società per azioni costituite per svolgere, secondo criteri di economicità, le funzioni in materia di raccolta e smaltimento dei rifiuti trasferite alle stesse da un ente pubblico territoriale (cosiddette società d'ambito), sono soggette alla normativa in materia di responsabilità da reato degli enti. Cass. Pen., sez. III, n. 234 del 26 ottobre 2010. In CED 2010; Cass. Pen. 2011, 5, 1907, s.m.(con nota di Cugini).
· Enti pubblici economici (enti a soggettività pubblica che agiscono iure privatorum):
· La Corte ha precisato che la natura pubblicistica di un ente è condizione necessaria, ma non sufficiente, per esonerarlo dalla responsabilità da reato ex d. lgs. n. 231 del 2001, dovendo altresì concorrere la condizione che lo stesso ente non svolga attività economica. Conseguentemente i giudici di legittimità hanno riconosciuto la configurabilità della suddetta responsabilità nei confronti di un ente ospedaliero costituito come società a capitale "misto", pubblico e privato. Cass. pen., sez. II, n. 28699 del 9 luglio 2010. CED Cass. pen.
· Enti a partecipazione publica:
· Gli enti pubblici che svolgono attività economica e le società commerciali a capitale "misto", pubblico e privato, che svolgono servizi pubblici rispondono dei reati commessi nel loro interesse o vantaggio ai sensi delle disposizioni del d.lg. 8 giugno 2001 n. 231. Cass. Pen., sez. II, n. 28699 del 9 luglio 2010, in CED.
· È assoggettabile all'applicazione del d.lg. 8 giugno 2001 n. 231, avente a oggetto la disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, anche un ente ospedaliero operante in forma di società per azioni, pur se partecipato al 51% da capitale pubblico. Cass. Pen., sez. II, n. 28699 del 9 luglio 2010, in Giuda al Diritto 2010, 38, 93.
· Enti con fini ideali o altruistici: Associazioni (riconosciute e non) e fondazioni:
· La responsabilità amministrativa dipendente da reato riguarda anche le fondazioni atteso che l'art. 1 comma 2 d.lg. 231/01 estende l'applicabilità delle disposizioni in esso contenute agli enti forniti di personalità giuridica, alle società e alle associazioni prive di personalità giuridica. Conferma indiretta si ricava anche dall'art. 27 del citato decreto che, nello stabilire che dell'obbligazione per il pagamento della sanzione pecuniaria risponde soltanto l'ente con il suo patrimonio, sembra fare diretto riferimento proprio alle fondazioni posto che nella sistematica del codice civile il richiamo al patrimonio rimanda, oltre che alle strutture societarie e alle associazioni non riconosciute, proprio alle fondazioni. Tib. Milano, sez. XI, 26 giugno 2008, in Foro ambrosiano 2008, 3, 335.
· Anche le O.N.LU.S. sono assoggettate alla responsabilità amministrativa degli enti, essendo che detta normativa si applica anche agli enti non commerciali. Massima non ufficiale - www.Codice231.com. G.U.P. Tribunale Milano, n. 820 del 3.04.2011. caso: Croce San Carlo O.N.L.U.S.
· In presenza di un reato presupposto (nel caso de quo, truffa aggravata in danno di ente pubblico) l'Associazione Volontaria di Pubblica Assistenza O.N.L.U.S. è assoggettata al D.Lgs 231/01. Massima non ufficiale - www.Codice231.com. G.U.P. Tribunale Milano, 30.03.2011. in Dir. Pen. Cont., 2011, nota: M.M. Scoletta.
· A.T.I. Associaizone temporanea d'Impresa:
· Anche le A.T.I. Associaizoni temporanee d'Impresa sono assoggettate alla responsabilità amministrativa degli enti. Massima non ufficiale - www.Codice231.com. Cass. Pen. SS.UU. n. 26654 del 2 luglio 2008, che conferma G.U.P. Napoli 26.06.2007.
· Gruppo di società e holding:
· La Corte, affrontando per la prima volta il tema, ha affermato che la società capogruppo può essere chiamata a rispondere, ai sensi del d. lgs. n. 231 del 2001, per il reato commesso nell'ambito dell'attività di altra società del gruppo, purchè nella sua consumazione concorra una persona fisica che agisca per conto della holding perseguendo anche l'interesse di quest'ultima. Cass. Pen., sez. V, n. 24583/2011. CED Cass. Pen.
· Nell'ambito di un gruppo di società, l'attività corruttiva posta in essere dall'amministratore della controllante, al fine di ottenere l'aggiudicazione o il rinnovo di un appalto di servizi in favore di una controllata, implica la responsabilità amministrativa della controllante ex art. 5 d.lg. 8 giugno 2001 n. 231, in quanto preordinata al soddisfacimento dell'interesse di gruppo. Tribunale Milano, 20 settembre 2004, in Foro it. 2005, 10,528.
· Società straniere operanti in italia:
· La disciplina del d.lg. n. 231 del 2001 si applica anche alle persone giuridiche straniere che operano in Italia: pertanto, la circostanza che la legge del paese, dove ha sede la società nei confronti della quale il provvedimento cautelare interdittivo viene richiesto non preveda nè sanzioni interdittive, nè l'obbligo di adottare i precisi modelli organizzativi e di controllo delineati dalla legge italiana, non consente di ritenere che il provvedimento di interdizione richiesto dal p.m. esorbiti i limiti spaziali della giurisdizione italiana. Tribunale Milano, 27 aprile 2004, in Riv. dottori comm. 2004, 904 (nota di: Troyer), in Foro Italiano, 2004, II, 434.
· Miscellanea:
· Ai fini della prova dell'esistenza di una società di fatto tra una pluralità di persone, pur essendo elementi essenziali del contratto di società, nei rapporti interni, ai sensi dell'art. 2247 c.c., la costituzione di un fondo comune e la cosiddetta affectio societatis, cioè la volontà di esercitare in comune una determinata attività economica e la conseguente costituzione di un fondo comune vincolato all'esercizio collettivo di tale attività, nei rapporti esterni, l'esistenza del vincolo sociale può desumersi dalla sua mera esteriorizzazione, tratta anche da manifestazioni comportamentali rivelatrici di una struttura sovraindividuale indiscutibilmente consociativa, assunti non per la loro autonoma valenza, ma quali elementi apparenti e rilevatori, sulla base di una prova logica, dei fattori essenziali di un rapporto di società nella gestione dell'azienda. Deriva, da quanto precede, pertanto, che ove l'esistenza di una tale società sia dedotta dall'amministrazione delle finanze ai fini fiscali l'ufficio finanziario non ha alcun obbligo di provare i rapporti interni tra i soci e, in particolare, la trasformazione dei beni in comunione a patrintonio sociale autonomo, la divisione degli utili, la percezione di somme da parte dei soci. Cassazione civile, sez. trib., 20 gennaio 2006, Guida al diritto, 2006, 15, 58 (s.m.) -nota di: Galdieri-.
· Il fallimento della società configura un'ipotesi in tutto assimilabile negli effetti alla morte del reo e, pertanto, l'illecito amministrativo dipendente da reato va dichiarato estinto, non potendosi configurare una successione processuale della curatela rispetto alla società fallita. Uff. Indagini preliminari Palermo, n. 48 del 22 gennaio 2007, in Foro it. 2008, 4, 258, in Riv. pen. 2008, 7-8, 797 (s.m.) -nota di: Di Fresco-.
· In tema di responsabilità da reato degli enti è escluso che il fallimento della società determini l'estinzione dell'illecito previsto dal d. lgs. n. 231 del 2001 o delle sanzioni irrogate a seguito del suo accertamento. (In motivazione la Corte, nell'annullare con rinvio la sentenza impugnata, ha precisato che l'instaurazione della procedura concorsuale non integra una situazione assimilabile a quella della morte dell'autore del reato, come invece sostenuto dal giudice del merito), -Annulla con rinvio, Gip Trib. Roma, 09/01/2012 -. Cass. pen., sez. VI, 26 settembre 2012, n. 44842. In CED Cass. Pen. 2012; Cass. Pen., sez. V, 16.11.2012, n. 4335. In Ced. Cass. Pen. 2012.
· Modello organizzativo:
· Nel corso di un procedimento per l'accertamento dell'illecito amministrativo ai sensi del d.lg. 8 giugno 2001 n. 231, il modello organizzativo adottato da una società partecipante a gare di appalto per la realizzazione di opere pubbliche non può essere considerato idoneo a prevenire i reati contro il patrimonio pubblico e dunque ad evitare in astratto l'applicazione della misura cautelare interdittiva del divieto di contrattare con la p.a., qualora non dedichi specifica considerazione all'area operativa dell'azienda nella quale sarebbe stato commesso il reato per cui si procede, non garantisca effettive autonomia e indipendenza all'organismo di controllo e non preveda, in deroga all'art. 2388 c.c., una maggioranza qualificata del consiglio di amministrazione per la sua modifica. Tribunale Roma, 04 aprile 2003, Foro it. 2004, II, 317.
· Nel corso di un procedimento per l'accertamento dell'illecito amministrativo ai sensi del d.lg. 8 giugno 2001 n. 231, è consentito al giudice delle indagini preliminari nominare un perito per valutare l'idoneità a prevenire i reati di un modello organizzativo aziendale, adottato dalla società indagata dopo la commissione del fatto e invocato per evitare l'applicazione di misure cautelari interdittive. Tribunale Roma, 22 novembre 2002, Foro it. 2004, II, 318.
· In tema di responsabilità degli enti dipendente da reato, non è consentito al giudice, nel revocare la misura cautelare interdittiva, imporre all'ente l'adozione coattiva di modelli organizzativi. Cass. Pen. 2 ottobre 2006, n. 32627, r.v. 235638.
· La valutazione della sussistenza delle esigenze cautelari che costituiscono, insieme al fumus commissi delicti, il presupposto per l'applicazione delle misure cautelari interdittive a carico dell'ente, implica l'esame di due tipologie di elementi: la prima, di carattere oggettivo ed attinente alle specifiche modalità e circostanze di fatto, può essere evidenziata dalla gravità dell'illecito e dall'entità del profitto; l'altra ha natura soggettiva ed attinenente alla personalità dell'ente, e per il suo accertamento devono considerarsi la politica d'impresa attuata negli anni, gli eventuali illeciti commessi in precedenza e soprattutto lo stato di organizzazione dell'ente. (La Corte ha precisato che, nell'ipotesi di responsabilità derivante da condotte poste in essere dai dirigenti dell'ente, la sostituzione o l'estromissione degli amministratori coinvolti possono portare a escludere la sussistenza del periculum, purchè ciò rappresenti il sintomo del fatto che l'ente inizia a muoversi verso un diverso tipo di organizzazione, orientata nel senso della prevenzione dei reati). Cass. Pen. 2 ottobre 2006, n. 32626, r.v. 235634
Art. 2
Principio di legalità
* * *
1. L'ente non può essere ritenuto responsabile per un fatto costituente reato se la sua responsabilità amministrativa in relazione a quel reato e le relative sanzioni non sono espressamente previste da una legge entrata in vigore prima della commissione del fatto.
- Relazione Ministeriale al Decreto:
3.1 Principio di legalità: "Un sistema siffatto non poteva dunque che replicare da entrambi i modelli, quello penale e quello amministrativo, il fondamentale principio di legalità (nelle sue accezioni di riserva di legge, tassatività e irretroattività), ovviamente plasmandone la formulazione sulla peculiarità della materia (art. 2).
E' appena il caso di richiamare l'attenzione sulla circostanza che la legalità qui investe un duplice profilo: l'affermazione della responsabilità amministrativa dell'ente e - a monte - l'assetto penale di disciplina in conseguenza del quale tale responsabilità è prevista.
Quanto al primo aspetto, si noti inoltre come la norma curi espressamente l'estensione del principio, oltre che all'affermazione della responsabilità, altresì alle sanzioni che ne discendono. Si anticipa sin d'ora che la scelta trova una fedele rispondenza nelle restanti norme dell'articolato laddove reca una disciplina puntuale dei presupposti applicativi di ciascun tipo di sanzione, sia nella parte generale in tema di scelta e di commisurazione delle stesse, sia nelle disposizioni dedicate alla previsione della responsabilità amministrativa in conseguenza della commissione dei singoli reati."
- Giurisprudenza:
- Natura giuridica della responsabilità dell'ente - Principio di legalità - tassatività - Miscellanea.
· Natura giuridica della responsabilità dell'ente:
· L'espresso richiamo del principio contenuto nell'art. 2 c.p. effettuato dall'art. 2 D.Lgs 231/01 è inequivocalbimente esplicativo della natura giuridica penale della responsabilità dell'ente. Ratio espressa da: G.I.P., Dr.ssa Panasiti, Tribunale di Milano, ord. 9.07.2009 (caso: "Telecom"), in Cass. Pen., 2010, p. 768. Nota: P.Balducci in Foro Ambr., 2009, p. 288, D.Pulitanò, M.Zanchetti.
· Principio di legalità - tassatività:
· L'elencazione dei reati presupposto, p. e p. ex D.Lgs 231/01, è, ex art. 2 D.Lgs 231/01, tassativa e, quindi, non è suscettibile di integrazione a mezzo della contestazione di delitti equipollenti o della artificiosa frammentazione di elementi costitutivi del delitto ocmposto. Ratio espressa da: G.U.P. Tribunale di Milano, 3.11.2010 (caso: "Deloitte"), in Corr. Merito, 2011, p. 285.
· Il principio di legalità subordina l'applicazione delle misure sanzionatorie ad una previsione legislativa espressa, sia in ordine all'illecito sia in relazione al tipo di sanzione, precisando che debba essere entrata in vigore prima della commissione del fatto. È la commissione del fatto che deve essere presa in considerazione al fine di accertare l'applicabilità della sanzione. E' il momento consumativo del reato che rileva ai fini dell'applicazione delle sanzioni previste dal D.Lgs. n. 231 del 2001. Il momento di realizzazione del profitto è del tutto irrilevante a questi fini, in quanto esso costituisce solo l'oggetto della sanzione-confisca, che ha il suo presupposto nell'esistenza, appunto, del reato accertato con sentenza. Cass. Pen., sez. VI, n. 14564 del 18.01.2011. in CED.
· Qualora il reato commesso nell'interesse o a vantaggio di un ente non rientri tra quelli che fondano la responsabilità ex D.Lgs. n. 231 del 2001 di quest'ultimo, ma la relativa fattispecie ne contenga o assorba altra che invece è inserita nei cataloghi dei reati presupposto della stessa, non è possibile procedere alla scomposizione del reato complesso o di quello assorbente al fine di configurare la responsabilità della persona giuridica. (Fattispecie relativa all'annullamento del provvedimento di sequestro preventivo a fini di confisca del profitto del reato di truffa aggravata ai danni dello Stato contestato ad una società in seguito alla sua enucleazione da quello di frode fiscale contestato invece agli amministratori della medesima). Cass. Pen., sez. II, n. 41488 del 29.09.2009, in CED. Conf. Cass. SS.UU. n. 34476/2011, in CED.
· Principio di legalità - irretroattività delle norme penali incriminatrici:
· Relativamente al reato di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche (art. 640 bis c.p.), quando le somme siano erogate in più rate si verte in ipotesi di reato a consumazione prolungata, che inizia con la percezione della prima rata e si conclude con la ricezione dell'ultima rata del finanziamento. Tale ricostruzione, peraltro, può rilevare ai fini della prescrizione del reato, ma non anche per consentire di applicare la confisca per equivalente (e, quindi, il sequestro preventivo a tale confisca finalizzato), introdotta a seguito dell'entrata in vigore dell'art. 19 d.lg. 8 giugno 2001 n. 231, anche in relazione alle somme percepite anteriormente a tale entrata in vigore, ostandovi una lettura costituzionalmente orientata del divieto di retroattività della norma penale e di quella che introduce violazioni amministrative (del resto, sul punto, il disposto dell'art. 2 d.lg. n. 231 del 2001, che prevede il principio di legalità in materia di responsabilità amministrativa degli enti, con divieto di retroattività della norma che introduce illeciti o sanzioni). Cass. pen., sez. II, n. 316 del 21 dicembre 2006, Guida al diritto 2007, 8, 94 (s.m.).
· Il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente di cose non pertinenti al reato non è applicabile, in ragione della natura sanzionatoria di tale forma di confisca, nei confronti delle persone giuridiche per fatti-reato commessi in data anteriore all'entrata in vigore della normativa sulla responsabilità amministrativa da reato. Cass. Pen., sez. II, n. 3629 del 12/12/2006, Rv. 235814. CED Cass. Pen..
· Miscellanea:
· Il delitto di falsità nelle relazioni e nelle comunicazioni delle società di revisione, già previsto dall'abrogato art. 174-bis D.Lgs. n. 58 del 1998 ed ora configurato dall'art. 27 D.Lgs. n. 39 del 2010, non è richiamato nei cataloghi dei reati presupposto della responsabilità da reato degli enti che non menzionano le surrichiamate disposizioni e conseguentemente non può costituire il fondamento della suddetta responsabilità. (In motivazione la Corte ha altresì precisato che anche l'analoga fattispecie prevista dall'art. 2624 cod. civ., norma già inserita nei suddetti cataloghi, non può essere più considerata fonte della menzionata responsabilità atteso che il D.Lgs. n. 39 del 2010 ha provveduto ad abrogare anche il citato articolo). Leggasi altresì in parte motiva: "Il delitto di cui all'art. 174-bis non è incluso nell'elenco dei reati previsti dall'art. 25 ter d. lgs. n. 231 del 2001". Cass. Sez. Un., n. 34476 del 23/06/2011 Cc. (dep. 22/09/2011 ) Rv. 250347. in Ced Cass. Pen.
· In tema di responsabilità da reato degli enti, la sanzione della confisca del profitto del reato presupposto è applicabile esclusivamente quando la data di consumazione di quest'ultimo è successiva a quella dell'entrata in vigore del D.Lgs. n. 231 del 2001, risultando invece irrilevante il momento in cui il suddetto profitto è stato in tutto in parte effettivamente conseguito. (Fattispecie relativa al sequestro preventivo a fini di confisca del profitto del reato di corruzione, perfezionatosi, in ragione della consegna dell'utilità oggetto dell'accordo corruttivo, dopo l'entrata in vigore della normativa istitutiva della responsabilità da reato degli enti). Cass.n. 14564 del 18.01.2011, in CED 2011.
· Il sequestro preventivo, funzionale alla confisca per equivalente, previsto dall'art. 19, comma secondo, del D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231 , non può essere disposto sui beni immobili appartenenti alla persona giuridica ove si proceda per le violazioni finanziarie commesse dal legale rappresentante della società, atteso che gli artt. 24 e ss. del citato D.Lgs. non prevedono i reati fiscali tra le fattispecie in grado di giustificare l'adozione del provvedimento, con esclusione dell'ipotesi in cui la struttura aziendale costituisca un apparato fittizio utilizzato dal reo per commettere gli illeciti. Rigetta, Trib. Salerno, 14/12/2011. Cass. Pen., sez. III, 14 giugno 2012, n. 25774. In CED Cass. Pen.
Art. 3
Successione di leggi
* * *
1. L'ente non può essere ritenuto responsabile per un fatto che secondo una legge posteriore non costituisce più reato o in relazione al quale non è più prevista la responsabilità amministrativa dell'ente, e, se vi è stata condanna, ne cessano l'esecuzione e gli effetti giuridici.
2. Se la legge del tempo in cui è stato commesso l'illecito e le successive sono diverse, si applica quella le cui disposizioni sono più favorevoli, salvo che sia intervenuta pronuncia irrevocabile.
3. Le disposizioni dei commi 1 e 2 non si applicano se si tratta di leggi eccezionali o temporanee.
- Relazione Ministeriale al Decreto:
3.1 La successione delle leggi: “…Una novità tutta di ispirazione penalistica rispetto al paradigma della l. 689 (che la ignora) è invece rappresentata dalla disciplina della successione di leggi, di cui all'art. 3 dello schema. Appare infatti evidente la matrice della disposizione, parzialmente ricalcata sull'art. 2 del codice penale; la sua opportunità nel merito deriva dall'incisività delle nuove sanzioni, tale da meritare all'ente la stessa disciplina di favore prevista nei confronti dell'imputato persona fisica.
Premesso che non si è ritenuto necessario ribadire il divieto di retroattività, già desumibile dall'articolo 2, è stata invece disciplinata l'ipotesi di abolitio, in cui la responsabilità dell'ente viene meno con il reato in relazione al quale essa era prevista, oppure perché è stata abrogata direttamente la disposizione che ricollega ad un reato (che permane) la suddetta responsabilità amministrativa. In entrambi i casi, il venir meno del giudizio di disvalore da parte dell'ordinamento avrebbe reso irragionevole il permanere della responsabilità in capo all'ente. Lo stretto legame tra responsabilità dell'ente e commissione di un reato implica poi che la medesima disciplina valga anche nel caso di sopravvenuta depenalizzazione di quest'ultimo, sebbene in tal caso la permanenza di un giudizio di disvalore da parte dell'ordinamento, in teoria, avrebbe potuto suggerire una diversa soluzione (nel senso della continuità. La delega non sembrava comunque consentire tale opzione).
Mentre nel caso di abolitio non è previsto alcuno sbarramento alla produzione dell'effetto favorevole per l'ente, più contenuto - esattamente come nel penale - l'effetto retroattivo in bonam partem nel caso di semplice successione di leggi, dove il limite invalicabile è segnato dal passaggio in giudicato della sentenza: qui, tuttavia, il fenomeno riguarda più da vicino soltanto le modifiche della legge che prevede la responsabilità amministrativa dell'ente, le vicende del reato rimanendo indifferenti rispetto a quest'ultima.
E' infine mutuata la dizione del quarto comma dell'art. 2 c.p., in relazione alle leggi eccezionali e temporanee, per le quali si esclude l'applicabilità delle norme precedenti. La previsione si ispira alla rilevata necessità di tracciare un parallelismo tra la disciplina del nuovo illecito e quella penale, e potrebbe rivelarsi utile in futuro: allo stato attuale dell'assetto normativo in materia (e cioè in relazione alle fattispecie selezionate, tutte dotate una rilevanza empirica "non contingente") sembra invece destinata ad avere un rilievo meramente teorico.
L'avvenuto superamento del quinto comma dell'art. 2 c.p. (sui decreti legge) da parte della disciplina e (sebbene in parte) della giurisprudenza costituzionale, ne ha infine sconsigliato la riproduzione in questa sede. Le questioni che involgono la normazione attraverso decretazione d'urgenza nonché quelle legate alla dichiarazione di illegittimità costituzionale delle leggi sembrano infatti trovare più agevole soluzione alla luce dei rispettivi principi generali.
- Giurisprudenza:
Principio di legalità -irretroattività delle norme penali incriminatrici:
· Il principio di irretroattività è declinato dall'art. 3 D.Lgs 231/01 secondo una duplice articolazione, che riguarda i distinti fenomeni della successione di leggi penali regolative del reato presupposto e della successione di leggi che disciplinano la responsabilità ex crimine degli enti. Il primo comma dell'art. 3 D.Lgs 231/01, nello stabilire che l'ente non può essere ritenuto responsabile per un fatto che secondo una legge posteriore non costituisce più reato o in relazione al quale non è più prevista la responsaiblità amministrativa dell'ente, equipara, in ragione del venir meno del giudizio di disvalore da parte dell'ordinamento, l'ipotesi di abolitio criminis del delitto presupposto a quella abrogazione della disposzione che ricollega ad un reato la responsabilità dell'ente.
L'ente non può essere ritenuto responsabile per un reato che non è più annoverato tra i reati presupposto.
In tema di falsità nelle relazioni o nelle comunicaizoni delle società di revisione, l'abrogazione, da parte dell'art. 37 l. n. 39/2010, dell'art. 2624 c.c., indicato quale reato presupposto della responsabilità amministrativa degli enti dall'art. 25 ter, comma 1, lett. g) D.Lgs 231/01, determina ai sensi dell'art. 3 il venir meno di quella responsabilità anche in relazione agli illeciti antecedentemente commessi dall'ente. Nè rileva, in senso contrario, la pretesa continuità normativa tra i delitti di cui all'abrogato art. 2624 c.c. e al nuovo art. 27 D.Lgs 39/2010. Da un lato, infatti, il nuovo delitto non è stato incluso nel catalogo dei reati presupposto, la cui elencazione è tassativa e non può essere integrata con reati equipollenti; dall'altro lato, se anche dovesse riconoscersi la continuità normativa tra le predette disposizioni (cioè un abrogatio sine abolitione del delitto di cui all'art. 2624 c.c.), resta il fatto che l'art. 3, comma 1, stabilisce che l'ente non può essere ritenuto responsabile per un fatto che costituisce ancora reato, ma in relaizone al quale non è più prevista la responsabilità amministrativa. (fattispecie nella quale, ove il legislatore avesse inteso mantenere tra i reati che fondano la responsaiblità dell'ente la fattispecie di falsità nella revisione contabile, avrebbe dovuto novellare l'art. 25 ter lett. g) D.Lgs 231/01 o, comunque, integrare il catalogo dei reati presupposto, facendo riferimento al delitto di cui all'art. 27 d.Lgs 39/2010). G.U.P. Tribunale Milano, 3 novembre 2010 (cd. Caso: Deloitte), in Corr, Merito, n. 3/2011, p. 285, nota: G.L.Gatta.
· L'art. 27 septies è stato introdotto dall'art. 9, comma 1, legge n. 123/2007 e poi riformulato dall'art. 300 D.Lgs 81/2008. La modifica relativa alle sanzioni è più favorevole alla persona giuridica e, pertanto, è da applicare al caso di specie. Corte Assise Torino, sez. II, 15 aprile-14novembre 2011, (cd. Caso: Thyssenkrupp), in Dir. Pen. Cont., 2011, note: S.Zirulia, M.L. Minnella. In Guida al Dir., 49, 50/2011, p. 50, nota: G.Marra. in Foro it. 2012, II, c. 248. In Resp. Amm. Soc., n. 1/2012, p.193, nota: G. Tretti. Dir. Pen. Proc., 2012, p. 702, nota: R.Bartoli e D.Bianchi. in Giur. It. 2012, p. 913, nota: E.Zanalda. Resp. Amm. Soc., n. 3/2012, p. 83, nota T.Guerini.
Art. 4
Reati commessi all'estero
* * *
1. Nei casi e alle condizioni previsti dagli articoli 7, 8, 9 e 10 del codice penale, gli enti aventi nel territorio dello Stato la sede principale rispondono anche in relazione ai reati commessi all'estero, purché nei loro confronti non proceda lo Stato del luogo in cui è stato commesso il fatto.
2. Nei casi in cui la legge prevede che il colpevole sia punito a richiesta del Ministro della giustizia, si procede contro l'ente solo se la richiesta è formulata anche nei confronti di quest'ultimo.
- Relazione Ministeriale al Decreto:
3.1 La commissione del reato all'estero: "...Ispirata a comprensibile rigore è la scelta dell'art. 4 dello schema di decreto legislativo, laddove contempla l'ipotesi in cui l'ente che abbia in Italia la sede principale, compia tuttavia reati all'estero. Si è ritenuto che l'ipotesi, assai diffusa dal punto di vista criminologico, meritasse comunque l'affermazione della sanzionabilità dell'ente, al fine di evitare facili elusioni della normativa interna: e ciò anche al di fuori delle circoscritte ipotesi in cui la responsabilità dell'ente consegua alla commissione di reati per i quali l'art. 7 del codice penale prevede la punibilità incondizionata.
L'opzione è oltretutto conforme al progressivo abbandono, nella legislazione internazionale, del principio di territorialità ed alla correlativa, sempre maggiore affermazione del principio di universalità (prova ne siano gli stessi atti ratificati nella legge 300/2000).
Peraltro, la costante attenzione dell'Italia ai profili di cooperazione internazionale (resi talvolta difficili dalla sovrapposizione delle azioni punitive da parte dei diversi Stati, soprattutto quando, come in Italia, vige il principio di obbligatorietà delle stesse) ha suggerito di apporre uno sbarramento alla perseguibilità dell'illecito commesso dall'ente nei casi in cui nei suoi confronti già proceda lo Stato del luogo in cui è stato commesso il fatto."
- Riferimenti normativi:
7 c.p. Reati commessi all'estero.
[I]. È punito secondo la legge italiana il cittadino o lo straniero che commette in territorio estero taluno dei seguenti reati:
1) delitti contro la personalità dello Stato italiano;
2) delitti di contraffazione del sigillo dello Stato e di uso di tale sigillo contraffatto;
3) delitti di falsità in monete aventi corso legale nel territorio dello Stato, o in valori di bollo o in carte di pubblico credito italiano;
4) delitti commessi da pubblici ufficiali a servizio dello Stato, abusando dei poteri o violando i doveri inerenti alle loro funzioni;
5) ogni altro reato per il quale speciali disposizioni di legge o convenzioni internazionali stabiliscono l'applicabilità della legge penale italiana.
8 c.p. Delitto politico commesso all'estero
[I]. Il cittadino o lo straniero, che commette in territorio estero un delitto politico non compreso tra quelli indicati nel numero 1 dell'articolo precedente, è punito secondo la legge italiana, a richiesta del ministro di grazia e giustizia.
[II]. Se si tratta di delitto punibile a querela della persona offesa, occorre, oltre tale richiesta, anche la querela.
[III]. Agli effetti della legge penale, è delitto politico ogni delitto, che offende un interesse politico dello Stato, ovvero un diritto politico del cittadino. È altresì considerato delitto politico il delitto comune determinato, in tutto o in parte, da motivi politici.
9 c.p. Delitto comune del cittadino all'estero.
[I]. Il cittadino, che, fuori dei casi indicati nei due articoli precedenti, commette in territorio estero un delitto per il quale la legge italiana stabilisce l'ergastolo, o la reclusione non inferiore nel minimo a tre anni, è punito secondo la legge medesima , sempre che si trovi nel territorio dello Stato.
[II]. Se si tratta di delitto per il quale è stabilita una pena restrittiva della libertà personale di minore durata, il colpevole è punito a richiesta del ministro di grazia e giustizia, ovvero a istanza o a querela della persona offesa.
[III]. Nei casi preveduti dalle disposizioni precedenti, qualora si tratti di delitto commesso a danno delle Comunità europee, di uno Stato estero o di uno straniero, il colpevole è punito a richiesta del ministro di grazia e giustizia, sempre che l'estradizione di lui non sia stata conceduta, ovvero non sia stata accettata dal Governo dello Stato in cui egli ha commesso il delitto.
10 c.p. Delitto comune dello straniero all'estero.
[I]. Lo straniero che, fuori dei casi indicati negli articoli 7 e 8, commette in territorio estero, a danno dello Stato o di un cittadino, un delitto per il quale la legge italiana stabilisce l'ergastolo, o la reclusione non inferiore nel minimo a un anno, è punito secondo la legge medesima, sempre che si trovi nel territorio dello Stato, e vi sia richiesta del ministro di grazia e giustizia, ovvero istanza o querela della persona offesa.
[II]. Se il delitto è commesso a danno delle Comunità europee, di uno Stato estero o di uno straniero, il colpevole è punito secondo la legge italiana, a richiesta del ministro di grazia e giustizia, sempre che:
1) si trovi nel territorio dello Stato;
2) si tratti di delitto per il quale è stabilita la pena dell'ergastolo, ovvero della reclusione non inferiore nel minimo a tre anni;
3) l'estradizione di lui non sia stata conceduta, ovvero non sia stata accettata dal Governo dello Stato in cui egli ha commesso il delitto, o da quello dello Stato a cui egli appartiene.
- Giurisprudenza:
· L'art. 4 D.Lgs 231/01 individua la giurisdizione italiana per gli enti aventi nel territorio dello stato la sede principale anche in relazione ai reati commessi all'estero, sempre che ricorra taluna delle condizioni previste dagli artt. 7, 8, 9 e 10 c.p.; al comma 2 estende poi anche all'ente la necessità della richeista del Ministro della Giustizia nei casi in cui la legge preveda detta richiesta per la punibilità del colpevole. Quindi, l'art. 4 non può essere inteso nel senso di delineare una giurisdizione italiana tout court per gli enti aventi la sede principale nel territorio italiano, ma semplicemente e sostanzialmente, come una estensione all'ente delle norme già dettate dal codice di diritto sostanziale per la persona fisica, nel senso di costituire una sorta di "cittadinanza" per l'ente individuandola in relazione alla sede principale dell'ente.
L'art. 4, una volta assicurata la natura nazionale dell'ente in relazione alla sua sede principale, ha operato un diretto ed espresso riferimento con reati commessi all'estero modellandola in tutto sulle norme che regolano la giurisdizione per la persona fisica.
L'espresso richiamo operato nel disposto di cui all'art. 4 D.Lgs 231/01 ai "casi e alle condizioni previsti dagli articoli 7, 8, 9 e 10 del codice penale" non può non essere inteso nella previsione di una duplicità di condizioni (inrealtà si tratta una triplicità di condizioni, prevedendo l'ultimo inciso del comma 1 dell'art. 4 D.Lgs 231/01 che non proceda nei confronti dell'ente anche lo Stato in cui è stato commesso il reato), costituite dalla ricorrenza delle prescrizioni di cui agli artt. 7,8,9 e 10 c.p. in riferimento alla condotta consumata dall'autore materiale della violazione persona fisica e della esistenza della sede dell'ente nel territorio dello Stato.
Il collegamento tra condotta e reato posto in essere dal dipendente (nel caso de quo non in posizione apicale), e gli enti imputati/indagati e, quindi, tra il complesso delle norme di cui agli artt. 7, 8, 9 e 10 c.p. da un lato e, art. 4 D.Lgs 231/01 dall'altro, deve essere operato con riguardo alla norma di cui all'art. 9, co. II c.p.. G.I.P. Milano, ord. 17 novembre 2009, confermata da Tribunale riesame Milano, ord. 19 gennaio 2010, in Foro amb., 2010, p. 85, nota: G.Camera.
· Nel caso di corruzione internazionale (art. 322 bis c.p.), va esclusa la carenza di giurisdizione del giudice italiano in presenza dell'esecuzione in italia di parti rilevanti della condotta contestata. Cass. Pen., sez. VI, n. 42701 del 30 settembre 1 dicembre 2010, in Riv. Pen., 2011, p. 34. Giur. It., p. 1622, nota: V. Altare. Foro it., 2011, II, 370, nota: G.M. Armone. Resp. Amm. Soc., n. 2/2011, p. 177, nota: P. Chiaraviglio. Le Società, n. 6/2011, p. 1, nota: M.M. Scoletta e P. Chiaraviglia.
· In base al disposto dell'art. 36, co. I, D.Lgs 231/01, il criterio che radica la compentenza a decidere sulla responsabilità amministrativa dell'ente è quello del luogo di commissione del reato presupposto, non quello della commissione dell'illecito amministrativo, né quello della sede dell'ente. Le disposzioni di cui al D.Lgs 231/01 sono applicabili anche nei confronti delle persone giuridiche aventi sede all'estero, qualora presuipposto dell'illecito amministrativo sia un reato commesso in Italia. L'art. 4 costituisce una deroga al suddetto principio. Infatti consente di procedere anche per i reati commessi all'estero, ma solo nei confronti degli enti aventi la sede pricipale in Italia. G.I.P. Tribunale Milano, ordinanza 23 aprile 2009, in Foro Ambr. 2009, p. 358.
Art. 5
Responsabilità dell'ente
* * *
1. L'ente è responsabile per i reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio:
a) da persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell'ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale nonché da persone che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dello stesso;
b) da persone sottoposte alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti di cui alla lettera a).
2. L'ente non risponde se le persone indicate nel comma 1 hanno agito nell'interesse esclusivo proprio o di terzi. [19; 53]
- Relazione Ministeriale al Decreto:
Nozione di soggetto in posizione apicale:
L'utilizzazione di una formula elastica è stata preferita ad una elencazione tassativa di soggetti, difficilmente praticabile, vista l'eterogeneità degli enti e quindi delle situazioni di riferimento (quanto a dimensioni e a natura giuridica), e dota la disciplina di una connotazione oggettivo-funzionale; ciò vale sia in relazione all'ipotesi in cui la funzione apicale sia rivestita in via formale (prima parte della lettera a), sia in rapporto all' "esercizio anche di fatto" delle funzioni medesime (seconda parte della lettera a). A questo proposito, si noti che, ricalcando testualmente la delega, tale locuzione è stata riconnessa alle funzioni di gestione e di controllo; esse devono dunque concorrere ed assommarsi nel medesimo soggetto il quale deve esercitare pertanto un vero e proprio dominio sull'ente. Resta, perciò, escluso dall'orbita della disposizione l'esercizio di una funzione di controllo assimilabile a quella svolta dai sindaci. Costoro non figurano nel novero dei soggetti che, formalmente investiti di una posizione apicale, possono commettere illeciti che incardinano la responsabilità dell'ente: a maggior ragione, quindi, non è pensabile riferire una responsabilità all'ente per illeciti relativi allo svolgimento di una funzione che si risolve in un controllo sindacale di fatto (ciò, a tacere dei dubbi che sussistono in ordine alla stessa configurabilità di una simile forma di controllo). In definitiva, la locuzione riportata nello schema di decreto legislativo è da proiettare solo verso quei soggetti che esercitano un penetrante dominio sull'ente (è il caso del socio non amministratore ma detentore della quasi totalità delle azioni, che detta dall'esterno le linee della politica aziendale e il compimento di determinate operazioni). Un'interpretazione difforme si sarebbe scontrata contro un eccesso di indeterminatezza della nozione di "controllo di fatto". L'aspetto che merita maggiore attenzione concerne tuttavia l'equiparazione, ai soggetti che ricoprono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell'ente, delle persone che rivestono le medesime funzioni in una "unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale". La previsione richiama un fenomeno ben noto, ed anzi in via di progressiva espansione; si pensi ai c.d. direttori di stabilimento che, nelle realtà aziendali medio-grandi, sono molto spesso dotati di una forte autonomia gestionale e sottratti al controllo delle sedi centrali. La collocazione di questi soggetti all'interno della lettera a) e quindi come soggetti apicali, è suggerita, oltre che dall'osservazione del dato empirico, anche da considerazioni di natura sistematica: come noto, infatti, la figura ha da tempo trovato ingresso nel nostro ordinamento, in materia di sicurezza sul lavoro, dove pure affonda la sua ratio nella tendenziale comunione tra poteri-doveri e responsabilità. Resta peraltro fermo che, nelle realtà economiche segnate da una minore complessità, la carenza di autonomia finanziaria o funzionale, consentirebbe di degradare l'unità organizzativa dalla lettera a) alla successiva lettera b) (soggetti sottoposti alla direzione o vigilanza degli apici), con le conseguenze che saranno di seguito illustrate.
Nozione di soggetto gerarchicamente subordinato all'ente:
...Quanto ai dipendenti, non v'è ragione per escludere la responsabilità dell'ente dipendente da reati compiuti da tali soggetti, quante volte essi agiscano appunto per conto dell'ente, e cioè nell'ambito dei compiti ad essi devoluti. In altre parole, con riguardo al rapporto di dipendenza, quel che sembra contare è che l'ente risulti impegnato dal compimento, da parte del sottoposto, di un'attività destinata a riversarsi nella sua sfera giuridica.
3.2. I criteri di imputazione sul piano oggettivo: "...la teoria della c.d. immedesimazione organica consente di superare le critiche che un tempo ruotavano attorno alla violazione del principio di personalità della responsabilità penale, ancora nella sua accezione "minima" di divieto di responsabilità per fatto altrui. Vale a dire: se gli effetti civili degli atti compiuti dall'organo si imputano direttamente alla società, non si vede perché altrettanto non possa accadere per le conseguenze del reato, siano esse penali o - come nel caso del decreto legislativo - amministrative...
... Fatte queste precisazioni, quanto agli aspetti di conformità con la legge delega, si osserva, innanzitutto che la lettera e) dell'art. 11, comma 1, richiama i soli reati commessi (dalle persone fisiche) a vantaggio o nell'interesse dell'ente. La formula è stata testualmente riprodotta, e costituisce appunto l'espressione normativa del citato rapporto di immedesimazione organica. E' appena il caso di aggiungere che il richiamo all'interesse dell'ente caratterizza in senso marcatamente soggettivo la condotta delittuosa della persona fisica e che "si accontenta" di una verifica ex ante; viceversa, il vantaggio, che può essere tratto dall'ente anche quando la persona fisica non abbia agito nel suo interesse, richiede sempre una verifica ex post.
Quanto alle categorie di persone che vengono in rilievo, l'articolato riprende la distinzione tra soggetti in posizione apicale (lett. a) e soggetti in posizione subordinata (lett. b), apportando poche modifiche rispetto alla delega. Come si avrà modo di sottolineare di seguito, la distinzione riverbera effetti di non poco momento sul complessivo assetto di disciplina.
Lett. a). L'utilizzazione di una formula elastica è stata preferita ad una elencazione tassativa di soggetti, difficilmente praticabile, vista l'eterogeneità degli enti e quindi delle situazioni di riferimento (quanto a dimensioni e a natura giuridica), e dota la disciplina di una connotazione oggettivo-funzionale; ciò vale sia in relazione all'ipotesi in cui la funzione apicale sia rivestita in via formale (prima parte della lettera a), sia in rapporto all' "esercizio anche di fatto" delle funzioni medesime (seconda parte della lettera a). A questo proposito, si noti che, ricalcando testualmente la delega, tale locuzione è stata riconnessa alle funzioni di gestione e di controllo; esse devono dunque concorrere ed assommarsi nel medesimo soggetto il quale deve esercitare pertanto un vero e proprio dominio sull'ente. Resta, perciò, escluso dall'orbita della disposizione l'esercizio di una funzione di controllo assimilabile a quella svolta dai sindaci. Costoro non figurano nel novero dei soggetti che, formalmente investiti di una posizione apicale, possono commettere illeciti che incardinano la responsabilità dell'ente: a maggior ragione, quindi, non è pensabile riferire una responsabilità all'ente per illeciti relativi allo svolgimento di una funzione che si risolve in un controllo sindacale di fatto (ciò, a tacere dei dubbi che sussistono in ordine alla stessa configurabilità di una simile forma di controllo). In definitiva, la locuzione riportata nello schema di decreto legislativo è da proiettare solo verso quei soggetti che esercitano un penetrante dominio sull'ente (è il caso del socio non amministratore ma detentore della quasi totalità delle azioni, che detta dall'esterno le linee della politica aziendale e il compimento di determinate operazioni). Un'interpretazione difforme si sarebbe scontrata contro un eccesso di indeterminatezza della nozione di "controllo di fatto". L'aspetto che merita maggiore attenzione concerne tuttavia l'equiparazione, ai soggetti che ricoprono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell'ente, delle persone che rivestono le medesime funzioni in una "unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale". La previsione richiama un fenomeno ben noto, ed anzi in via di progressiva espansione; si pensi ai c.d. direttori di stabilimento che, nelle realtà aziendali medio-grandi, sono molto spesso dotati di una forte autonomia gestionale e sottratti al controllo delle sedi centrali. La collocazione di questi soggetti all'interno della lettera a) e quindi come soggetti apicali, è suggerita, oltre che dall'osservazione del dato empirico, anche da considerazioni di natura sistematica: come noto, infatti, la figura ha da tempo trovato ingresso nel nostro ordinamento, in materia di sicurezza sul lavoro, dove pure affonda la sua ratio nella tendenziale comunione tra poteri-doveri e responsabilità. Resta peraltro fermo che, nelle realtà economiche segnate da una minore complessità, la carenza di autonomia finanziaria o funzionale, consentirebbe di degradare l'unità organizzativa dalla lettera a) alla successiva lettera b) (soggetti sottoposti alla direzione o vigilanza degli apici), con le conseguenze che saranno di seguito illustrate.
Lett. b). La seconda categoria di persone fisiche la cui commissione di reati è suscettibile di impegnare la responsabilità amministrativa dell'ente è rappresentata dai c.d. sottoposti. La scelta di limitare la responsabilità della societas al solo caso di reato commesso dai vertici, non si sarebbe rivelata plausibile dal punto di vista logico e politico criminale. Sotto il primo profilo, anche in questo caso, come si è detto, la possibilità di ricondurre la responsabilità all'ente appare assicurata, sul piano oggettivo, dal fatto che il reato sia stato commesso nell'interesse o a vantaggio dell'ente (quanto al piano "soggettivo", della rimproverabilità della societas, si rinvia al commento dell'art. 7). Sotto il secondo profilo, una diversa opzione avrebbe significato ignorare la crescente complessità delle realtà economiche disciplinate e la conseguente frammentazione delle relative fondamenta operative.
Il secondo comma dell'articolo 5 dello schema mutua dalla lett. e) della delega la clausola di chiusura ed esclude la responsabilità dell'ente quando le persone fisiche (siano esse apici o sottoposti) abbiano agito nell'interesse esclusivo proprio o di terzi. La norma stigmatizza il caso di "rottura" dello schema di immedesimazione organica; si riferisce cioè alle ipotesi in cui il reato della persona fisica non sia in alcun modo riconducibile all'ente perché non realizzato neppure in parte nell'interesse di questo. E si noti che, ove risulti per tal via la manifesta estraneità della persona morale, il giudice non dovrà neanche verificare se la persona morale abbia per caso tratto un vantaggio (la previsione opera dunque in deroga al primo comma).
- Giurisprudenza:
- Natura Giuridica - Nozione di "interesse - vantaggio" - Nozione di "soggetto apicale" - Presupposti - Responsabilità dell'ente nei gruppi societari, società collegate, capogruppo, holding - Miscellanea - Cfr. Juris sub art. 6 -
· Natura Giuridica:
· Il sistema normativo introdotto dal d.lg. n. 231 del 2001, coniugando i tratti dell'ordinamento penale e di quello amministrativo, configura un "tertium genus" di responsabilità compatibile con i principi costituzionali di responsabilità per fatto proprio e di colpevolezza (Nell'affermare tale principio, la Corte ha chiarito, in tema di responsabilità dell'ente derivante da persone che esercitano funzioni apicali, che grava sulla pubblica accusa l'onere di dimostrare l'esistenza dell'illecito dell'ente, mentre a quest'ultimo incombe l'onere, con effetti liberatori, di dimostrare di aver adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del reato, modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi). Cassazione penale, SS.UU., 24.04.2014, n. 38343, Rivista231.it.
· È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 5 D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 27 Cost., in quanto la responsabilità dell'ente per i reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio non è una forma di responsabilità oggettiva, essendo previsto necessariamente, per la sua configurabilità, la sussistenza della cosiddetta "colpa di organizzazione" della persona giuridica. Cass. pen., sez. VI, n. 27735 del 18.02.2010, in CED 2011. Conf. Cass. Pen., sez. III, n. 28731 del 7 giugno 2011.
· È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 5 D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231, sollevata con riferimento all'art. 27 Cost., poichè l'ente non è chiamato a rispondere di un fatto altrui, bensì proprio, atteso che il reato commesso nel suo interesse o a suo vantaggio da soggetti inseriti nella compagine della persona giuridica deve considerarsi tale in forza del rapporto di immedesimazione organica che lega i primi alla seconda. Cass. pen., sez. VI, n. 27735 del 18.02.2010, in CED 2011.
· La responsabilità dell'ente per i reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio (art. 5 D.lgs. 231 /2001) si connota come una responsabilità colposa sia in termini di materialità del fatto che con riferimento ai profili di esigibilità della condotta in relazione al quadro normativo di riferimento quale ventaglio di norme che la società deve adottare al fine di escludere la responsabilità. Il modello organizzativo adottato viene ad assumere il valore di auto normazione dell'ente cui si fa riferimento per stabilirne la responsabilità. (Nel caso di specie si trattava dei legali rappresentanti di due società cooperative e membri del consiglio di amministrazione, che avevano commesso un reato di truffa aggravata ai danni dello Stato attraverso un complicato meccanismo contrattuale che alla fine prevedeva l'incorporazione di una società e che non avevano adottato alcun modello organizzativo con la conseguenza che anche le società venivano ritenute responsabili). Tribunale Milano, 28 dicembre 2011.
· In relazione al D.Lgs 231/01 la volontà del legislatore, come traspare sia dalla legge delega sia dal decreto delegato, era quella di introdurre una nuova forma di responsabilità, tipica degli enti: di natura amministrativa, con garanzie procedurali che richiamano quelle processualpenalistiche e con sanzioni innovative, in quanto non assimilabili né alle pene né alle misure di sicurezza. Con la conseguenza che, così definita la natura della responsabilità, non possono porsi questioni di legittimità costituzionale, in particolare in relazione al supposto conflitto con l'art. 27 Cost.. Ass. Torino Sez. II, 14 novembre 2011. Società, 2012, 1, 100.
· Nozione di "interesse - vantaggio".
· In tema di responsabilità da reato degli enti, i criteri di imputazione oggettiva, rappresentati dal riferimento contenuto nell'art. 5 del d.lg. 231 del 2001 all'"interesse o al vantaggio", sono alternativi e concorrenti tra loro, in quanto il criterio dell'interesse esprime una valutazione teleologica del reato, apprezzabile "ex ante", cioè al momento della commissione del fatto e secondo un metro di giudizio marcatamente soggettivo, mentre quello del vantaggio ha una connotazione essenzialmente oggettiva, come tale valutabile "ex post", sulla base degli effetti concretamente derivati dalla realizzazione dell'illecito. Cassazione penale, SS.UU., 24.04.2014, n. 38343, Rivista231.it.
Nozione di "soggetto apicale":
· La nozione di soggetto apicale di un ente viene definita dall'esercizio formale di funzioni di rappresentanza, amministrazione o direzione, mentre l'esercizio di fatto per essere rilevante deve avere riguardo cumulativamente alle funzioni di gestione e controllo, volendosi includere tra i vertici solo quei soggetti che esercitano un penetrante dominio sull'ente. In assenza di una definizione delle citate funzioni di amministrazione, rappresentanza e direzione, si possono utilizzare in via interpretativa le norme dettate in proposito in altre branche dell'ordinamento interno, così da ricostruire il concetto di amministrazione come legato al potere di gestione e controllo delle risorse materiali dell'ente, il concetto di direzione come legato al potere di gestione e controllo del personale dell'ente, il concetto di rappresentanza come legato alla formazione, manifestazione all'esterno e alla ricezione della volontà dell'ente in relazione agli atti negoziali. Trib. Milano, sez. XI, 26 giugno 2008, in Foro ambrosiano 2008, 3, 335.
· Datore di lavoro, dirigente e impresa appaltante rispondono della morte del dipendente della cooperativa appaltatrice che, durante la pausa per la cena, cade accidentalmente su un nastro mobile non adeguatamente protetto e muore. Nel caso di specie nonostante l'attività del lavoratore non avesse niente a che fare con il nastro stesso, secondo la Suprema Corte, i profili di colpa contestati ai due imputati attengono alla mancanza di misure di sicurezza blocchi e ripari delle parti mobili del nastro, all'omessa predisposizione di un documento di valutazione dei rischi da interferenze, nonché alla carenza di formazione dei lavoratori. Cass. pen. Sez. IV, 19.02.2015, n. 18073
· Presupposti:
· Ai fini della configurabilità della responsabilità dell'ente, è sufficiente che venga provato che lo stesso abbia ricavato dal reato un vantaggio, anche quando non è stato possibile determinare l'effettivo interesse vantato ex ante alla consumazione dell'illecito e purché non sia contestualmente accertato che quest'ultimo sia stato commesso nell'esclusivo interesse del suo autore persona fisica o di terzi. In definitiva, perché possa ascriversi all'ente la responsabilità per il reato, è sufficiente che la condotta dell'autore di quest'ultimo tenda oggettivamente e concretamente a realizzare, nella prospettiva del soggetto collettivo, "anche" l'interesse del medesimo. Cass. pen. Sez. V, 04-03-2014, n. 10265; Rivista231.it.
· In tema di misure cautelari interdittive applicabili all'ente per l'illecito dipendente da reato la valutazione circa la sussistenza dei gravi indizi deve essere riferita alla fattispecie complessa che integra l'illecito stesso. Pertanto l'ambito di valutazione del giudice deve comprendere non soltanto il fatto reato, cioè il primo presupposto dell'illecito amministrativo, ma estendersi ad accertare la sussistenza dell'interesse o del vantaggio derivante all'ente, il ruolo ricoperto dai soggetti indicati dall'art. 5, comma 1, lett. a) e b), d.lg. n. 231, nonchè è necessario verificare se tali soggetti abbiano agito nell'interesse esclusivo proprio o di terzi. Nel giudizio cautelare rientrano anche le condizioni indicate nell'art. 13 d.lg. n. 231, che subordina l'applicabilità delle sanzioni interdittive alla circostanza che l'ente abbia tratto dal reato un profitto di rilevante entità ovvero, in alternativa, che l'ente abbia reiterato nel tempo gli illeciti. Infine, anche nella fase cautelare il giudice deve fondare la sua valutazione in rapporto ad uno dei due modelli di imputazione individuati negli artt. 6 e 7 d.lg. cit., l'uno riferito ai soggetti in posizione apicale, l'altro ai dipendenti, modelli che presuppongono un differente onere probatorio a carico dell'accusa. Pertanto, in ragione della peculiarità del giudizio di gravità indiziaria a carico dell'ente, non è legittimo il ricorso alla tecnica di motivazione del provvedimento per relationem, con semplice rinvio all'ordinanza cautelare personale, rinvio che può assolvere all'onere della motivazione solo per quanto concerne uno dei presupposti, quello cioè della sussistenza dei gravi indizi circa la commissione dei reati. Cass. pen., sez. VI, n. 32627 del 23 giugno 2006. In Cass. pen. 2007, 11, 4227.
· In tema di responsabilità da reato delle persone giuridiche e delle società, l'espressione normativa, con cui se ne individua il presupposto nella commissione dei reati "nel suo interesse o a suo vantaggio ", non contiene un'endiadi, perché i termini hanno riguardo a concetti giuridicamente diversi, potendosi distinguere un interesse "a monte" per effetto di un indebito arricchimento, prefigurato e magari non realizzato, in conseguenza dell'illecito, da un vantaggio obbiettivamente conseguito con la commissione del reato, seppure non prospettato "ex ante" , sicché l' interesse ed il vantaggio sono in concorso reale. Cass. pen., sez. II, n. 3615 del 20 dicembre 2005, Rv. 232957. In CED Cass. pen. 2006.
· Collegare il requisito dell'interesse della persona fisica, dell'interesse o del vantaggio dell'ente non all'evento bensì alla condotta penalmente rilevante della persona fisica corrisponde ad una corretta applicazione dell' art. 5, D.Lgs 231/01 (similmente per gli artt. 13, lett. a), e 19), ai reati colposi, in particolare a quello di cui all'art. 589, co. II, c.p.. Ass. Torino Sez. II, 14 novembre 2011. Dir. Pen. e Processo, 2012, 6, 702 nota di Batoli, Bianchi.
· In tema di responsabilità da reato degli enti derivante da reati colposi di evento, i criteri di imputazione oggettiva, rappresentati dal riferimento contenuto nell'art. 5 d.lg. n. 231 del 2001 all'"interesse o al vantaggio", devono essere riferiti alla condotta e non all'evento. Cassazione penale, SS.UU., 24.04.2014, n. 38343, Rivista231.it.
· In tema di responsabilità amministrativa degli enti, l'art. 5 comma 1 d.lg. 8 giugno 2001 n. 231 prevede che il fatto, in grado di consentire l'addebito a carico dell'ente, sia commesso dall'autore del reato presupposto nell'interesse o vantaggio dell'ente stesso; mentre il comma 2 dello stesso art. 5 prevede l'esclusione della responsabilità dell'ente ove il fatto sia stato commesso dalla persona fisica nell'"esclusivo interesse proprio o di terzi". In particolare, la nozione di interesse esprime la proiezione soggettiva dell'autore (non coincidente, peraltro, con quella di "dolo specifico ", profilo psicologico logicamente non imputabile all'ente), e rappresenta una connotazione accertabile con analisi "ex ante". È indefettibile onere del giudice motivare al riguardo puntualmente, vuoi perché l'interesse dell'ente condiziona l'addebito a carico del medesimo, vuoi perché, al contrario, l'assenza dell'interesse rappresenta un limite negativo della fattispecie. Cass. Pen., sez. V, 26 aprile 2012,: n. 40380. Guida al diritto 2012, 46, 94 (s.m.)
· In tema di responsabilità amministrativa dell'ente, può affermarsi l'assenza di responsabilità soltanto quando si accerti l'"interesse esclusivo" di terzi o di persone fisiche. L'assenza dell'interesse rappresenta, dunque, un limite negativo della fattispecie. Cass. Pen., sez. V, n. 40380 del 26 aprile 2012, in Diritto & Giustizia 2012, 16 ottobre 2012.
· In tema di responsabilità di ente societario per violazione delle norme sulla sicurezza nei luoghi di lavoro, nonostante che il primo comma dell'art. 5 del D.L.vo n. 231 del 2001 proponga in modo apparentemente alternativo i due criteri ("... nel suo interesse o a suo vantaggio ..."), tuttavia, il comma secondo dello stesso art. 5 prevede che l'ente non risponde se il reo ha agito "... nell'interesse esclusivo proprio o di terzi"; ne consegue che, mancando l'interesse, anche solo concorrente, dell'ente, è del tutto inutile l'eventuale esistenza del solo vantaggio. Tribunale Torino, sez. I, 22, 04, 2013, in Rivista penale 2013, 6, 695.
· Quando gravissime violazioni della normativa antinfortunistica ed antincendio e colpevoli omissioni sono caratterizzate da un contenuto economico rispetto al quale l'azienda non solo ha interesse, ma se ne è anche sicuramente avvantaggiata, sotto il profilo del considerevole risparmio economico che ha tratto omettendo qualsiasi intervento, oltre che dell'utile contemporaneamente ritratto dalla continuità della produzione, in caso di omicidio colposo da infortunio sul lavoro collegare il requisito dell'interesse o del vantaggio dell'ente non all'evento bensì alla condotta penalmente rilevante della persona fisica corrisponde ad una corretta applicazione dell'art. 25-septies D.Lgs 231/01. Ass. Torino Sez. II, 14 novembre 2011. Giur. It., 2012, 4, 907 nota di Limone.
· Costituisce interesse rilevante e sufficiente ai fini della responsabilità degli enti ai sensi dell'art. 5 d.lg. n. 231 del 2001, lo scopo di incremento o quanto meno di consolidamento della posizione della società, che ha costituito la motivazione del reato di truffa ai danni dello Stato (fattispecie relativa al mancato trattenimento delle somme dovute per eccedenze sulle c.d. quote latte). Trib. Pordenone, 23 luglio 2010, Giur. Merito, 2011, 2, 482.
· Certamente il requisito dell'interesse o vantaggio dell'ente, quale criterio di imputazione oggettiva della responsabilità dell'ente stesso, può essere integrato anche dal vantaggio indiretto, inteso come acquisizione per la società di una posizione di privilegio sul mercato derivante dal reato commesso dal soggetto apicale. Nondimeno, proprio la natura di criterio di imputazione della responsabilità riconosciuto dalla legge richiede la concreta e non astratta affermazione dell'esistenza di un tale interesse o vantaggio, da intendersi rispettivamente come potenziale o effettiva utilità, ancorché non necessariamente di carattere patrimoniale, derivante all'ente dalla commissione del reato presupposto. Trib. Milano, 28 aprile 2008, in Foro ambrosiano 2008, 3, 329.
· Il grave e consapevole inadempimento contrattuale da parte dell'impresa non fa scattare la responsabilità amministrativa dell'ente. Per la "231" ai fini della punibilità serve un illecito vantaggio economico. Non importa che i vertici aziendali sapessero fin dall'inizio che l'impresa non era in grado di ottemperare. Cass. Pen., sez. VI, n. 26188 del 6 luglio 2012. Ced. Cass. Pen.
· Il legislatore con il d.lg. 231/2001 costruisce un modello punitivo che ha quale destinatario l'ente come realtà autonomamente identificabile e distinta rispetto alla persona fisica: per cui non può mai assumersi che l'immedesimazione nell'ente da parte dell'amministratore, autore del reato presupposto, possa in alcuni specifici casi essere totale, cosicché l'interesse o il vantaggio dell'uno possa essere ritenuto interesse o vantaggio dell'altro. Trib. Milano, 28 aprile 2008, in Foro ambrosiano 2008, 3, 329
· In materia di responsabilità degli enti per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato, deve escludersi la responsabilità dell'ente, pur qualora questo riceva comunque un vantaggio dalla condotta illecita posta in essere dalla persona fisica, laddove risulti che il reo ha agito "nell' interesse esclusivo proprio o di terzi" (art. 5, comma 2, del d.lg. 8 giugno 2001 n. 231): in tale evenienza, infatti, si tratterebbe di un vantaggio "fortuito", come tale non attribuibile "volontà" dell'ente. Cass. pen., sez. VI, n. 32627 del 23 giugno 2006. In Guida al diritto 2006, 42, 61 (s.m.) nota di: Amato.
· La responsabilità degli enti per i reati commessi nel loro interesse o vantaggio sussiste, ai sensi dell'art. 26 D.Lgs. n. 231 del 2001, anche quando gli stessi reati vengono consumati solo nelle forme del tentativo.(Fattispecie relativa al reato "presupposto" di truffa ai danni dello Stato). Annulla senza rinvio, Trib. lib. Milano, 26 giugno 2008. Cass. pen., sez. V, n. 771813 del gennaio 2009. In CED Cass. pen. 2009.
· In materia di responsabilità degli enti per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato, ai fini dell'applicazione di una misura cautelare interdittiva, il ricorso alla motivazione per relationem all'ordinanza cautelare emessa nei confronti dell'autore del reato sottostante può ritenersi legittimo e satisfattivo solo con riguardo al compendio indiziario afferente la commissione del reato, mentre per il resto è necessaria un'apposita, esplicita motivazione che si estenda ad apprezzare tutti gli elementi dell'illecito amministrativo da reato. (In particolare, la sussistenza dell' interesse o del vantaggio derivante all'ente; il ruolo ricoperto dai soggetti che hanno agito in nome e per conto dell'ente; la verifica sul fatto che colui che ha commesso il reato non abbia agito nell' interesse esclusivo proprio o di terzi; la ricorrenza delle condizioni legittimanti l'applicazione della sanzione interdittiva. Cass. pen.sez. VI, n. 32627 del 23 giugno 2006. In Guida al diritto 2006, 42, 61 (s.m.) nota di: AMATO.
· Responsabilità dell'ente nei gruppi societari, società collegate, capogruppo e holding:
· Perché possa configurarsi la responsabilità dell'ente discendente da reato e necessario, come si desume da una lettura sistematica degli art. 5 e 12 del d.lg. 8 giugno 2001 n. 231, che il reato presupposto sia stato commesso nell' interesse o a vantaggio dell'ente, trattandosi di criteri ascrittivi di responsabilità di carattere alternativo. Nei gruppi di società è da escludere, per gli inevitabili riflessi che le condizioni della società controllata riverberano sulla società controllante, sia che i vantaggi conseguiti dalla controllata, in conseguenza dell'attività della controllante, possano considerarsi conseguiti da un terzo, sia che l'attività di quest'ultima possa dirsi compiuta nell'esclusivo interesse di un terzo. Trib. Milano, 20 dicembre 2004, Dir. e prat. soc. 2005, 6, 69, nota di: Cerqua.
· L'illecito amministrativo da reato può essere addebitato a un ente che rivesta il ruolo di controllante in seno a un gruppo di società, se commesso nell'interesse comune del gruppo, indipendentemente dal fatto che esso ne abbia tratto diretto vantaggio. Tribunale Milano, 14 dicembre 2004, in Foro it. 2005, 10, 527.
· In tema di responsabilità da reato degli enti, la società capogruppo può essere chiamata a rispondere, ai sensi del D.Lgs. n. 231 del 2001, per il reato commesso nell'ambito dell'attività di una controllata, purché nella consumazione concorra una persona fisica che agisca per conto della "holding", perseguendo anche l'interesse di quest'ultima. Cass. n. 24583 del 18.01.2011, in CED 2011.
· L'interesse o il vantaggio cui fa riferimento l'art. 5, D.Lgs 231/01 devono essere valutati alla stregua della complessa organizzazione che secondo dati di comune esperienza hanno oramai assunto i gruppi economico- finanziari. Da ciò discende che la loro incidenza non può essere rapportata esclusivamente con riferimento ad una singola società appartenente ad un gruppo ma deve essere considerata anche con riguardo alla ricadute di utilità che in una struttura articolata si verificano anche nei confronti delle altre società collegate. Trib. Milano, 28 ottobre 2011. Società, 2012, 3, 341.
· La holding o le altre società del gruppo possono rispondere ex D.Lgs 231/01, ma è necessario che il soggetto che agisce per conto delle stesse concorra con il soggetto che commette il reato. Infatti non è sufficiente un generico riferimento al gruppo per affermare la responsaiblità dells società ex D.Lgs 231/01 (nel caso de quo la S.C. -confermando la sentenza assolutoria del G.U.P. di Bari- ha rilevato che non vi era alcun elemento per ritenere che i soggetti in posizione apicale dell'ente fossero essi amministratori di fatto o di diritto ed avessero agito oltre che nell'interesse prorpio o di terzi anche nell'interesse concorrente dell'ente). Cass. Pen., sez. V, n. 24583 del 17 novembre 2010 - 20 giugno 2011 (caso: Tosinvest), in Dir. Pen. Proc., 2011, p. 953. Dir. Pen. Cont., 2011, nota: L.Pistorelli. RIv. Pen., 2012, p. 572.
· Non possono non valere per i gruppi di società, le società collegate, la società capogruppo, e le holding, i criteri d'imputazione del fatto reato alla società valevoli per qualsiasi persona giuridica, così come enunciati ex artt. 5, 6 e 7 D.Lgs 231/01 (salvo gli adattamenti specifici in relazione alla situazione peculiare del fenomeno dei gruppi di società). In specie, non può non ritenersi, anche nel caso di gruppi di società o della holding, che prsupposti fondamentali della responsaiblità da reato siano, ex art. 5 D.Lgs 231/01, che alla commissione dell'illecito abbiano partecipato: a) persone che rivestano, nell'ambito della capogruppo, funzione di rappresentanza, di amminsitrazione o di direzione dell'ente o di una unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale nonché persone che esercitano, anche di fatto, la gestione ed il controllo dello stesso; ovvero b) persone sottoposte alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti di cui alla lettera a). Solo se anche tali soggetti (legati all'ente controllante da rapporti di rappresentanza o subordinazione), hanno partecipato alla commissione del delitto, sarà possibile ipotizzare una responsabilità della holding per fatti di reato. In altri termini, per quanto concerne ipotesi di reato che riguardino talune delle società collegate o controllate astrattamente, la capogruppo può rispondere solo se vi hanno concorso i propri organi gestori anche in relazione a reati che sono stati commessi nell'ambito della gestione di altre società.
· Deve poi ricorrere una possibilità giuridica da parte della controllante nella realizzazione di attività di gestione, nel senso di possibilità di ingerenza nell'organizzaizone della controllata, in modo tale che possa addebitarsi anche alla controllante la mancata adozione di strumenti organizzativi atti a prevenire la esecuzione delle condotte illecite. Una tale ipotesi ricorrerà assai difficilmente, proprio per la autonomia giuridica, ma del pari organizzativa di ciascuna soggettività giuridica. G.U.P. Milano, 17 novembre 2009 (caso: Impregilo) [confermata da C. App. Milano, sez. II, 21 marzo-8 giugno 2012], Le Società, 2010, p. 473, note: C.E. Paliero, V. Salafia. Resp. Amm. Soc. n. 4/2010 p. 149, nota: T. Epidendio. Corr. Merito, n. 3/2010, p. 291, nota: G.L.Gatta, aliis p. 300, nota: G.Lunghini, L.Musso. Riv. Trim. Dir. Pen. Eco., 2010, p. 607, nota: A. Spinelli.
· Dall'interpretazione sistematica dell'art. 5, co. II, e dell'art. 12, co. I, lett. a), i quali, prevedono una riduzione della sanzione pecuniaria se l'autore del reato ha commesso il fatto "nel prevalente interesse prorpio o di terzi e l'ente non ne ha ricavato vantaggio o ne ha ricavato un vantaggio minimo", si ricava che, ai fini della resposabilità dell'ente, il reato possa essere destinato a soddisfare contestualmente l'interesse di diversi soggetti, purchè tra qeuesti soggetti vi sia anche l'ente nel quale chi ha comesso il reato rivesta una posizione rilevante ex art. 5, co. I, lett. a) D.Lgs 231/01 (nel caso de quo la corte territoriale è stata chiamata a statuire in merito ad una attività corruttiva finalizzata all'interesse di più società, non solo di quelle che avevano direttamente ottenuto l'aggiudicazione degli appalti, in conseguenza di condotte corruttive, ma anche delle società controllanti, nella prospettiva della partecipazione agli utili). Trib. Riesame Milano, ord. 14 dicembre 2005 (caso: Sogefi), in Foro It., 2005, II, c. 527.
· Ciò che pare mancare in capo alla holding ed a quanti la governano è proprio il dovere di impedire che le altre spcietà presenti nel medesimo gruppo conformino la loro condotta ai dettami del diritto penale: la capogruppo, infatti, rispetto alle altre società, è un mero titolare di partecipazioni azionarie e "nessun obbligo di vigilanza ed intervento incombe sul socio come tale, indipendentemente dalla misura della sua partecipazione e dall'eventuale capacità di influenza dominante". Ne consegue che una eventuale responsaiblità da reato della holding per fatti illeciti commessi da soggetti facenti capo alle società controllate potrà sostenersi in ipotesi assolutamente residuali, allorquando determinati indici oggettivi dimostrino come la condotta delittuosa sia stata tenuta in esecuzione di direttive e dettami provenienti dagli amministratori della capogruppo, i quali, non solo non hanno impedito la commissione di reati, ma hanno determianto altri soggetti alla violazione della legge penale, profittando della loro posizione di supremazia all'interno del raggruppamento societario. E' onere della pubblica accusa una puntuale dimostrazione che dalla holding è pervenuta non una generica direttiva all'ottenimento di determinati risultati imprenditoriali, per il cui raggiungimento i gestori delle controllate hanno ritenuto di dover agire delittuosamente, quanto veri e propri suggerimenti penalmente illegittimi, si che le direttrici generali del programma contengono già in nuce, sufficientemente predeterminati, almeno i tratti essenziali dei singoli comportamenti delittuosi poi realizzati dai compartecipi.
Parimenti in maniera assolutlamente rigorosa deve essere valutata la sussistenza del requisito del vantaggio o dell'interesse per la capogruppo della condotta illecita. La circostanza, infatti, che il reato sia stato commesso eventualmente con il concorso degli amministratori della capogruppo, ma nell'ambito di una società controllata, rende l'interesse connesso all'azione delittuosa o il vantaggio che ne consegue non immediatamente riferibile alla società controllante, con la conseguenza che una respnsabilità di quest'ultima per fatti di reato commessi nell'esercizio di attività imrpenditoriali di altre società sussiste solo laddove sia possibile - sulla base di un attento esame della vicenda concreta- sostenere che l'interesse perseguito dalla controllata o il vantaggio da questa ottenuto si riverbera in maniera significativa sul patrimonio o sulle disposnibile della holding. G.U.P. Milano, 17 novembre 2009 (caso Impregilo) [confermata da C. App. Milano, sez. II, 21 marzo-8 giugno 2012], Le Società, 2010, p. 473, note: C.E. Paliero, V. Salafia. Resp. Amm. Soc. n. 4/2010 p. 149, nota: T. Epidendio. Corr. Merito, n. 3/2010, p. 291, nota: G.L.Gatta, aliis p. 300, nota: G.Lunghini, L.Musso. Riv. Trim. Dir. Pen. Eco., 2010, p. 607, nota: A. Spinelli.
· Nei reati colposi l'interesse e/o il vantaggio vanno letti, nella prospettiva patrimoniale dell'ente, come risparmio di risorse economiche conseguente alla mancata predisposizione dello strumentario di sicurezza ovvero come incremento economico conseguente all'aumento della produttività non ostacolata dal pedissequo rispetto della normativa prevenzionale. Cassazione penale, sez. IV, del 23/06/2015, n. 31003.
· Miscellanea:
· In tema di responsabilità da reato degli enti, il criterio di imputazione di cui all'art. 5, D.Lgs. n. 231/2001 può essere correlato anche ai reati colposi previsti dall'art. 25 septies, rapportando l'interesse o il vantaggio non all'evento delittuoso, ma alla condotta violativa di regole cautelari che ha reso possibile la consumazione del reato. Non è possibile ravvisare l'interesse o vantaggio in re ipsa nello stesso ciclo produttivo in cui si è realizzata la condotta causalmente connessa all'infortunio, con conseguente sussistenza automatica dei presupposti della responsabilità amministrativa dell'ente, solo perché il reato è stato commesso nello svolgimento della sua attività, ma è sempre necessario procedere a una verifica in concreto. Trib. Novara, 1 ottobre 2010, in COrriere del Merito, 2011, 4, 403.
· La pronuncia in oggetto è d'interesse in quanto in parte motiva i giudici di merito evidenziano l'uso strumentale ch egli indagati avrebbero fatto della società cooperativa, tanto da tradirne le finalità mutualistiche, sfruttandola per il proprio personale vantaggio; in atri passaggi, la Corte sottolinea come l'attività della società de qua era di fatto fittizia; giungendo, infine, a dubitare che possa trattarsi di una società intrinsecamente criminosa. Si oscilla tra una ricostruzione in cui la società viene considerata una "vittima" dell'operato di un gruppo di persone e, quindi, di un oggetto nelle mani di una organizzazione criminale finalizzata alla realizzazione di una serie di reati per mezzo della società e non a favore o nell'interesse della stessa, e la ricostruzione alternativa in cui alla stessa società viene attribuita una natura illecita. Rebus sic stantibus è stata così confusa l'associazione a delinquere con la società nel senso che dove c'è interesse per l'associazione si individua automaticamente anche l'interesse per l'ente operando così una sovrapposizione che è estranea al modello della responsabilità dell'ente, ex art. 5 D.Lgs 231/01. Cass. Pen., sez. VI, n. 32627 del giugno-2 ottobre 2006 (caso: la Fiorita), in Guida al Dir., n. 42/2006, p. 61, nota G. Amato. Corr. Trib., 2007, p. 43, nota P.Corso. Impresa, 2006, p. 1856, nota G.Izzo. Cass. Pen., 2007, p. 80, nota: S.Renzetti. D. & G., n. 41/2006, p. 54, nota F.Spagnolo.
· Nel caso di reato presupposto di formazione fittizia del capitale la misura dell'incremento fittizio del patrimonio individua non solo l'interesse dell'ente, concorrente con quello proprio della persona fisica, quale criterio di ascrizione della responsabilità amministrativa da reato, ma anche il vantaggio o meglio la misura del profitto confiscabile. Cass. pen. Sez. II, 12-03-2014, n. 16359; Rivista231.it
Art. 6
Soggetti in posizione apicale e modelli di organizzazione dell'ente
* * *
1. Se il reato è stato commesso dalle persone indicate nell'articolo 5, comma 1, lettera a), l'ente non risponde se prova che:
a) l'organo dirigente ha adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi;
b) il compito di vigilare sul funzionamento e l'osservanza dei modelli di curare il loro aggiornamento è stato affidato a un organismo dell'ente dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo;
c) le persone hanno commesso il reato eludendo fraudolentemente i modelli di organizzazione e di gestione;
d) non vi è stata omessa o insufficiente vigilanza da parte dell'organismo di cui alla lettera b).
2. In relazione all'estensione dei poteri delegati e al rischio di commissione dei reati, i modelli di cui alla lettera a), del comma 1, devono rispondere alle seguenti esigenze:
a) individuare le attività nel cui ambito possono essere commessi reati;
b) prevedere specifici protocolli diretti a programmare la formazione e l'attuazione delle decisioni dell'ente in relazione ai reati da prevenire;
c) individuare modalità di gestione delle risorse finanziarie idonee ad impedire la commissione dei reati;
d) prevedere obblighi di informazione nei confronti dell'organismo deputato a vigilare sul funzionamento e l'osservanza dei modelli;
e) introdurre un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello.
3. I modelli di organizzazione e di gestione possono essere adottati, garantendo le esigenze di cui al comma 2, sulla base di codici di comportamento redatti dalle associazioni rappresentative degli enti, comunicati al Ministero della giustizia che, di concerto con i Ministeri competenti, può formulare, entro trenta giorni, osservazioni sulla idoneità dei modelli a prevenire i reati.
4. Negli enti di piccole dimensioni i compiti indicati nella lettera b), del comma 1, possono essere svolti direttamente dall'organo dirigente.
4-Bis. Nelle società di capitali il collegio sindacale, il consiglio di sorveglianza e il comitato per il controllo della gestione possono svolgere le funzioni dell'organismo di vigilanza di cui al comma 1, lettera b). (*)
5. È comunque disposta la confisca del profitto che l'ente ha tratto dal reato, anche nella forma per equivalente.
(*) Comma 4-Bis in vigore dal 1 gennaio 2012 - Legge 12 novembre 2011, n. 183 - G.U. 14.11..2011 n. 265 - Suppl. Ord. n. 234, "Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge di stabilità 2012"
- Relazione Ministeriale al Decreto:
Nozione di apicale:
"...funzione apicale sia rivestita in via formale (prima parte della lettera a), sia in rapporto all' "esercizio anche di fatto" delle funzioni medesime (seconda parte della lettera a). A questo proposito, si noti che, ricalcando testualmente la delega, tale locuzione è stata riconnessa alle funzioni di gestione e di controllo; esse devono dunque concorrere ed assommarsi nel medesimo soggetto il quale deve esercitare pertanto un vero e proprio dominio sull'ente. Resta, perciò, escluso dall'orbita della disposizione l'esercizio di una funzione di controllo assimilabile a quella svolta dai sindaci. Costoro non figurano nel novero dei soggetti che, formalmente investiti di una posizione apicale, possono commettere illeciti che incardinano la responsabilità dell'ente: a maggior ragione, quindi, non è pensabile riferire una responsabilità all'ente per illeciti relativi allo svolgimento di una funzione che si risolve in un controllo sindacale di fatto (ciò, a tacere dei dubbi che sussistono in ordine alla stessa configurabilità di una simile forma di controllo). In definitiva, la locuzione riportata nello schema di decreto legislativo è da proiettare solo verso quei soggetti che esercitano un penetrante dominio sull'ente (è il caso del socio non amministratore ma detentore della quasi totalità delle azioni, che detta dall'esterno le linee della politica aziendale e il compimento di determinate operazioni). Un'interpretazione difforme si sarebbe scontrata contro un eccesso di indeterminatezza della nozione di "controllo di fatto". L'aspetto che merita maggiore attenzione concerne tuttavia l'equiparazione, ai soggetti che ricoprono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell'ente, delle persone che rivestono le medesime funzioni in una "unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale". La previsione richiama un fenomeno ben noto, ed anzi in via di progressiva espansione; si pensi ai c.d. direttori di stabilimento che, nelle realtà aziendali medio-grandi, sono molto spesso dotati di una forte autonomia gestionale e sottratti al controllo delle sedi centrali. La collocazione di questi soggetti all'interno della lettera a) e quindi come soggetti apicali, è suggerita, oltre che dall'osservazione del dato empirico, anche da considerazioni di natura sistematica: come noto, infatti, la figura ha da tempo trovato ingresso nel nostro ordinamento, in materia di sicurezza sul lavoro, dove pure affonda la sua ratio nella tendenziale comunione tra poteri-doveri e responsabilità. Resta peraltro fermo che, nelle realtà economiche segnate da una minore complessità, la carenza di autonomia finanziaria o funzionale, consentirebbe di degradare l'unità organizzativa dalla lettera a) alla successiva lettera b) (soggetti sottoposti alla direzione o vigilanza degli apici), con le conseguenze che saranno di seguito illustrate.
3.3. I criteri di imputazione sul piano soggettivo: Si è prima ricordato come, in passato, la principale controindicazione all'ingresso di forme di responsabilità penale dell'ente fosse ravvisata nell'art. 27, comma 1, Cost., inteso nella sua accezione di principio di colpevolezza in senso "psicologico", e cioè come legame psichico tra fatto ed autore. Si è anche già detto che una rinnovata concezione della colpevolezza in senso normativo (riprovevolezza) consente oggi di adattare comodamente tale categoria alle realtà collettive...
...Ai fini della responsabilità dell'ente occorrerà, dunque, non soltanto che il reato sia ad esso ricollegabile sul piano oggettivo (le condizioni alle quali ciò si verifica, come si è visto, sono disciplinate dall'art. 5); di più, il reato dovrà costituire anche espressione della politica aziendale o quanto meno derivare da una colpa di organizzazione.
...All'ente viene in pratica richiesta l'adozione di modelli comportamentali specificamente calibrati sul rischioreato, e cioè volti ad impedire, attraverso la fissazione di regole di condotta, la commissione di determinati reati. Requisito indispensabile perché dall'adozione del modello derivi l'esenzione da responsabilità dell'ente è che esso venga anche efficacemente attuato: l'effettività rappresenta, dunque, un punto qualificante ed irrinunciabile del nuovo sistema di responsabilità.
3.4 I criteri di imputazione soggettiva nel caso di reato commesso dagli apici: ... l'ente dovrà dimostrare che il comportamento integrante il reato sia stato posto in essere dal vertice eludendo fraudolentemente i suddetti modelli di organizzazione e di gestione. La lettera c) bene si presta, dunque, a fotografare le ipotesi di c.d. "amministratore infedele", che agisce cioè contro l'interesse dell'ente al suo corretto funzionamento. Si noti peraltro che secondo questa disciplina, affinché venga meno la responsabilità dell'ente, non è sufficiente che ci si trovi di fronte ad un apice infedele; si richiede - di più - che non sia ravvisabile colpa alcuna da parte dell'ente stesso, il quale - attraverso il suo organismo - deve aver vigilato anche sull'osservanza dei programmi intesi a conformare le decisioni del medesimo secondo gli standard di "legalità preventiva" (lett. d).
Una notazione finale. La circostanza che, nel caso di elusione fraudolenta del modello senza colpa dell'ente, non sia ravvisabile alcuna responsabilità dello stesso, nulla toglie all'inopportunità che la persona giuridica si giovi dei profitti economici che abbia comunque tratto dall'operato del c.d. amministratore infedele. Per tale ragione, l'articolato prevede che, anche in queste ipotesi, venga disposta la confisca del profitto del reato.
- Giurisprudenza:
- Soggetti in posizione apicale - Modelli Organizzativi, facoltà - obbligo; Modelli Organizzativi: requisiti - Esimente - Distinzione tra confisca ex art. 6 e confisca ex art. 19 - Cfr. juris sub art. 5 -
· Soggetti in posizione apicale:
· La nozione di soggetto apicale di un ente viene definita dall'esercizio formale di funzioni di rappresentanza, amministrazione o direzione, mentre l'esercizio di fatto per essere rilevante deve avere riguardo cumulativamente alle funzioni di gestione e controllo, volendosi includere tra i vertici solo quei soggetti che esercitano un penetrante dominio sull'ente. In assenza di una definizione delle citate funzioni di amministrazione, rappresentanza e direzione, si possono utilizzare in via interpretativa le norme dettate in proposito in altre branche dell'ordinamento interno, così da ricostruire il concetto di amministrazione come legato al potere di gestione e controllo delle risorse materiali dell'ente, il concetto di direzione come legato al potere di gestione e controllo del personale dell'ente, il concetto di rappresentanza come legato alla formazione, manifestazione all'esterno e alla ricezione della volontà dell'ente in relazione agli atti negoziali. Trib. Milano, sez. XI, 26 giugno 2008, in Foro ambrosiano 2008, 3, 335.
· Datore di lavoro, dirigente e impresa appaltante rispondono della morte del dipendente della cooperativa appaltatrice che, durante la pausa per la cena, cade accidentalmente su un nastro mobile non adeguatamente protetto e muore. Nel caso di specie nonostante l'attività del lavoratore non avesse niente a che fare con il nastro stesso, secondo la Suprema Corte, i profili di colpa contestati ai due imputati attengono alla mancanza di misure di sicurezza blocchi e ripari delle parti mobili del nastro, all'omessa predisposizione di un documento di valutazione dei rischi da interferenze, nonché alla carenza di formazione dei lavoratori. Cass. pen. Sez. IV, 19.02.2015, n. 18073
· Modelli Organizzativi - facoltà - obbligo:
· In tema di responsabilità da reato degli enti, la colpa di organizzazione, da intendersi in senso normativo, è fondata sul rimprovero derivante dall'inottemperanza da parte dell'ente dell'obbligo di adottare le cautele, organizzative e gestionali, necessarie a prevenire la commissione dei reati previsti tra quelli idonei a fondare la responsabilità del soggetto collettivo, dovendo tali accorgimenti essere consacrati in un documento che individua i rischi e delinea le misure atte a contrastarli. Cassazione penale, SS.UU., 24.04.2014, n. 38343, Rivista231.it.
· Il dettato normativo ex D.Lgs 231/01 non prevede l'obbligo per gli enti di adottare Modelli Organizzativi, i quali, costituiscono solamente una condizione esimente della responsablità dell'ente. In virtù di ciò, la mancata adozione di di detti Modelli non può costituire automaticamente una resposnabilità dell'ente. Cfr., ex plurimis, Cass. Pen., sez. VI, n. 36083 del 9 luglio - 17 settembre 2009 (caso: Mussoni), Cass. Pen, 2010, p. 1938, nota: M.Lei. Resp. Amm. Soc., n. 2/2010, p. 193, nota: S.Beltrani. - C. Ass. Torino, sez. II, 15 aprile - 14 novembre 2011 (caso: ThyssenKrupp), nota: S.Zirulia, M.L.Mannella; Guida al Dir. N. 49-50/2011, p. 50, nota: G.Marra; Foro it., 2012, II, c. 24; Resp. Amm. Soc., n. 1/2012, p. 193, nota: R.Bartoli, D.Bianchi; Giur. It., 2012, p. 913, nota: E.Zanalda; resp. Amm. Soc. n. 3/2012, p. 83, nota: T.Guerini.
· La mancata adozione dei Modelli Organizzativi ex D.Lgs 231/01, in presenza dei presupposti oggettivi e soggettivi previsti ex D.Lgs 231/01 (reato commesso nell'interesse o vantaggio della società e posizione apicale dell'atuore materiale del reato), è sufficiente a costituire quella "rimproverabilità" (rectius colpa da organizzazione) di cui alla Realzione Ministeriale al Decreto Legislativo e ad integrare la fattispecie sanzionatoria, costituita dall'omissione delle previste e doverose cautele organizzative e gestionali idonee a prevenire le tipologie criminose p. e p. ex D.Lgs 231/01. Cass. Pen., sez. VI, n. 36083 del 9 luglio - 17 settembre 2009 (caso: Mussoni), Cass. Pen, 2010, p. 1938, nota: M.Lei. Resp. Amm. Soc., n. 2/2010, p. 193, nota: S.Beltrani.
· L'adozione dei Modelli Organizzativi costituiscono una incoercibile scelta dell'ente virtuoso, il quale, così facendo si dota di uno strumento organizzativo che, al di là del mero adempimento formale e burocratico (ove preventivamente adottato ed in grado di efficacemente eliminare o ridurre ad un rischio accettabile la commissione di illeciti da parte della società), comporta l'esclusione della responsabilità amministrativa. G.U.P. Tribunale Novara, 1 ottobre 201, in Corr. Merito n. 4/2011, p. 403, nota: G.Lunghini, L.Paris; Dir. Pen. Cont. 2011, nota: M.Pelazza; Resp. Amm. Soc. n. 2201, p. 161, nota: D.Zaniolo.
· Modelli Organizzativi, requisiti:
· Al fine di una valutazione positive sull'adeguatrezza del Modello Organizzativo, il medesimo deve rispondere ai seguenti criteri:
a) Individuare le attività nel cui ambito possano essere commessi i reati;
b) Prevedere specifici protocolli diretti a programmare la formazione e l'attuazione delle decisioni dell'ente in relazione ai reati da prevenire;
c) Individuazione delle modalità di gestione delle risorse dinanziarie idonee ad impedire la commissione di reati;
d) Prevedere obblighi di informazione nei confronti dell'organismo deputato a vigilare sul funzionamento e l'osservanza dei modelli;
e) Introdurre un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello.
E' da ritenersi idoneo il Modello adottato, se si limita a percorrere precetti sanzionati penalmente senza specificare alcun protocollo di lavoro che, prescrivendo i singoli passaggi che debbono essere eseguiti, consenta di neutralizzare gli snodi a rischio.
È da ritenersi inidoneo il Modello adottato che ometta la specificazione persino delle sanzioni disciplinari, oltre che degli illeciti e della correlazione (eventuale o necessaria od improbabile) tra illecito e sanzione. Rebus sic stantibus, non può parlarsi di sistema sanzionatorio idoneo se non si comprende a quale pratica decisione sanzionatoria effettiva condurrà eventualmente il procedimento disciplinare avviato dai nuovi nuclei gestionali. Resta inteso che il sitema sanzionatorio intra-aziendale va a sommarsi a quelli esterni istituzionali (penale e ammisnitrativo). G.I.P. Bari, 18 aprile 2011, Le società, 2006, p. 365, nota: S.Bartolomucci.
· Ex art. 6, co. II, lett. d), D.Lgs 231/01, è stato previsto che i Modelli debbano prevedere flussi informativi da e verso l'Organismo di Vigilanza. Deve altresì essere previsto che tutti gli organi dell'ente, apicali e subordinati, debbano segnalare all'Organismo di Vigilanza la commissione o anche solo la presunta commissione dei reati, del codice etico, del Modello e delle procedure attuative del medesimo. La violazione di tali obblighi informativi verso l'O.d.V. deve essere specificatamente sanzionata.
Per quanto concerne le violazioni del codice etico e del Modello da parte dei lavoratori subordinati dovranno essere tipizzate e sanzionate le violazioni. E' duopo sottolinare come il sistema sanzionatorio debba essere predisposto in ossequio Statuto dei Lavoratori (art. 7) e/o delle normative speciali, all'art. 7 della L. n. 300/70 ed al C.C.N.L. di categoria.
In relazione all'aspetto della comunicazione e della formazione, l'ente deve impegnarsi espressamente alla divulgazione del Modello a tutti i subordinati ed agli apicali (quindi, con funzione di gestione, amminsitrazione, controllo), attraverso i mezzi informativi ritenuti più opportuni ed al fine di garantirne una effettiva conoscenza l'ente dovrà altresì attuare programmi di formazione sul Modello e sul Codice Etico ed una formazione specifica per i membri dell'O.d.V.. Deve altresì essere previsto che la partecipazione e frequenza dei dipendenti a detti corsi di formazione debba essere prevista con carattere di obbligatoriatorietà e debba altresì essere prevista una verifica sulla qualità dei contenuti dei programmi formativi. G.I.P. Napoli, ord. 26 giugno 2007 -massima non ufficiale- nota: M.Cardia, in Resp. Amm. Soc., n. 4/200, p. 163.
· Deve essere previsto regolamentato un obbligo per gli apicali ed i subordinati dell'ente (amministratori della società, direttori, dipendenti), di riferire all'Organismo di Vigilanza notizie rilevanti e relative alla vita dell'ente, a violazioni del modello o alla consumazione di reati.
Devono essere date concrete indicazioni sulle modalità attraverso le quali coloro che vengono a conosenza di comportamenti illeciti possano riverire all'organismo di vigilanza.
Stante l'importanza dei flussi informativi predisposti dal Modello, l'esistenza dei medeismi deve essere resa nota (unitamente alla diffusione di tutto il Modello) agli apicali e subordinati della società. G.I.P. Milano 20 settembre 2004 (caso: VCM), in Guida al Dir. N. 47/2004, p. 69, nota: G.P.DelSasso; in Corr. Giur., n. 1/2005, p. 85, nota: G.Lunghini; in Foro It., 2005, II, c. 528, nota: G.M.Armone.
· Ex art. 6, co. III, D.Lgs 231/01, è stato previsto che i Modelli possano essere adottati, oltre che ottemperando a quanto previsto al precedente comma II, possano essere predisposti in ossequio ai dettami dei codici di comportamento predisposti dalle associazioni di categoria degli enti, comunicati al Ministero della Giustizia, il quale, in concerto con i Ministeri competenti, può formulare, entro 30 giorni, osservazioni sulla idoneità dei modelli a prevenire i reati.
La ratio di tale previsione è volta alla promozione dell'eticità e del rispetto della legge, già all'interno delle categorie interessate e di impelementare la formazione di codici tecnicamente strutturati che possano fungere da utile punto di riferimento operativo per i soggetti interessati.
Il riconoscimento della capacità di autoregolamentazione delle associazioni di categoria (Cfr. ex pluribus: Confindustria, A.B.I., Confcommercio etc. etc.) è sottoposta ad un vaglio di conguità da parte del Ministero della Giustizia e di quello competente per il settore di appartenenza dell'ente, così da evitare che possanoessere assunti codici comportamentali puramente formali o, comunque, non efficaci.
Ad ogni buon conto, spetta sempre e comuunque solamente al Giudice ogni valutazione sulla efficacia dei Modelli e, quidi, non potrà riconoscersi valenza esimente ai modelli adottati in ossequio alle succitate linee guida predisposte dalle associaizoni di categoria, anche nel caso in cui il Ministero della Giustizia non abbia effettuato rilievo alcuno. G.I.P. Bari, 18 aprile 2005, Le Società, 2006, p. 365, nota: S.Bartolomucci.
· Il D.P.S. (documento di valutazione dei rischi ex artt. 26, 28 D.Lgs. n. 81/2008), non sono in alcun modo equiparabili al Modello di Organizzazione Gestione e Controllo previsto ex art. 30 D.Lgs 231/01. Il sistema introdotto ex D.Lgs 231/01 prevede l'adozione di un modello organizzativo diverso ed ulteriore rispetto a quello previsto dalla normativa antinfortunistica. Trib. Trani (sez. dist. Molfetta), 26 ottobre 11 gennaio 2010 (caso: Truck Center), in COrr. Merito, n. 4 2010 p. 408, note: G.L.Gatta, M.Pelazza; Dir Pen. Proc., 2010, p. 842, nota: R.Salonia, C.Petrucci, S.Taddei; Le Società, 2010, p. 1116, nota: M.Scoletta; Riv. Trim. Dir. Pen. Eco., 2010, p. 539, nota: G.Checcacci; Resp. Amm. Soc. n. 4/2010, p. 168, nota: M.Cardia.
· I Modelli di Organizzazione Gestione e Controllo hanno quale requisito principie la concreta e specifica efficacia dei medesimi e la dinamicità nel plasmarsi sulle caratteristiche azindali che mutano nel corso della vita della medesima. Ciò posto, essi devono scaturire da una visione realistica ed economica dei fenomeni aziendali e non esclusivamente giuridico-formale.
In ambito squisitamente cautelare, la valutazione da compiersi è duplice: la prima è una analisi volta a saggiare l'idoneità strutturale del modello organizzativo, saggiandone l'esaustività, la concretezza e la specificità dei singoli enucniati; il secondo attiene all'efficacia della sua attuazione.
Sotto l'aspetto strutturale e contenutistico, il modello deve costituire l'esito di una corretta mappatura ed analisi del rischio reato (cd. Risk analysis) e, pertanto, l'esito di una corretta valutazione della vulnerabilità oggettiva dell'ente in rapporto alla sua organizzazione ed alla sua attività. Eseguita l'analisi del rischio reato e, quindi, individuate tutte le aree sensibili, devono essere stabiliti per ognuna di esse degli specifici protocolli di prevenzione che regolamentino nel modo più incisivo ed efficace le attività ad elevato rischio reato, regolamentendo l'operativià aziendale in detti frangenti e predisponendo cosntantementen controlli e vedendo altresì adeguate sanzioni per perseguire e disincentivare le violazioni così da garantire una effettiva attuazione dell'intero sistema organizzativo. G.I.P. Napoli, ord. 26 giugno 2007, nota: M.Cardia, in Resp. Amm. Soc. 4/2007, p. 160.
· Nel caso de quo la Corte ha sottolineato come l'Organismo di Controllo, per assolvere pienamente alle funzioni previste ex lege deve deve necessariamente essere dotato di indispensabili poteri di iniziativa, indipendenza e controllo. Da ciò ne discende che l'organismo di controllo non dovrà avere compiti operativi (quindi ad es. non dovrà essere partecipe di decisioni dell'attività dell'ente), in quanto dette incombenze potrebbero pregiudicare la serenità di giudizio al momento delle verifiche. Detta ratio si ritiene auspicabile che venga osservata anche nella scelta dei componenti dell'organismo di vigilanza, essendo che il medesimo deve essere formato da soggetti non appartenenti ad organi sociali, avvalendosi, quindi, di collaboratori esterni, forniti della necessaria professionalità e, quindi, in grado di concretizzare quell'organismo dell'ente dotato di aautonomi poteri di inizativa e controllo. Componenti che, nel caso di enti di dimensioni medio-grandi, dovrà avere forma collegiale, così come dovrà avere una continuità d'azione, ovverosia un impegno esclusivo sull'attività di vigilanza relativa alla concreta attuazione del Modello. Infatti, la commistione tra il ruolo di vigilanza proprio dell'organo di vigilanza e il ruolo di ammisnitrazione attiva, acclara un palese pericolo di interferenza e, quindi, di rischio reato. G.I.P. Roma, 4 aprile 2003 (caso: Finspa), in Cass. Pen. 2003, p. 2803, nota: P.DiGeronimo; Guida al Dir. N. 31/2003, p. 66, nota: G.Amato; Riv. Trim. Dir. Pen. Eco., 2004, p. 293, nota A.Nisco.
· Esimente:
· I Modelli Organizzativi previsti ex D.Lgs 231/01 hanno natura facoltativa e possono essere adottati ante factum o post factum. Se adottati a scopo preventivo (ante factum), a determinate condizioni costituiscono elementi impeditivi della responsabilità dell'ente in evento di illecito amministrativo dipendente da reato (ex art. 6 D.Lgs 231/01), mentre, qualora adottati post factum, ex art. 12, lett. b), D.Lgs 231/01, costituiscono una attenuante della responsabilità con l'effetto dell'inflizione di sanzioni diminuite. Trib. Milano, ord. N. 2333 del 14 dicembre 2004, in Foro It., 2005, II, c. 527.
· La valutazione di efficacia del modello di organizzazione dell'impresa societaria deve essere compiuta dal Giudice con riferimento al tempo della sua adozione e attuazione. Trib. Milano 17.11.2009, in Le Società, Ipsoa,4, 2010, p. 473. nota Paliero e Salafia.
· In tema di responsabilità da reato degli Enti, la persona giuridica che abbia adottato e -con valutazione ex ante- efficacemente attuato un valido modello organizzativo/gestionale volto alla prevenzione degli illeciti societari della specie di quello verificatosi (agiottaggio), non risponde dell'illecito collegato al reato presupposto allorquando il reato sia stato commesso eludendo fraudolentemente il succitato modello. Nel caso di specie la Corte ha accertato e statuito che: "Se si fosse seguita la procedura prevista dal modello sarebbe stato impossibile per gli imputati attuare il loro proposito di "rassicurare" il mercato e di "abbellire" il bilancio della ...società Alfa... in danno degli investitori. Per tutti questi motivi si ritiene che i comportamenti illeciti oggetto di imputazione non siano frutto di un errato modello organizzativo, ma siano da addebitare al comportamento dei vertici della società che risultano in contrasto con le regole interne del modello organizzativo regolarmente adottato. La società deve essere pertanto dichiarata non punibile ex art. 6 legge 231/2001.". Tribunale di Milano, G.I.P. E.Manzi, 17 novembre 2009 (cd. caso "impregilo") -massima non ufficiale- www.Codice231.com -. Pronuncia confermata da C. App. Milano n. 1824 del 21 marzo 2012.
· L'autonomia di inziativa e controllo dell'Organismo di Vigilanza deve sempre essere garantita. L'OdV deve essere preservato da ogni forma di interferenza e/o condizionamento da parte di qualunque componente dell'ente. L'autonomia deve, in primis, sussistere rispetto agli apicali (organo dirigente). I componenti dell'OdV provenienti dall'ente non devono svolgere funzioni operative (nel caso de quo il Modello è stato giudicato non idoneo, essendo che un componente dell'OdV si occupava operativamente di manutenzione degli impianti, dal che il palese conflitto d'interessi in cui operava quale membro dell'OdV. Nel caso di specie si è perfezionata una violazione dell'art. 25-septies). C. Ass. Torino, sez. I, 28 febbraio 2013 (caso: TyssenKrupp), in Penalecontemporaneo.it, 3 giugno 2013, nota: S.Zirula, 17 giugno 2013, nota: R.Bartoli; Il Quotidiano Ipsoa, 5 marzo 2013, nota: R. Codebò; Dir. Pen. Proc., 2013, p. 923, nota: M.N.Masullo.
· Non può essere considerato idoneo a prevenire i reati e ad escludere la responsabilità amministrativa dell'ente un modello aziendale di organizzazione e gestione, adottato ai sensi degli art. 6 e 7 d.lg. 8 giugno 2001 n. 231, che non preveda strumenti idonei a identificare le aree di rischio nell'attività della società e a individuare gli elementi sintomatici della commissione di illeciti, quali la presenza di conti correnti riservati all'estero, l'utilizzazione di intermediari esteri al fine di rendere più difficoltosa la scoperta della provenienza dei pagamenti, la periodicità dei pagamenti in relazione alle scadenze delle gare di appalto indette dalla società. Trib. Milano, 28 ottobre 2004, in Foro it. 2005, II, 269
· In materia di responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni private, i soggetti collettivi privati, con o senza personalità giudica, ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 1390 e 1391 c.c., 5 e 6 d.lgs. n. 231/2001, sono responsabili sul piano amministrativo per i reati (quali sono quelli in materia di rifiuti ed inquinamento) commessi nel loro interesse o vantaggio da persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell'ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale, nonché da persone che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dello stesso. Tale responsabilità, che si fonda sul rapporto di immedesimazione organica del rappresentante nell'ente rappresentato, può essere evitata solo con la prova, da parte dello stesso ente, dell'adozione di misure organizzative e funzionali di precauzione, di controllo e di prudenza. T.A.R. Trento - Trentino Alto Adige, sez. I, 2 novembre 2011, n. 275.
· In tema di responsabilità da reato degli enti, la persona giuridica che abbia omesso di adottare ed attuare il modello organizzativo e gestionale non risponde del reato presupposto commesso da un suo esponente in posizione apicale soltanto nell'ipotesi in cui lo stesso abbia agito nell'interesse esclusivo proprio o di terzi. Cass. pen., sez. VI, n. 36083 del 09 luglio 2009, Rv. 244256. CED Cass. pen.; Cass. pen. 2010, 5, 1938.
· Il modello di organizzazione e gestione, adottato dopo la commissione dell'illecito al fine di escludere l'applicazione delle misure cautelari, deve essere elaborato tenendo conto della struttura organizzativa dell'ente e della storia anche giudiziaria, della società (nella specie, il giudice ha ritenuto insufficienti i modelli organizzativi adottati post factum, da società controllanti, imputate di aver commesso illeciti nell' ambito della propria attività di direzione delle controllate, in quanto privi fra l'altro di meccanismi diretti a rendere difficile da parte dei vertici delle controllanti il coordinamento delle attività corruttive secondo analoghe modalità e negli stessi ambiti dove si erano verificati i reati all'origine del procedimento). Trib. Milano, 20 settembre 2004, Foro it. 2005, 10, 528
· La cd. "colpa dell' organizzazione " risulta provata in caso di assenza di modelli organizzativi idonei a prevenire reati della specie di quelli accertati a carico dell'amministratore (concussione), adeguatamente monitorati da un Organismo di Vigilanza. Trib. Milano, 28 aprile 2008, in Foro ambrosiano 2008, 3, 329.
· Nel corso di un procedimento per l'accertamento dell'illecito amministrativo ai sensi del d.lg. 8 giugno 2001 n. 231, il modello organizzativo adottato da una società partecipante a gare di appalto per la realizzazione di opere pubbliche non può essere considerato idoneo a prevenire i reati contro il patrimonio pubblico e dunque ad evitare in astratto l'applicazione della misura cautelare interdittiva del divieto di contrattare con la p.a., qualora non dedichi specifica considerazione all'area operativa dell'azienda nella quale sarebbe stato commesso il reato per cui si procede, non garantisca effettive autonomia e indipendenza all'organismo di controllo e non preveda, in deroga all'art. 2388 c.c., una maggioranza qualificata del consiglio di amministrazione per la sua modifica. Trib, Roma 04 aprile 2003, in Foro it. 2004, II, 317
· Deve valutarsi positivamente l'efficacia di un modello di organizzazione di una società nel quale, relativamente ai comunicati al mercato di notizie idonee ad influire sulla formazione dei prezzi degli strumenti finanziari emessi dalla stessa società, sono previsti gli interventi di una pluralità di funzioni aziendali nella loro predisposizione e redazione delle bozze nonché l'approvazione del presidente del consiglio di amministrazione e dell'amministratore delegato. Trib. Milano 17.11.2009, in Le Società, Ipsoa,4, 2010, p. 473. nota Paliero e Salafia.
· Non è censurabile la società in rappresentanza della quale il presidente del consiglio di amministrazione e l'amministratore delegato, eludendo il relativo modello di organizzazione dell'impresa, hanno diffuso sul mercato degli strumenti finanziari comunicati relativi alle condizioni patrimoniali e finanziarie della società, dopo aver manipolato i dati perpetrati dalle competenti funzioni aziendali. Trib. Milano 17.11.2009, in Le Società, Ipsoa,4, 2010, p. 473. nota Paliero e Salafia.
· L'art. 6, co. VI, D.Lgs231/01 prevede in termini facoltativi l'adozione di modelli organizzativi gestionali in ossequio alle linee guida delle associazioni di categoria degli enti, tuttavia, è d'uopo sottolineare come tale disposto non costituisca una una delega disciplinare a tali associazioni e neppure costituisce un rinvio per relationem ai codici di comporetamento previsti dalle associazioni rappresentative degli enti, in quanto, dette linee guida possono essere assunte come paradigma per la predisposizione di un valido modello da adottare, il quale, dovrà sempre e comunque caratterizzarsi con la efficacia e, quindi, il medesimo dovrà essere ulteriormente plasmato sulle caratteristiche della realtà aziendale nella quale è destinato a operare. Il fatto che i codici di comprotamento siano comunicati dal Ministero della Giustizia in ocncertazione con gli altri Ministeri competenti e che il medesimo possa formular eosservazioni, non vale certo a conferire ai modelli medesimi il crisma della incensurabilità (in quanto equvarrebbe a vincolare il Giudice ad un imprimatur del Ministero e/o aziendale, il tutto, in aperto contrato con la ratio della normativa di riferimento). Infatti, in tal senso argomentando, sulla base di tale assunto si porrebbe una prospettiva di privatizzazione della normativa da predisporre per impedire la commissione di reati. Resta inteso che il Giudice non potrà avere come parametri di valutazione suoi personali convincimenti o sue soggettive opinioni, essendo che anch'èsso dovrà fare riferimento alle linee guida ed alla ratio della normativa di riferimento, così come ai princpi della logica e della consolidata esperienza dello stare decisis. Cass. Pen., sez. V, n. 4677 del 18 dicembre - 20 gennaio 2014 (caso: impregilo), massima non ufficiale.
· Distinzione tra confisca ex art. 6 e confisca ex art. 19:
· In tema di responsabilità da reato degli enti collettivi, la confisca del profitto del reato prevista dagli artt. 9 e 19 d.lg. n. 231 del 2001 si configura come sanzione principale, obbligatoria ed autonoma rispetto alle altre previste a carico dell'ente, e si differenzia da quella configurata dall'art. 6, comma 5, del medesimo decreto, applicabile solo nel caso difetti la responsabilità della persona giuridica, la quale costituisce invece uno strumento volto a ristabilire l'equilibrio economico alterato dal reato presupposto, i cui effetti sono comunque andati a vantaggio dell'ente. Cassazione penale sez. un. 27 marzo 2008, n. 26654, Cass. pen. 2008, 12, 4544 (s.m.) -nota di: PISTORELLI-, CED Cass. pen. 2008, Riv. pen. 2008, 10, 1000.
· La confisca prevista con riferimento all'ipotesi di responsabilità degli enti collettivi per fatti di reato commessi a vantaggio o nell'interesse dell'ente medesimo ha natura sanzionatoria rappresentando la pena principale da applicare all'ente collettivo in caso di sua responsabilità, mentre laddove tale dichiarazione di responsabilità manchi ma a carico della persona giuridica sia disposta comunque la confisca, tale provvedimento in questo caso è privo di contrassegni punitivi ed è finalizzato esclusivamente al ristoro dell'equilibrio economico alterato. Cassazione penale, sez. II, 14 giugno 2006, n. 31989, Giur. it. 2007, 7, 1751.
Art. 7
Soggetti sottoposti all'altrui direzione e modelli di organizzazione dell'ente
* * *
1. Nel caso previsto dall'articolo 5, comma 1, lettera b), l'ente é responsabile se la commissione del reato è stata resa possibile dall'inosservanza degli obblighi di direzione o vigilanza.
2. In ogni caso, è esclusa l'inosservanza degli obblighi di direzione o vigilanza se l'ente, prima della commissione del reato, ha adottato ed efficacemente attuato un modello di organizzazione, gestione e controllo idoneo a prevenire reati della specie di quello verificatosi.
3. Il modello prevede, in relazione alla natura e alla dimensione dell'organizzazione nonché al tipo di attività svolta, misure idonee a garantire lo svolgimento dell'attività nel rispetto della legge e a scoprire ed eliminare tempestivamente situazioni di rischio.
4. L'efficace attuazione del modello richiede:
a) una verifica periodica e l'eventuale modifica dello stesso quando sono scoperte significative violazioni delle prescrizioni ovvero quando intervengono mutamenti nell'organizzazione o nell'attività;
b) un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello.
- Relazione Ministeriale al Decreto:
Nozione di soggetti gerarchicamente sottoposti all'ente:
Quanto ai dipendenti, non v'è ragione per escludere la responsabilità dell'ente dipendente da reati compiuti da tali soggetti, quante volte essi agiscano appunto per conto dell'ente, e cioè nell'ambito dei compiti ad essi devoluti. In altre parole, con riguardo al rapporto di dipendenza, quel che sembra contare è che l'ente risulti impegnato dal compimento, da parte del sottoposto, di un'attività destinata a riversarsi nella sua sfera giuridica.
3.5 I criteri di imputazione soggettiva nel caso di reato commesso dai sottoposti: ...Anche qui (come per i vertici), al momento della "posizione" del programma preventivo è necessario si accompagni quello del suo effettivo funzionamento. Così, ai fini dell'efficace attuazione del modello, la norma richiede, tra l'altro, il suo aggiornamento costante, oltre alla predisposizione di un sistema disciplinare funzionante. Le previsioni non intendono ovviamente essere tassative e fanno comunque salvi ulteriori protocolli comportamentali che, nel caso concreto, consentano di azzerare o di minimizzare il rischio.
Infine, è opportuno sottolineare come, a differenza che nel caso di reato commesso da persona in ruolo apicale, qui l'onere di provare la mancata adozione ovvero la mancata attuazione del modello da parte dell'ente gravi sull'accusa. La ragione è chiara (nulla poena sine culpa) e - lo si ribadisce - discende dalla gravità delle conseguenze suscettibili di prodursi in capo all'ente sul piano sanzionatorio. La puntualizzazione riveste peraltro un'importanza non secondaria anche nei casi in cui la misura sia applicata in fase cautelare, mettendo così al riparo dall'eventualità di un eccesso nel ricorso a misure cautelari potenzialmente assai invasive.
- Giurisprudenza:
- Soggetti sottoposti all'altrui direzione e modello di organizzazione e prevenzione dell'ente -
· Soggetti sottoposti all'altrui direzione e modello di organizzazione e prevenzione dell'ente:
· Perché possa configurarsi la responsabilità dell'ente per reati commessi da soggetti sottoposti all'altrui direzione e vigilanza (art. 5, comma 1, lett. b), è necessario che, ai sensi dell'art. 7 d.lg. n. 231 del 2001, la commissione del reato sia stata resa possibile dalla violazione degli obblighi di vigilanza e controllo alla cui osservanza la struttura è tenuta. Trib. Milano, 27 aprile 2004, Riv. dottori comm. 2004, 904, nota di: TROYER.
· In tema di responsabilità delle persone giuridiche, il d.lg. n. 231 del 2001 ha introdotto un obbligo di adempienza allorquando venga scoperto o comunque prospettato un reato che coinvolga l'ente; infatti, ai sensi dell'art. 7 comma 3 d.lg. n. 231 del 2001, la società è tenuta da un lato a scoprire ed eliminare tempestivamente le situazioni di rischio e d'altro lato, ai sensi dell'art. 17 lett. b) della medesima normativa, ad eliminare le carenze organizzative mediante l'adozione e l'attuazione di modelli organizzativi idonei a identificare le aree di rischio nell'attività della società e a individuare gli elementi sintomatici della commissione di illeciti. Uff. Indagini preliminari, Verona, 14 marzo 2007, Riv. pen. 2008, 9, 926 (s.m.), nota di: PALUMBO.
· Ex art. 7, n. 3 D.Lgs 231/01, l'ente, diversamente dalle persone fisiche, ha l'obbligo di prevenzione e intervento allorquando venga scoperto o comunque prospettato un reato presupposto che lo coinvolga; in specie, la società, è espressamente tenuta a "scorprire ed eliminare tempestivamente le situazioni di rischio", così come, ex art. 17 lett. b) "ad eliminare le carenze organizzative mediate l'adozione e attuazione di Modelli organizzativi idonei a prevenire i reati della specie di quello verificatosi". Tale espressione normativa comporta in capo all'ente condotte obbligate ed imprescindibili dopo che una certa situazione si sia verificata. Non si tratta di una mera collaborazione con L'autorità Giudiziaria (profilo concernente le persone fisiche), ma di fornire risposte precise tali da poter assicurare che, successivamente al perfezionamento del reato presupposto degli apicali, sia stato adottato un più efficae Modello organizzativo penalpreventivo che consenta di poter evitare il ripetersi di dette condotte e di meglio mappare le aree di rischio reato. Nel caso de quo, non essendo stata adottata tale condotta, tale circostanza è di per se idonea a confermare la piena connivenza della società nelle condotte illegali acclarate. G.I.P. Milano, ord. 27 aprile 2004 (caso Siemens), in Foro It., 2004, II, c. 434; in Guida al Dir., 19/2004, p. 72, nota: A. Lanzi; in Giur. Merito, 2005, p. 1615, nota: F.Compagna; Riv. Trim. Dir. Pen. Eco., 2004, p. 989, nota: G.Ruggiero; Dir. Prat. Soc. 10/2004, p. 75, nota: U.Guerini, Le Società 10/2004, p. 1275, nota: F.Pernazza; Foro Amb. 2004, p. 208, nota M.Elia.
· Ex artt. 6, 7 D.Lgs231/01 l'organo amministrativo posto alla dirigenza della società ha la compenteza per l'adozione e l'attuazione del modello di organizzazione in questione; ciò non toglie che se i soci ritenessero motu proprio premunire la società medesima rispetto ad una condotta negligente o imprudente dell'ammisnitratore riguardo alla facoltà di elaborare il Modello, potrebbero statuirne l'obbligatorietà dell'adozione ed elaborazione da parte dell'organo amministrativo, il tutto, con ogni più ampia riserva perl'assemblea dei soci di una approvazione preventiva all'appplicazione del Modello medesimo.
C. App. Milano, sez. II, n. 1824 del 21 marzo - 8 giugno 2012 (caso Impregilo), in penalecontemporaneo.it, 3 luglio 2012, nota: L.Santangelo, Resp. Amm. Soc., n. 4/2012, p. 167, nota S.Bartolomucci, Le Società, 212, p. 1108, nota M.M. Scoletta.
· Non può essere considerato idoneo a prevenire i reati e ad escludere la responsabilità amministrativa dell'ente un modello aziendale di organizzazione e gestione, adottato ai sensi degli art. 6 e 7 d.lg. 8 giugno 2001 n. 231, che non preveda strumenti idonei a identificare le aree di rischio nell'attività della società e a individuare gli elementi sintomatici della commissione di illeciti, quali la presenza di conti correnti riservati all'estero, l'utilizzazione di intermediari esteri alfine di rendere più difficoltosa la scoperta della provenienza dei pagamenti, la periodicità dei pagamenti in relazione alle scadenze delle gare di appalto indette dalla società. Trib. Milano, 28 ottobre 2004, in Foro it. 2005, II, 269.
· Il modello di organizzazione e gestione, adottato dopo la commissione dell'illecito al fine di escludere l'applicazione delle misure cautelari, deve essere elaborato tenendo conto della struttura organizzativa dell'ente e della storia anche giudiziaria, della società (nella specie, il giudice ha ritenuto insufficienti i modelli organizzativi adottati post factum, da società controllanti, imputate di aver commesso illeciti nell' ambito della propria attività di direzione delle controllate, in quanto privi fra l'altro di meccanismi diretti a rendere difficile da parte dei vertici delle controllanti il coordinamento delle attività corruttive secondo analoghe modalità e negli stessi ambiti dove si erano verificati i reati all'origine del procedimento). Trib. Milano, 20 settembre 2004, Foro it. 2005, 10, 528.
· Nel corso di un procedimento per l'accertamento dell'illecito amministrativo ai sensi del d.lg. 8 giugno 2001 n. 231, il modello organizzativo adottato da una società partecipante a gare di appalto per la realizzazione di opere pubbliche non può essere considerato idoneo a prevenire i reati contro il patrimonio pubblico e dunque ad evitare in astratto l'applicazione della misura cautelare interdittiva del divieto di contrattare con la p.a., qualora non dedichi specifica considerazione all'area operativa dell'azienda nella quale sarebbe stato commesso il reato per cui si procede, non garantisca effettive autonomia e indipendenza all'organismo di controllo e non preveda, in deroga all'art. 2388 c.c., una maggioranza qualificata del consiglio di amministrazione per la sua modifica. Trib, Roma 04 aprile 2003, Foro it. 2004, II, 317.
· In evento di perfezionamento di uno dei reati presupposto (p. e p. ex D.Lgs 231/01) che coinvolga l'ente, l'ente costituitosi ex art. 39 D.Lgs 231/01 è legittimato a chiedere, per mezzo del proprio difensore e procuratore speciale, l'applicazione della sanzione su richiesta, ex art. 444 c.p.p. (così come espressamente richiamato ex art. 63 D.Lgs 231/01). Infatti ex art. 7, co. III, D.Lgs 231/01, la società è tenuta da un lato a scoprire ed eliminare tempestivamente le situaizoni di rischio e dall'altro lato a, ex art. 17, lett. b), della normativa di riferimento, a ad eliminare le carenze organizzative per mezzo dell'adozione ed efficace attuazione di modelli organizzativi idonei ad identificare le aree di rischio nell'attività della società e a individuare gli elementi sintomatici della commissione dei reati presupposto. G.U.P. Verona, 14 marzo 2007 - massima non ufficiale - in Riv. Pen. 2008, p. 926, nota: Palumbo.
Art. 8
Autonomia delle responsabilità dell'ente
* * *
1. La responsabilità dell'ente sussiste anche quando:
a) l'autore del reato non è stato identificato o non è imputabile;
b) il reato si estingue per una causa diversa dall'amnistia.
2. Salvo che la legge disponga diversamente, non si procede nei confronti dell'ente quando è concessa amnistia per un reato in relazione al quale è prevista la sua responsabilità e l'imputato ha rinunciato alla sua applicazione.
3. L'ente può rinunciare all'amnistia.
- Relazione Ministeriale al Decreto:
4. Autonomia della responsabilità dell'ente:... la disposizione dell'art. 8 ... chiarisce in modo inequivocabile come quello dell'ente sia un titolo autonomo di responsabilità, anche se presuppone comunque la commissione di un reato. Se infatti il meccanismo punitivo è stato congegnato in modo tale da rendere le vicende (processuali) delle persone fisiche e quelle dell'ente tra loro strettamente correlate (il simultaneus processus risponde non soltanto ad esigenze di economia, ma anche alla necessità di far fronte alla complessità dell'accertamento), ciò non toglie che in talune limitate ipotesi, l'inscindibilità tra le due possa venir meno. Tanto accade ovviamente quando le persone - fisica e giuridica - adottino diverse strategie processuali (sul punto, infra); prima ancora, con riguardo al momento che qui interessa, la nascita del procedimento, il comma 1 dell'art. 8 lascia sussistere la responsabilità dell'ente anche quando l'autore del reato non sia stato identificato ovvero non sia imputabile.
Una scelta di tal fatta non incontra alcun ostacolo dal punto di vista del sistema. E' chiaro, infatti, che in entrambi i casi ci si trova di fronte ad un reato completo di tutti i suoi elementi (oggettivi e soggettivi) e giudizialmente accertato, sebbene il reo, per l'una o l'altra ragione, non risulti punibile.
...La responsabilità dell'ente resta ferma anche nel caso in cui il reato sussiste, ma subisce una vicenda estintiva. Si pensi all'utile decorso del termine di sospensione condizionale della pena ovvero alla morte del reo (prima della condanna).
La configurazione della responsabilità dell'ente come un illecito amministrativo (sebbene sui generis) non poteva non implicare una conclusione di questo tipo. L'unica eccezione meritevole è stata rinvenuta nell'amnistia (evidentemente, "propria"), in presenza della quale, dunque, non potrà procedersi neanche nei confronti dell'ente. Si è infatti pensato che le valutazioni politiche sottese al relativo provvedimento siano suscettibili, in linea di massima, di valere anche nei confronti degli enti: in caso contrario, sarà onere del legislatore dell'amnistia escludere tali soggetti dall'area entro cui il provvedimento di clemenza può sortire effetti, anche mediati.
...E' appena il caso di accennare al fatto che le cause di estinzione della pena (emblematici i casi grazia o di indulto), al pari delle eventuali cause non punibilità e, in generale, alle vicende che ineriscono a quest'ultima, non reagiscono in alcun modo sulla configurazione della responsabilità in capo all'ente, non escludendo la sussistenza di un reato.
Se la responsabilità dell'ente presuppone comunque che un reato sia stato commesso, viceversa, non si è ritenuto utile specificare che la responsabilità dell'ente lascia permanere quella della persona fisica. Si tratta infatti di due illeciti, quello penale della persona fisica e quello amministrativo della persona giuridica, concettualmente distinti, talché una norma che ribadisse questo dato avrebbe avuto il sapore di un'affermazione di mero principio.
- Giurisprudenza:
· L'ampiezza e il rigore normativo nella definizione dei criteri di imputazione della responsabilità dell'ente rivela l'autonomia del titolo di responsabilità dell'ente rispetto a quello della persona fisica incolpata del reato presupposto. D'altra parte, il carattere sostanzialmente punitivo di tale forma di responsabilità si traduce anche nell'operatività di un onere probatorio per l'accusa con riguardo a ciascuno degli elementi costitutivi della fattispecie dell'illecito penale, poiché, a prescindere dalle problematiche connesse alla relativa qualificazione, la responsabilità dell'ente ha carattere punitivo; ciò impone, in adesione ai principi costituzionali, la piena estensione delle garanzie sostanziali e processuali. In altre parole, il d.lg. n. 231/2001 sanziona un comportamento dell'ente diverso e autonomo da quello riferibile all'autore del reato presupposto e non mira a introdurre forme di sanzioni ulteriori (rispetto al sistema delle pene) per la persona fisica, che è autore del reato. Tribunale di Milano 28 aprile 2008, Foro ambrosiano 2008, 3, 329.
· Il legislatore con il d.lg. 231/2001 costruisce un modello punitivo che ha quale destinatario l'ente come realtà autonomamente identificabile e distinta rispetto alla persona fisica: per cui non può mai assumersi che l'immedesimazione nell'ente da parte dell'amministratore, autore del reato presupposto, possa in alcuni specifici casi essere totale, cosicché l' interesse o il vantaggio dell'uno possa essere ritenuto interesse o vantaggio dell'altro. Trib. Milano, 28 aprile 2008, Foro ambrosiano 2008, 3, 329.
· Ai fini della configurabilità della responsabilità amministrativa dell'ente, la legge non richiede necessariamente che l'autore del reato abbia voluto perseguire l'interesse dell'ente, nè è richiesto che lo stesso sia stato anche solo consapevole di realizzare tale interesse attraverso la propria condotta, come confermano la stessa previsione contenuta nell' art. 8, lettera a), D.Lgs n. 231/2001 per cui la responsabilità dell'ente sussiste anche quando l'autore del reato non è identificato o non è imputabile, e l'introduzione negli ultimi anni di ipotesi di responsabilità dell'ente per reati di natura colposa. Cass. Pen., sez. V, 28.11.2013, n. 10265.
· In virtù del principio di autonomia della responsabilità dell'ente, stabilito dall' art. 8, D.Lgs n. 231/2001, l'ente è responsabile anche quando il reato presupposto si estingue per morte del reo intervenuta prima della condanna. Trib. Molfetta, 11.01.2010
· È pacifico che il d.lg. 231/2001 ha introdotto un illecito risarcibile ex art. 2043 c.c. che consegue ad una responsabilità da fatto proprio e non da fatto altrui (art. 2049 c.c.), responsabilità più volte definita nel corpo del decreto come 'dipendente da reato', ma il cui accertamento è autonomo ai sensi dell'art. 8 d.lg. 231/2001 da quello del reato presupposto. I due accertamenti sono concentrati nella giurisdizione penale, alla luce dell'archetipo normativo delineato dall'art. 24 l. 689/81, che rimane indicativo della necessità di concentrazione (pur essendo la responsabilità prevista dalla l. 689/81 di carattere solidale, mentre quella nascente dal d.lg. 231/01 una responsabilità diretta). Inoltre, la concentrazione determina una giurisdizione esclusiva in capo al giudice penale che risponde all'applicazione dei principi costituzionali del diritto di difesa, del giusto processo, dell'unità della giurisdizione. Gli argomenti sopra indicati non consentono di addivenire ad una declaratoria di inammissibilità dell'azione risarcitoria neppure in caso si voglia riconoscere la natura non esclusiva della giurisdizione penale a conoscere anche dell'illecito amministrativo, a fronte dell'assenza di qualsiasi appiglio normativo di segno contrario e posto che l'unicità della competenza del giudice civile non trova alcun fondamento costituzionale, sistematico e letterale. La lettura del combinato disposto degli art. 185 c.p. e 74 c.p.p., che in senso strettamente letterale legittimano attivamente il danneggiato da reato e passivamente l'imputato ed il responsabile civile, deve essere fatta alla luce dell'art. 35 d.lg. 231/01 che ritiene applicabili le norme processuali dettate a favore dell'imputato anche all' ente . Inoltre, l'art. 34 d.lg. 231/01 rinvia all'applicabilità delle norme del codice di rito penale e delle disposizioni d'attuazione 'in quanto compatibili. Uff. Indagini preliminari Milano 05 febbraio 2008, Foro ambrosiano 2008, 2, 219 (s.m.) nota di: Bellingardi.
· Il beneficio della sospensione condizionale della pena non trova applicazione nel sistema sanzionatorio delineato dal D.Lgs 231/01 relativo alla responsabilità degli enti e recante la previsione di istituti diversi in funzione specialpreventiva. In tal senso, pertanto, è manifestamente infondata la doglianza proposta al Giudice di legittimità relativa alla mancata concessione, in circostanze siffatte, del beneficio in parola, e conseguentemente non annullabile per difetto di motivazione la pronuncia gravata per non aver preso in considerazione un motivo di impugnazione che avrebbe dovuto essere dichiarato inammissibile. Un effettivo interesse dell'imputato a dolersi della violazione può, difatti, ritenersi sussistente solo quando l'assunto difensivo posto a fondamento del motivo sia suscettibile di accoglimento, seppure solo in astratto. Cass. pen. Sez. II, 15 dicembre 2011, n. 10822, Fisco on line, 2012.
· Poiché alla stregua del chiaro disposto dell'art. 8, comma 1, lett. a), del D.L.vo 8 giugno 2001 n. 231, la responsebilità amministrativa dell'ente sussiste anche nel caso in cui l'autore del reato non sia identificato o non sia imputabile (sempre che, naturalmente, risulti accertato che si tratti di reato commesso nell'interesse o avantaggio dell'ente medesimo), deve ritenersi viziata da carenza motivazionale la sentenza del giudice di merito che, sulla base dell'assoluzione dell'imputato del reato a lui ascritto per non aver commesso il fatto, abbia ritenuto che fosse da escludere amche la responsabilità dell'ente. Cassazione penale, sez. V, 04.04.2013, n. 20060. In Rivista penale 2013, 7-8, 790.
· In tema di responsabilità degli enti, in presenza di una declaratoria di prescrizione del reato presupposto, il giudice, ai sensi dell'art. 8 comma 1 lett. b) d.lg. n. 231 del 2001, deve procedere all'accertamento autonomo della responsabilità amministrativa della persona giuridica nel cui interesse e nel cui vantaggio l'illecito fu commesso che, però, non può prescindere da una verifica, quantomeno incidentale, della sussistenza del fatto di reato. Cassazione penale, sez. VI, 25.01.2013, n. 21192. In CED Cassazione penale 2013.
Sanzioni in generale
PROSPETTO COMMISURATIVO DELLA SANZIONE PECUNIARIA
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NUMERO QUOTE (determinate secondo tradizionali indici di gravità dell'illecito (1) (3) |
VALORE PRO QUOTA (determinate secondo la condizione economico-patrimoniale dell'ente (2) |
AMMONTARE DELLA SANZIONE PECUNIARIA (3)
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MIN |
MAX |
MIN € |
MAX € |
MIN € |
MAX € |
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100 |
1.000 |
258,23 (L.500.000) |
1.549,37 (L.3.000.000) |
25.822,84 (L.50.000.000) |
1.549.370,70 (L.3.000.000.000) |
Riduzione 1/2 (4) Art. 12 co. 1 |
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103,29 (Lire 200.000) (1) art. 11 co. 3 |
10.329,14 (L.20.000.000) |
103.291,38 (L.200.000.000) |
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Riduzione da 1/3 a 1/2 (4) Art. 12 co. 2 (5) Art. 26 co. 1 |
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10.329,14 (L.20.000.000) |
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Riduzione da 1/2 a 2/3 (4) art. 12 co. 3 |
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10.329,14 (L.20.000.000) |
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(1) Art. 11 - Criteri di commisurazione della sanzione pecuniaria 1. Nella commisurazione della sanzione pecuniaria il giudice determina il numero delle quote tenendo conto della gravità del fatto, del grado della responsabilità dell'ente nonché dell'attività svolta per eliminare o attenuare le conseguenze del fatto e per prevenire la commissione di ulteriori illeciti. 2. L'importo della quota è fissato sulla base delle condizioni economiche e patrimoniali dell'ente allo scopo di assicurare l'efficacia della sanzione. 3. Nei casi previsti dall'articolo 12, comma 1, l'importo della quota è sempre di lire duecentomila. (2) Relazione Ministeriale al Decreto sub punto 5.1: ...Quanto alle modalità di accertamento delle condizioni economiche e patrimoniali dell'ente, il giudice potrà avvalersi dei bilanci o delle altre scritture comunque idonee a fotografare tali condizioni. In taluni casi, la prova potrà essere conseguita anche tenendo in considerazioni le dimensioni dell'ente e la sua posizione sul mercato. ... il giudice non potrà comunque fare a meno di calarsi, con l'ausilio di consulenti, nella realtà dell'impresa, dove potrà attingere anche le informazioni relative allo stato di solidità economica, finanziaria e patrimoniale dell'ente ... l'importo di una singola quota va da un minimo di lire cinquecentomila -€ 258,23- ad un massimo di tre milioni -€ 1.549,37- ... Rispetto all'articolo 133-bis del codice penale che - come si è detto - prevede un aumento della pena pecuniaria fino al triplo o una diminuzione di un terzo, nel paradigma "per quote" il valore di ciascuna quota presenta un rapporto da "uno a sei" (cinquecentomila lire/tre milioni), evidentemente più ampio rispetto al modello penalistico: questa maggiore oscillazione serve proprio a garantire un adeguamento effettivo alla condizioni dell'ente, in considerazione del carattere estremamente variegato della realtà economica dell'impresa nel nostro paese. (3) Relazione Ministeriale al Decreto sub punto 5.1: ...il giudice determina l'ammontare del numero delle quote sulla scorta dei tradizionali indici di gravità dell'illecito; poi, determina il valore monetario della singola quota tenendo conto delle condizioni economiche dell'ente ... L'intera operazione si risolve nel combinarsi aritmetico di un moltiplicatore fissato dal fatto illecito con un moltiplicando ricavato dalla capacità economica dell'ente. Il tutto avviene nel rigoroso rispetto dell'ammontare minimo e massimo della sanzione pecuniaria fissato dalla delega. Così, si è previsto, nel comma 2 dell'articolo 10, che la sanzione pecuniaria viene applicata per quote non inferiori a cento né superiori a mille. |
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(4) Art. 12 - Casi di riduzione della sanzione pecuniaria - 1. La sanzione pecuniaria è ridotta della metà e non può comunque essere superiore a lire duecento milioni se: a) l'autore del reato ha commesso il fatto nel prevalente interesse proprio o di terzi e l'ente non ne ha ricavato vantaggio o ne ha ricavato un vantaggio minimo; b) il danno patrimoniale cagionato è di particolare tenuità; 2. La sanzione è ridotta da un terzo alla metà se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado: a) l'ente ha risarcito integralmente il danno e ha eliminato le conseguenze dannose o pericolose del reato ovvero si è comunque efficacemente adoperato in tal senso; b) è stato adottato e reso operativo un modello organizzativo idoneo a prevenire reati della specie di quello verificatosi. 3. Nel caso in cui concorrono entrambe le condizioni previste dalle lettere del precedente comma, la sanzione è ridotta dalla metà ai due terzi. 4. In ogni caso, la sanzione pecuniaria non può essere inferiore a lire venti milioni.
(5) Art. 26 - Delitti tentati 1. Le sanzioni pecuniarie e interdittive sono ridotte da un terzo alla metà in relazione alla commissione, nelle forme del tentativo, dei delitti indicati nel presente capo del decreto. 2. L'ente non risponde quando volontariamente impedisce il compimento dell'azione o la realizzazione dell'evento. |
Art. 9
Sanzioni amministrative
* * *
1. Le sanzioni per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato sono:
a) la sanzione pecuniaria;
b) le sanzioni interdittive;
c) la confisca;
d) la pubblicazione della sentenza.
2. Le sanzioni interdittive sono:
a) l'interdizione dall'esercizio dell'attività; (1)
b) la sospensione o la revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell'illecito; (2)
c) il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio; (3)
d) l'esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l'eventuale revoca di quelli già concessi;
e) il divieto di pubblicizzare beni o servizi.
(1) Cfr. art. 97-bis. D.lgs 1.09.1993, n. 385, aggiunto dall'art. 8, D.lgs 9.09.2004, n. 197 (Gazz. Uff. 5 agosto 2004, n. 182), entrato in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione ai sensi di quanto disposto dall'articolo 11 dello stesso decreto. Vedasi, inoltre, l'art. 60-bis, D.lgs 24.02.1998, n. 58, aggiunto dall'art. 10 del D.lgs n. 197/04.
(2) Cfr. art. 97-bis, D.lgs 1.09.1993, n. 385, aggiunto dall'art. 8, D.lgs 9.04.2004, n. 197 (Gazz. Uff. 5 agosto 2004, n. 182), entrato in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione ai sensi di quanto disposto dall'articolo 11 dello stesso decreto. Vedi, inoltre, l'art. 60-bis, D.Lgs 24.02.1998, n. 58, aggiunto ex art. 10 D.lgs 197/04.
(3) Cfr. Codice degli Appalti, D.Lgs 163/2006, art. 38: "Sono esclusi dalla partecipazione alle procedure di affidamento delle concessioni e degli appalti di lavori, forniture e servizi, né possono essere affidatari di subappalti, e non possono stipulare i relativi contratti i soggetti:"
...lettera: "m) nei cui confronti é stata applicata la sanzione interdittiva di cui all'articolo 9, comma 2, lettera c), del decreto legislativo dell'8 giugno 2001 n. 231...".
- Note:
- Per l'applicabilità delle sanzioni interdittive alle SIM, SGR, SICAV, BANCHE e imprese di ASSICURAZIONE e riassicurazione, vedasi in calce alla presente nota.
- Relazione Ministeriale al Decreto:
5. Il sistema sanzionatorio nella legge-delega: La sezione II dello schema di decreto detta la disciplina generale delle sanzioni amministrative applicabili agli enti. La legge delega individua, in proposito, un sistema essenzialmente binario, che prevede l'irrogazione di sanzioni pecuniarie e di sanzioni interdittive. Tuttavia, mentre le prime sono indefettibili, le seconde vanno previste - come recita la lettera l) del comma 1 dell'articolo 11 - solo "nei casi di particolare gravità".
Sul piano strutturale, l'ammontare minimo della sanzione pecuniaria non deve essere inferiore a cinquanta milioni di lire (€ 25.822,84), mentre l'ammontare massimo non deve oltrepassare i tre miliardi di lire (€ 1.549.370,70) (lettera g)) del comma 1 dell'articolo 11). Sul versante commisurativo, si stabilisce che il giudice deve tenere conto anche "dell'ammontare dei proventi del reato e delle condizioni economiche e patrimoniali dell'ente".
La delega prevede poi due ipotesi di riduzione della sanzione pecuniaria: la prima (lettera g) concerne i casi di particolare tenuità del fatto, nel cui ambito la sanzione pecuniaria da irrogare non dovrà essere superiore a duecento milioni di lire (€ 103.291,38) né inferiore a venti milioni (€ 10.329,14); la seconda si lega alla realizzazione della efficace riparazione o reintegrazione dell'offesa realizzata (lettera n)).
(cfr. altresì note sub artt. 10 - 11).
Si rafforza, così, anche sul versante della disciplina delle sanzioni, l'idea che il sistema di responsabilità disegnato dalla legge delega sfoci in un "diritto sanzionatorio tout court" che, nella materia economica, ha sempre avuto una doppia anima: penale-criminale e penale-amministrativa, con ricorrenti migrazioni delle materie da uno all'altro settore punitivo.
Un diritto sanzionatorio "punitivo", dunque, che sfrutta l'incisività della sanzione amministrativa, ma che, proprio perché più pervasivo (si pensi all'incidenza delle sanzioni interdittive), reclama una sfera di garanzie superiori rispetto a quelle apprestate nella legge n. 689 del 1981.
- Normativa connessa:
D.Lgs. 12/04/2006, n. 163
Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle Dir. 2004/17/CE e 2004/18/CE.
Pubblicato nella Gazz. Uff. 2 maggio 2006, n. 100, S.O.
Art. 38. Requisiti di ordine generale (art. 45, direttiva 2004/18; art. 75, D.P.R. n. 554/1999; art. 17, D.P.R. n. 34/2000) In vigore dal 19 agosto 2014
[I] Sono esclusi dalla partecipazione alle procedure di affidamento delle concessioni e degli appalti di lavori, forniture e servizi, né possono essere affidatari di subappalti, e non possono stipulare i relativi contratti i soggetti:
...m) nei cui confronti è stata applicata la sanzione interdittiva di cui all' articolo 9, comma 2, lettera c), del decreto legislativo dell'8 giugno 2001, n. 231 o altra sanzione che comporta il divieto di contrarre con la pubblica amministrazione compresi i provvedimenti interdittivi di cui all' articolo 36-bis, comma 1, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006 n. 248;
- Giurisprudenza:
Principio di legalità - Criteri di commisurazione della pena pecuniaria - Sanzioni interdittive - Confisca (Cfr. Juris. Sub. art. 19) - Distinzione tra confisca ex art. 6 e confisca ex artt. 9, 19 - Inapplicabilità dell'indulto alle pene detentive e pecuniarie - Misure cautelari reali (sequestro preventivo funzionale alla confisca) - Cfr. art. 17 "Riparazione delle conseguenze del reato":
· Principio di Legalità
· Il principio di legalità subordina l'applicazione delle misure sanzionatorie ad una previsione legislativa espressa, sia in ordine all'illecito sia in relazione al tipo di sanzione, precisando che debba essere entrata in vigore prima della commissione del fatto. È la commissione del fatto che deve essere presa in considerazione al fine di accertare l'applicabilità della sanzione. E' il momento consumativo del reato che rileva ai fini dell'applicazione delle sanzioni previste dal D.Lgs. n. 231 del 2001. Il momento di realizzazione del profitto è del tutto irrilevante a questi fini, in quanto esso costituisce solo l'oggetto della sanzione-confisca, che ha il suo presupposto nell'esistenza, appunto, del reato accertato con sentenza. Cass. Pen., sez. VI, n. 14564 del 18 gennaio 2011. in CED.
· Criteri di commisurazione della pena pecuniaria:
· Ai fini della determinazione dell'entità della sanzione per la persona giuridica ritenuta responsabile ai sensi del D.lg. 231 del 2001, si deve tener conto del profitto raggiunto, dell'incremento e del consolidamento della posizione dell'ente, anche nei confronti dei concorrenti, della reiterazione dei comportamenti, dell'inesistenza di attività volte ad attenuare le conseguenze degli illeciti e dell'omessa adozione del modello organizzativo e gestionale atto a prevenire reati. Trib. Pordenone, n. 308, 23 luglio 2010.
· L'art. 25 septies del d.lg. n.231/2001 prevede che in relazione al delitto di cui all'art.590, terzo comma, c.p., commesso con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro, si applica una sanzione pecuniaria in misura non superiore a 250 quote (accolto il ricorso del legale rappresentate di una società avverso l'applicazione di una sanzione di 300 quote per la contestazione del reato di lesioni personali colpose gravi occorse ad un dipendente in seguito ad infortunio sul lavoro). Cass. Pen., sez. IV, n. 40070 del 28 settembre 2012, in Diritto & Giustizia 2012, 12 ottobre 2012.
· Sanzioni interdittive:
· Per l'adozione di una misura cautelare interdittiva, la nozione di profitto di rilevante entità ha un contenuto più ampio di quello di profitto inteso come utile netto, in quanto in tale concetto rientrano anche vantaggi non immediati, comunque conseguiti attraverso la realizzazione dell'illecito. Cass. pen. Sez. II, 18/06/2014, n. 37712; Rivista231.it
· Per poter applicare alla persona giuridica una delle sanzioni interdittive prevista dall'art. 9 comma 2 d.lg. n. 231 del 2001, a titolo di misura cautelare nel corso del procedimento, dovranno essere verificati i gravi indizi di responsabilità dell'ente, il concreto pericolo che vengano commessi reati della stessa indole di quello per cui si procede, ed il profitto di rilevante entità tratto dall'ente in conseguenza del delitto per il quale si procede oppure la reiterazione di reati. Tribunale Milano, 27 aprile 2004, Giur. merito 2004, 2513.
· Può essere disposta nei confronti della persona giuridica una misura cautelare interdittiva della revoca di agevolazioni, finanziamenti, contributi e sussidi già concessi, stante il carattere inequivoco del richiamo operato dall'art. 45 comma 1 d.lgs 231 del 2001 a tutte le misure contemplate nel comma 2 dell'art. 9 dello stesso decreto e non ostandovi neppure ragioni di carattere logico, tenuto conto della diversa finalità ascrivibile al sequestro conservativo contemplato dall'art. 54 d.lgs n. 231 del 2001. Tribunale Ivrea, 20 maggio 2005, Giur Merito, 2005, 2206 (s.m.).
· In tema di responsabilità da reato delle persone giuridiche, deve escludersi l'applicabilità, come misura cautelare, di sanzioni interdittive che non rientrino tra quelle irrogabili in via definitiva all'esito del giudizio di merito. (Nella specie, in applicazione di tale principio, la Corte ha annullato senza rinvio l'ordinanza del tribunale del riesame con la quale era stata ritenuta legittima l'applicazione, in via cautelare, dell'interdizione dall'esercizio dell'attività, prevista dall'art. 9 comma 2 lett. a), d.lg. 8 giugno 2001 n. 231, nonostante che tale sanzione non faccia parte di quelle che, in relazione all'ipotizzato reato di truffa aggravata, sarebbero state irrogabili in via definitiva, ai sensi dell'art. 24 comma 3 del citato d.lg.). Cass. pen., sez. II, n. 10500 del 26 febbraio 2007, Rv. 235845. Riv. pen. 2007, 7-8, 747; CED Cass. pen.
· Poiché la responsabilità amministrativa è correlata all'inidoneità dei sistemi di organizzazione e vigilanza adottati dalla specifica società i cui vertici o dipendenti hanno commesso il reato, e, quindi, a presupposti oggettivi riferibili ad una particolare realtà aziendale, deve escludersi che, nel caso di reati commessi nell'ambito di una delle società appartenenti al gruppo societario, le relative sanzioni o misure cautelari siano genericamente estendibili a tutte le società appartenenti al gruppo. Consiglio di Stato, sez. III, parere 11 gennaio 2005 . Massima non ufficiale - www.Codice231.com.
· Ai fini dell'applicazione della sanzione interdittiva del divieto di contrattare con la p.a., di cui all'art. 9 d.lg. n. 231 del 2001 è irrilevante la circostanza che la persona giuridica chiamata a rispondere dell'illecito sia straniera, posto che efficacemente la misura può essere applicata proprio con riferimento alle potenzialità economiche esprimibili nel mercato italiano. Tribunale Milano, 28 aprile 2004, Giur. merito 2005, 7/8, 1615, nota di: Compagna.
· In materia di responsabilità degli enti per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato, ai fini dell'applicazione di una misura cautelare interdittiva, il ricorso alla motivazione per relationem all'ordinanza cautelare emessa nei confronti dell'autore del reato sottostante può ritenersi legittimo e satisfattivo solo con riguardo al compendio indiziario afferente la commissione del reato, mentre per il resto è necessaria un'apposita, esplicita motivazione che si estenda ad apprezzare tutti gli elementi dell'illecito amministrativo da reato. (In particolare, la sussistenza dell'interesse o del vantaggio derivante all'ente; il ruolo ricoperto dai soggetti che hanno agito in nome e per conto dell'ente; la verifica sul fatto che colui che ha commesso il reato non abbia agito nell'interesse esclusivo proprio o di terzi; la ricorrenza delle condizioni legittimanti l'applicazione della sanzione interdittiva. Cass. pen., sez. VI, 23 giugno 2006, n. 32627, in Guida al diritto 2006, 42, 61 (s.m.) -nota di: Amato-, Dir. e prat. soc. 2007, 4, 73 (s.m.) -nota di: Cerqua-; Conf. Cass. pen., sez. VI, 5 marzo 2013, n. 10903, in Diritto & Giustizia 11.03.2013.
· Confisca (Cfr. Juris. Sub. art. 19):
· La confisca prevista dall'art. 19 - sia quella di cui al comma 1, sia quella, per equivalente, di cui al comma 2 - D.Lgs. n. 231/2001, ha carattere obbligatorio (e non facoltativo), che deriva direttamente dalla natura di sanzione principale e autonoma affermata solennemente dall'art. 9, co. I, D.Lgs 231/2001. Cass. pen. Sez. VI, 10-01-2013, n. 19051. Fonte: Società, 2013, 7, 864.
· La previsione della "confisca per equivalente" trova la sua ratio nell'esigenza di privare il reo di un qualunque beneficio economico derivante dall'attività criminosa, anche di fronte all'impossibilità di aggredirne l'oggetto principale, ossia i beni costituenti il profitto o il prezzo del reato, nella convinzione della capacità dissuasiva e disincentivante di tale strumento, che assume i tratti distintivi di una vera e propria sanzione. In questa prospettiva, la confisca per equivalente è rivolta a superare gli ostacoli e le difficoltà per l'individuazione dei beni in cui si "incorpora" il profitto iniziale, nonché a ovviare ai limiti che incontra la confisca dei beni di scambio o di quelli che ne costituiscono il reimpiego. Ciò comporta che tale confisca (a differenza dell'ordinaria confisca prevista dall'art. 240 c.p., che può avere a oggetto soltanto cose direttamente riferibili al reato) può riguardare beni che, oltre a non avere alcun rapporto con la pericolosità individuale del reo, neppure hanno alcun collegamento diretto con il singolo reato (fattispecie in tema di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente ex art. 19 e 53 d.lg. 8 giugno 2001 n. 231). Cass. pen., sez. I, 27 ottobre 2009, n. 42894, Guida al Diritto 2010, 68.
· Nel procedimento per l'accertamento dell'illecito amministrativo ai sensi del d.lg. 8 giugno 2001 n. 231, il sequestro preventivo funzionale alla confisca disposto nei confronti dell'ente collettivo è costituito dal vantaggio economico di diretta e immediata derivazione causale dal reato ed è concretamente determinato al netto dell'effettiva utilità eventualmente conseguita dal danneggiato nell'ambito del rapporto sinallagmatico con l'ente. Cassazione penale, Sez. Un., 27 marzo 2008, n. 26654, in Foro it. 2009, 1, 36. Conf. Cass. Pen. , sez. II, sent. 16.04.2009, n. 20506.
· Il sequestro preventivo finalizzato alla confisca "per equivalente", disposto in caso di responsabilità da reato degli enti collettivi, postula un'utilità effettivamente conseguita e già nella disponibilità del destinatario. Conseguentemente è illegittimo il sequestro di un credito (in particolare, di un contratto preliminare di vendita) che, ancorché liquido ed esigibile, è utilità non ancora percepita, ma soltanto attesa. E' pur sempre necessario, infatti, che il profitto oggetto del sequestro costituisca una concreta utilità, non una speranza, ancorché ancorata ad un'intesa negoziale. Cass. pen. Sez. V, 14-12-2011, n. 3238, in Società, 2012, 5, 591.
· Distinzione tra confisca ex art. 6 e confisca ex artt. 9, 19:
· In tema di responsabilità da reato degli enti collettivi, la confisca del profitto del reato prevista dagli artt. 9 e 19 d.lg. n. 231 del 2001 si configura come sanzione principale, obbligatoria ed autonoma rispetto alle altre previste a carico dell'ente, e si differenzia da quella configurata dall'art. 6, comma 5, del medesimo decreto, applicabile solo nel caso difetti la responsabilità della persona giuridica, la quale costituisce invece uno strumento volto a ristabilire l'equilibrio economico alterato dal reato presupposto, i cui effetti sono comunque andati a vantaggio dell'ente. Cassazione penale Sez. Un., 27 marzo 2008, n. 26654, in Cass. pen. 2008, 12, 4544 (s.m.) nota di: Pistorelli; in CED Cass. pen. 2008; in Riv. pen. 2008, 10, 1000.
· Inapplicabilità dell'indulto alle pene detentive e pecuniarie
· L'indulto, operando con riferimento alle pene detentive e pecuniarie, non è applicabile alle sanzioni di cui all'art. 9 D.Lgs. n. 231 del 2001 in quanto sanzioni collegate a responsabilità di natura amministrativa e non penale (Annulla senza rinvio, Gip Trib. Trento, 4 ottobre 2006). Cassazione penale, sez. II, 13 giugno 2007, n. 35337, CED, in Cass. pen. 2008
· Misure cautelari reali (sequestro preventivo funzionale alla confisca):
· Nel procedimento per l'accertamento dell'illecito amministrativo ai sensi del d.lg. 8 giugno 2001 n. 231, il sequestro preventivo funzionale alla confisca disposto nei confronti dell'ente collettivo è costituito dal vantaggio economico di diretta e immediata derivazione causale dal reato ed è concretamente determinato al netto dell'effettiva utilità eventualmente conseguita dal danneggiato nell'ambito del rapporto sinallagmatico con l'ente. Cassazione penale, Sez. Un., 27 marzo 2008, n. 26654, Foro it. 2009, 1, 36. Conf., sez. II, sent. 16.04.2009, n. 20506.
· In tema di responsabilità da reato delle persone giuridiche, per procedere al sequestro preventivo a fini di confisca del profitto del reato presupposto è necessario l'accertamento della sussistenza di gravi indizi di responsabilità dell'ente indagato. Cass. pen., sez. VI, n. 34505 del 31.05-10.09.2012, Rv. 252929. in Ced Cass. Pen.
· La formulazione dell'art. 45 del D.Lgs. n. 231 del 2001, nel prevedere la possibilità di applicare misure cautelari alle persone giuridiche, rispetta il principio costituzionalmente imposto di riserva di legge, indicando precisi presupposti che ne escludono ogni possibile applicazione arbitraria e rendono ragionevole l'inflizione, a fini preventivi, della misura cautelare, anche laddove il procedimento penale è in corso. Cass. Pen, sez. VI, n. 6248 del 02/02/2012 Cc. (dep. 16/02/2012 ) Rv. 252426, in Ced Cass. Pen.
· In tema di responsabilità da reato degli enti, il decreto di sequestro preventivo per equivalente del profitto del reato non deve contenere l'indicazione specifica dei beni che devono essere sottoposti al vincolo. Cassazione penale, sez. II, 16.09.2014, n. 41435, Rivista231.it. Conforme a: Cass. Pen. SS.UU. n. 38343 del 24 aprile 2014.
· Cfr. art. 17 - "Riparazione delle conseguenze del reato":
· Si ritiene che la riparazione del danno in forma integrale nonché l'assenza di una rilevante entità del profitto escludano la possibilità di applicare le sanzioni interdittive di cui all'art. 9 comma 2 Dlgs 231 del 2001. Tribunale di Monza, 3 settembre 2012.
- Note:
le sanzioni interdittive indicate nell'articolo 9, comma 2, lettere a) e b), non possono essere applicate in via cautelare, così come non può essere disposto il commissariamento, ex art. 15, alle SIM, SGR e SICAV (ex art. 60-Bis, comma 4, D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58 - T.U. intermediazione finanziaria), così pure sussiste esclusione soggettiva per le BANCHE (ex art. 97-Bis, comma IV, D.L.vo 1 settembre 1993, n. 385 - T.U. Bancario-, introdotto dall'art. 8, D.L.gs 9 giugno 2004, n. 197 - risanamento e liquidazione degli enti creditizi), e per le imprese di ASSICURAZIONE e riassicurazione (ex art. 266, D.Lgs. 7 settembre 2005, n. 209 - Codice delle assicurazioni private).
- Per i suddetti enti vigono le seguenti disposizioni:
- SIM, SGR e SICAV - art. 60-Bis, co. 4, D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58 - T.U. intermediazione finanziaria:
1. Il pubblico ministero che iscrive, ai sensi dell' articolo 55 del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231 , nel registro delle notizie di reato un illecito amministrativo a carico di una SIM, di una SGR o di una SICAV, ne dà comunicazione alla Banca d'Italia e alla CONSOB. Nel corso del procedimento, ove il pubblico ministero ne faccia richiesta, vengono sentite la Banca d'Italia e la CONSOB, le quali hanno, in ogni caso, facoltà di presentare relazioni scritte.
2. In ogni grado del giudizio di merito, prima della sentenza, il giudice dispone, anche d'ufficio, l'acquisizione dalla Banca d'Italia e dalla CONSOB di aggiornate informazioni sulla situazione dell'intermediario, con particolare riguardo alla struttura organizzativa e di controllo.
3. La sentenza irrevocabile che irroga nei confronti di una SIM, di una SGR o di una SICAV le sanzioni interdittive di cui all'articolo 9, comma 2, lettere a) e b), del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231 , decorsi i termini per la conversione delle sanzioni medesime, è trasmessa per l'esecuzione dall'Autorità giudiziaria alla Banca d'Italia e alla CONSOB; a tal fine, la CONSOB o la Banca d'Italia, ciascuna nell'ambito delle rispettive competenze, possono proporre o adottare gli atti previsti dal titolo IV della parte II, avendo presenti le caratteristiche della sanzione irrogata e le preminenti finalità di salvaguardia della stabilità e di tutela dei diritti degli investitori.
4. Le sanzioni interdittive indicate nell'articolo 9, comma 2, lettere a) e b), del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, non possono essere applicate in via cautelare alle SIM, SGR e SICAV. Ai medesimi intermediari non si applica, altresì, l'articolo 15 del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231.
5. Il presente articolo si applica, in quanto compatibile, alle succursali italiane di imprese di investimento comunitarie o extracomunitarie.
(1) Articolo inserito dall'art. 10 del D.Lgs. 19 luglio 2004, n. 197.
- BANCHE - art. 97-Bis, co. 4, D.L.vo 1 settembre 1993, n. 385 - T.U. Bancario:
1. Il pubblico ministero che iscrive, ai sensi dell' articolo 55 del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231 , nel registro delle notizie di reato un illecito amministrativo a carico di una SIM, di una SGR o di una SICAV, ne dà comunicazione alla Banca d'Italia e alla CONSOB. Nel corso del procedimento, ove il pubblico ministero ne faccia richiesta, vengono sentite la Banca d'Italia e la CONSOB, le quali hanno, in ogni caso, facoltà di presentare relazioni scritte.
2. In ogni grado del giudizio di merito, prima della sentenza, il giudice dispone, anche d'ufficio, l'acquisizione dalla Banca d'Italia e dalla CONSOB di aggiornate informazioni sulla situazione dell'intermediario, con particolare riguardo alla struttura organizzativa e di controllo.
3. La sentenza irrevocabile che irroga nei confronti di una SIM, di una SGR o di una SICAV le sanzioni interdittive di cui all'articolo 9, comma 2, lettere a) e b), del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231 , decorsi i termini per la conversione delle sanzioni medesime, è trasmessa per l'esecuzione dall'Autorità giudiziaria alla Banca d'Italia e alla CONSOB; a tal fine, la CONSOB o la Banca d'Italia, ciascuna nell'ambito delle rispettive competenze, possono proporre o adottare gli atti previsti dal titolo IV della parte II, avendo presenti le caratteristiche della sanzione irrogata e le preminenti finalità di salvaguardia della stabilità e di tutela dei diritti degli investitori.
4. Le sanzioni interdittive indicate nell'articolo 9, comma 2, lettere a) e b), del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, non possono essere applicate in via cautelare alle SIM, SGR e SICAV. Ai medesimi intermediari non si applica, altresì, l'articolo 15 del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231.
5. Il presente articolo si applica, in quanto compatibile, alle succursali italiane di imprese di investimento comunitarie o extracomunitarie.
(1) Articolo inserito dall'art. 10 del D.Lgs. 19 luglio 2004, n. 197.
- imprese di ASSICURAZIONE e riassicurazione - art. 266, D.Lgs. 7 settembre 2005, n. 209 - Codice delle assicurazioni private:
1. Il pubblico ministero che iscrive, ai sensi dell'articolo 55 del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, nel registro delle notizie di reato un illecito amministrativo a carico di un'impresa di assicurazione o di riassicurazione ne dà comunicazione all'ISVAP. Nel corso del procedimento, ove il pubblico ministero ne faccia richiesta, viene sentito l'ISVAP, che ha facoltà di presentare relazioni scritte.
2. In ogni grado del giudizio di merito, prima della sentenza, il giudice dispone, anche d'ufficio, l'acquisizione dall'ISVAP di aggiornate informazioni sulla situazione dell'impresa, con particolare riguardo alla struttura organizzativa e di controllo.
3. La sentenza irrevocabile che irroga nei confronti di un'impresa di assicurazione o di riassicurazione le sanzioni interdittive previste dall'articolo 9, comma 2, lettere a) e b), del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, decorsi i termini per la conversione delle sanzioni medesime, è trasmessa per l'esecuzione dall'autorità giudiziaria all'ISVAP. A tal fine l'ISVAP può proporre o adottare gli atti previsti dai capi II, III e IV, avendo presenti le caratteristiche della sanzione irrogata e le preminenti finalità di salvaguardia della stabilità e di tutela degli assicurati e degli altri aventi diritto a prestazioni assicurative.
4. Le sanzioni interdittive indicate nell'articolo 9, comma 2, lettere a) e b), del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, non possono essere applicate in via cautelare alle imprese di assicurazione o di riassicurazione. Alle medesime non si applica, altresì, l'articolo 15 del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231.
5. Il presente articolo si applica, in quanto compatibile, alle sedi secondarie italiane di imprese di altri Stati membri o di Stati terzi.
Art. 10
Sanzione amministrativa pecuniaria
* * *
1. Per l'illecito amministrativo dipendente da reato si applica sempre la sanzione pecuniaria.
2. La sanzione pecuniaria viene applicata per quote in un numero non inferiore a cento né superiore a mille.
3.L'importo di una quota va da un minimo di lire cinquecentomila ad un massimo di lire tre milioni.
4. Non è ammesso il pagamento in misura ridotta.
- Relazione Ministeriale al Decreto:
5.1: ... il Governo ha adottato... un modello commisurativo "per quote" a... struttura bifasica. Viene all'opera, infatti, una duplice scansione: dapprima, il giudice determina l'ammontare del numero delle quote sulla scorta dei tradizionali indici di gravità dell'illecito; poi, determina il valore monetario della singola quota tenendo conto delle condizioni economiche dell'ente. L'intera operazione si risolve nel combinarsi aritmetico di un moltiplicatore fissato dal fatto illecito con un moltiplicando ricavato dalla capacità economica dell'ente. Il tutto avviene nel rigoroso rispetto dell'ammontare minimo e massimo della sanzione pecuniaria fissato dalla delega. Così, si è previsto, nel comma 2 dell'articolo 10, che la sanzione pecuniaria viene applicata per quote non inferiori a cento né superiori a mille. Questa banda di oscillazione costituisce il riferimento a cui attingere nella parte speciale per concretizzare le comminatorie editali per i singoli illeciti (ad esempio: per l'illecito relativo a un certo reato, è prevista la sanzione pecuniaria da duecento a seicento quote). Nel secondo comma della stessa disposizione, si stabilisce che l'importo di una singola quota va da un minimo di lire cinquecentomila -€ 258,23- ad un massimo di tre milioni -€ 1.549,37-. L'importo della singola quota - lo si vedrà meglio tra breve - è funzionale all'adeguamento della sanzione alle condizioni economiche e patrimoniali dell'ente. Rispetto all'articolo 133-bis del codice penale che - come si è detto - prevede un aumento della pena pecuniaria fino al triplo o una diminuzione di un terzo, nel paradigma "per quote" il valore di ciascuna quota presenta un rapporto da "uno a sei" (cinquecentomila lire/tre milioni), evidentemente più ampio rispetto al modello penalistico: questa maggiore oscillazione serve proprio a garantire un adeguamento effettivo alla condizioni dell'ente, in considerazione del carattere estremamente variegato della realtà economica dell'impresa nel nostro paese.
· Giurisdprudenza:
· L'art. 25 septies del d.lg. n.231/2001 prevede che in relazione al delitto di cui all'art.590, terzo comma, c.p., commesso con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro, si applica una sanzione pecuniaria in misura non superiore a 250 quote (accolto il ricorso del legale rappresentate di una società avverso l'applicazione di una sanzione di 300 quote per la contestazione del reato di lesioni personali colpose gravi occorse ad un dipendente in seguito ad infortunio sul lavoro). Cass. Pen., sez. IV, n. 40070 del 28 settembre 2012, in Diritto & Giustizia 2012, 12 ottobre 2012.
Art. 11
Criteri di commisurazione della sanzione pecuniaria
* * *
1. Nella commisurazione della sanzione pecuniaria il giudice determina il numero delle quote tenendo conto della gravità del fatto, del grado della responsabilità dell'ente nonché dell'attività svolta per eliminare o attenuare le conseguenze del fatto e per prevenire la commissione di ulteriori illeciti.
2. L'importo della quota è fissato sulla base delle condizioni economiche e patrimoniali dell'ente allo scopo di assicurare l'efficacia della sanzione.
3. Nei casi previsti dall'articolo 12, comma 1, l'importo della quota è sempre di lire duecentomila.
- Relazione Ministeriale al Decreto:
5.1: ...Per determinare il valore monetario della singola quota il giudice tiene conto delle condizioni economiche e patrimoniali dell'ente, allo scopo di assicurare l'efficacia della sanzione (così, nell'esempio posto, il giudice determinerà l'importo della quota orientandosi verso il minimo - pari a cinquecentomila lire - se ha a che fare con un ente di ridotte capacità economiche; o verso il massimo, nel caso contrario).
La somma finale è frutto della moltiplicazione tra l'importo della singola quota e il numero complessivo delle quote che cristallizzano il disvalore dell'illecito.
...Il risultato è, dunque, quello di un sistema sanzionatorio in cui la commisurazione giudiziale risulta maggiormente conformata e trasparente, che si pone in apprezzabile sintonia con le finalità della sanzione.
Quanto alle modalità di accertamento delle condizioni economiche e patrimoniali dell'ente, il giudice potrà avvalersi dei bilanci o delle altre scritture comunque idonee a fotografare tali condizioni. In taluni casi, la prova potrà essere conseguita anche tenendo in considerazioni le dimensioni dell'ente e la sua posizione sul mercato. Più in generale, per fugare allarmismi in ordine alla difficoltà di tali accertamenti, va ricordato che la responsabilità degli enti presuppone la mancata adozione dei modelli di prevenzione, sì che per verificare questo estremo il giudice non potrà comunque fare a meno di calarsi, con l'ausilio di consulenti, nella realtà dell'impresa, dove potrà attingere anche le informazioni relative allo stato di solidità economica, finanziaria e patrimoniale dell'ente.
- Giurisprudenza:
· Ai fini del giudizio di congruità della pena in sede di accoglimento della richiesta di applicazione della stessa nei confronti di ente responsabile ex d.lg. n. 231/01, si deve tenere conto dei criteri di commisurazione della sanzione pecuniaria come fissati dall'art. 11 comma 1 e 2 del decreto. Tale norma pone nella c.d. quota e nel numero delle quote i parametri di riferimento per la determinazione della sanzione pecuniaria da comminare, ancorando il primo parametro - la quota, - alla consistenza economica e patrimoniale dell'ente, ed il secondo - il numero delle quote - alla gravità del fatto, alla responsabilità dell'ente nonché all'attività "post delictum" dallo stesso svolta per eliminare le conseguenze e per prevenire la commissione di ulteriori illeciti. Uff. Indagini preliminari Milano, 30 aprile 2004, Foro ambrosiano 2004, 53 (s.m.).
· L'art. 25 septies del d.lg. n.231/2001 prevede che in relazione al delitto di cui all'art.590, terzo comma, c.p., commesso con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro, si applica una sanzione pecuniaria in misura non superiore a 250 quote (accolto il ricorso del legale rappresentate di una società avverso l'applicazione di una sanzione di 300 quote per la contestazione del reato di lesioni personali colpose gravi occorse ad un dipendente in seguito ad infortunio sul lavoro). Cass. Pen., sez. IV, n. 40070 del 28 settembre 2012, in Diritto & Giustizia 2012, 12 ottobre 2012.
Art. 12
Casi di riduzione della sanzione pecuniaria
* * *
1. La sanzione pecuniaria è ridotta della metà e non può comunque essere superiore a lire duecento milioni se:
a) l'autore del reato ha commesso il fatto nel prevalente interesse proprio o di terzi e l'ente non ne ha ricavato vantaggio o ne ha ricavato un vantaggio minimo;
b) il danno patrimoniale cagionato è di particolare tenuità;
2. La sanzione è ridotta da un terzo alla metà se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado:
a) l'ente ha risarcito integralmente il danno e ha eliminato le conseguenze dannose o pericolose del reato ovvero si è comunque efficacemente adoperato in tal senso;
b) è stato adottato e reso operativo un modello organizzativo idoneo a prevenire reati della specie di quello verificatosi.
3. Nel caso in cui concorrono entrambe le condizioni previste dalle lettere del precedente comma, la sanzione è ridotta dalla metà ai due terzi.
4. In ogni caso, la sanzione pecuniaria non può essere inferiore a lire venti milioni.
- Relazione Ministeriale al Decreto:
5.2.: ... La riduzione di pena per la particolare tenuità del fatto viene disciplinata nell'articolo 12, comma 1, lettere a) e b). La riduzione di pena è pari alla metà della sanzione pecuniaria che verrebbe irrogata dal giudice e la sanzione da applicare per effetto della riduzione non potrà comunque essere superiore a duecento milioni né inferiore a venti (in coerenza con quanto si prevede nella legge delega).
La prima ipotesi di fatto tenue coinvolge interamente lo spessore lesivo dell'illecito amministrativo dell'ente. Essa sussiste quando l'autore del reato lo ha commesso nel prevalente interesse proprio o di terzi e l'ente non ne ha ricavato alcun vantaggio, oppure un vantaggio minimo (come è noto, se il reato è commesso dall'autore nell'esclusivo interesse proprio o di terzi, quest'ultimo non soggiace ad alcuna forma di responsabilità). La particolare tenuità ha ad oggetto non il reato, che potrebbe essere tutt'altro che lieve, ma l'illecito dell'ente, segnatamente il suo grado di coinvolgimento nell'illecito: coinvolgimento minimo sia sul versante della colpevolezza, atteso che l'autore del reato ha agito per un interesse prevalentemente personale o di terzi, sia sul versante oggettivo, visto che nessun vantaggio, o comunque un vantaggio minimo, è stato ricavato dall'ente.
La seconda ipotesi di riduzione si fonda sulla particolare tenuità del danno patrimoniale. Si tratta di una formulazione che non abbisogna di dettagliate chiarificazioni, vantando più di un precedente nella legislazione penale codicistica e non. La riduzione trova inoltre una sicura legittimazione sul versante criminologico, atteso che i reati che incardinano la responsabilità amministrativa dell'ente affondano le loro radici nel profitto. Di conseguenza, può ben riconoscersi un'attenuazione della sanzione pecuniaria quando il reato e l'illecito che ne dipende hanno provocato un danno particolarmente tenue.
- Giurisprudenza:
· Non può essere concessa la circostanza attenuante di cui all'art. 12 lettere a) e b) d.l. gs 231 /2001 se il danno è grave e il profitto rilevante. (Nel caso di specie si trattava di una truffa ai danni dello Stato commessa da parte di due società cooperative, qualificate primo acquirente quote latte, che, invece di versare le trattenute alle casse dell'AGEA per l'importo di Euro 18.310.049,52, le redistribuivano tra i soci conferenti. Tribunale Milano, 28 dicembre 2011
· Deve essere ridotta, ai sensi dell'art. 12 d.lg. 8 giugno 2001 n. 231, la sanzione pecuniaria irrogata nei confronti di una società a titolo di responsabilità amministrativa per il reato di istigazione alla corruzione commesso dal suo legale rappresentante, qualora l'ente, prima dell'apertura del dibattimento abbia integralmente risarcito il danno alla p.a. e abbia adottato un modello organizzativo idoneo a prevenire la commissione di ulteriori reati. Tribunale Pordenone 04 novembre 2002, Foro it. 2004, II, 318.
· In tema di responsabilità da reato, non è configurabile nei confronti dell'ente l'attenuante del risarcimento del danno di cui all'art. 12, comma secondo, lett. a), D.Lgs. n. 231 del 2001, qualora il risarcimento sia stato operato dalla persona fisica imputata del reato presupposto. Cass. pen., sez. VI, n. 36083 del 09/07/2009, Rv. 244257, CED Cass. pen..
· Nei confronti di una società, imputata in un procedimento penale perché il proprio legale rappresentante ha commesso delitto di tentata corruzione, appare conforme a giustizia la concessione delle circostanze attenuanti di cui all'art. 12, comma 2, lett. a) e b) d.lg. 8 giugno 2001 n. 231, nel caso in cui la stessa non solo abbia risarcito integralmente il pregiudizio arrecato alla p.a. ma abbia altresì comprovato l'adozione di modelli organizzativi idonei a prevenire la commissione di ulteriori reati, dimettendo ampia documentazione donde risulti aver allontanato il responsabile del reato e abbandonato definitivamente le condotte criminose che questi aveva assunto per avvantaggiare la società. Tribunale Pordenone, 11 novembre 2002, Dir. comm. internaz. 2003, 193, nota di: CAPECCHI.
· La mancanza di idonei accorgimenti strumentali a prevenire in futuro la commissione di reati della stessa specie di quelli precedentemente realizzati non consente di valutare positivamente il modello organizzativo adottato ex novo dalla società ai fini della riduzione della applicanda sanzione pecuniaria ex art. 12, comma 2, D.Lgs. n. 231/2001. Trib. Taranto 25.03.2014.
Art. 13
Sanzioni interdittive
* * *
1. Le sanzioni interdittive si applicano in relazione ai reati per i quali sono espressamente previste, quando ricorre almeno una delle seguenti condizioni:
a) l'ente ha tratto dal reato un profitto di rilevante entità e il reato è stato commesso da soggetti in posizione apicale ovvero da soggetti sottoposti all'altrui direzione quando, in questo caso, la commissione del reato è stata determinata o agevolata da gravi carenze organizzative;
b) in caso di reiterazione degli illeciti.
2. Le sanzioni interdittive hanno una durata non inferiore a tre mesi e non superiore a due anni.
3. Le sanzioni interdittive non si applicano nei casi previsti dall'articolo 12, comma 1.
- Note:
le sanzioni interdittive indicate nell'articolo 9, comma 2, lettere a) e b), non possono essere applicate in via cautelare, così come non può essere disposto il commissariamento, ex art. 15, alle SIM, SGR e SICAV (ex art. 60-Bis, comma 4, D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58 - T.U. intermediazione finanziaria), così pure sussiste esclusione soggettiva per le BANCHE (ex art. 97-Bis, comma IV, D.L.vo 1 settembre 1993, n. 385 - T.U. Bancario-, introdotto dall'art. 8, D.L.gs 9 giugno 2004, n. 197 - risanamento e liquidazione degli enti creditizi), e per le imprese di ASSICURAZIONE e riassicurazione (ex art. 266, D.Lgs. 7 settembre 2005, n. 209 - Codice delle assicurazioni private).
- Relazione Ministeriale al Decreto:
6. ...Sul piano sistematico e politico-criminale, la disciplina predisposta per le sanzioni interdittive (v. artt.13 - 16) si connota in termini spiccatamente specialpreventivi. Nella piena consapevolezza delle conseguenze (pesantemente) negative che queste sanzioni proiettano sulla vita e l'attività dell'ente, si propone un modello sanzionatorio che ancora la minaccia a presupposti applicativi particolarmente rigorosi funzionali al conseguimento di utili risultati per la tutela dei beni tutelati, visto che si consente all'ente di attivarsi, attraverso condotte riparatorie, per evitare l'applicazione di queste sanzioni. Da un lato, dunque, la minaccia presuppone il compimento di reati di particolare gravità ovvero la reiterazione degli illeciti; dall'altro lato, si stagliano sanzioni positive che permettono di scongiurare l'applicazione delle sanzioni interdittive in presenza di comportamenti diretti a reintegrare l'offesa. Si profila, dunque, una linea di politica sanzionatoria che non mira ad una punizione indiscriminata e indefettibile, ma che, per contro, punta dichiaratamente a privilegiare una dimensione che salvaguardi la prevenzione del rischio di commissione di reati in uno con la necessaria, previa eliminazione delle conseguenze prodotte dall'illecito.
- Giurisprudenza:
- Nozione di "profitto di rilevante entità" - Soggetti - Presupposti delle sanzioni interdittive temporanee (Cfr. Juris sub art. 45)- Casistica -
· Nozione di "profitto di rilevante entità"
· Ai fini dell'applicazione delle misure interdittive nei confronti di società di capitali, previste dall'art. 13 d.lg. 231/01, il requisito di cui all'art. 13, lett. a) (e cioè l'avere la società tratto dall'illecito un profitto di rilevante entità), va inteso in senso ampio, come comprensivo non solo dell'utile netto dell'ente, ma anche dei vantaggi economici, anche non immediati, comunque conseguiti attraverso la realizzazione dell'illecito. Cassazione penale, sez. VI, 23 giugno 2006, n. 32627, D&G - Dir. e giust. 2006, 41, 54 (s.m.) - nota di: Spagnolo-.
· Ai fini dell'applicazione di una sanzione interdittiva ex art. 13 d.lgs. n. 231/2001 comma 1 lett. a), anche in ambito cautelare, il giudice è tenuto a compiere un'analisi specifica del "valore reale" delle commesse, quale indice della rilevanza del profitto, ed accertare che questi rappresenti un'utilità effettivamente "tratta" dal reato, comprensiva dei vantaggi economici anche non immediati, ma comunque conseguiti attraverso la realizzazione dell'illecito. Uff. indagini preliminari Gorizia Ordinanza, 22-07-2013, n. 80000. Fonte: Società, 2014, 2, 198 nota di BARTOLUCCI.
· La valutazione della rilevanza del profitto ai sensi dell'art. 13, lett. a), D.Lgs 231/01, deve essere riferita a criteri oggettivi generali, così da non privilegiare l'ente che abbia maggiori disponibilità economiche, rispetto all'ente dotato di minori risorse. Ass. Torino Sez. II, 14 novembre 2011. Dir. Pen. e Processo, 2012, 6, 702 -nota di Batoli, Bianchi-.
· In tema di responsabilità amministrativa degli enti, la determinazione del profitto conseguito dall'ente, rilevante per l'eventuale applicabilità delle sanzioni interdittive (art. 13, comma 1, lett. a), d.lg. 8 giugno 2001 n. 231) e della confisca (art. 19 dello stesso decreto legislativo), va effettuata tenendo conto del vantaggio eventualmente derivatone alla controparte in conseguenza dello svolgimento dell'operazione economica oggetto del reato presupposto (nella specie, quello di corruzione). Tribunale Milano, sez. IV, 19 dicembre 2011, n. 10088, Guida al diritto 2012, 14, 79 (s.m.) -nota di: Amato-
· In tema di responsabilità da reato delle persone giuridiche la disposizione di cui all'art. 13 d.lg. n. 231 del 2001 richiede, ai fini della configurabilità della violazione, la certezza e la rilevanza del profitto, ma non l'esatta quantificazione di esso, per cui la rilevante entità può essere legittimamente dedotta dalla natura e dal volume dell'attività di impresa, non occorrendo che i singoli introiti che l'ente ha conseguito dall'attività illecita posta in essere siano specificamente individuati, né che se ne conoscano gli importi liquidati. Può pertanto essere ritenuto di rilevante entità il profitto della società per il fatto della sua partecipazione a numerose gare con assegnazione di appalti pubblici avuto riguardo alle caratteristiche e alle dimensioni dell'azienda. Cass. pen., sez. VI, n. 44992 del 19 ottobre 2005, Rv. 232623, CED Cass. pen. 2005 (conformi: Cass. pen. n. 3615 del 20.01.06, Rv. 232958; Cass. pen. n. 32627 del 2.10.06, Rv. 235637).
· Ai fini della valutazione sulla sussistenza del requisito del profitto di rilevante entità, richiesto dall'art. 13 d.lg. n. 231 del 2001 per l'applicazione, anche in sede cautelare, delle misure interdittive, è sufficiente che le prestazioni indebite di finanziamenti e contributi illecitamente ottenuti dallo Stato siano stati accreditati nella casse della società, in quanto lo storno, anche se immediato, delle somme sui conti personali dell'autore del reato costituisce una condotta di post factum, incapace di elidere il dato storico del profitto conseguito dall'ente. Cassazione penale, sez. II, 20 dicembre 2005, n. 3615, Cass. pen. 2007, 1, 74 (conforme Cassazione penale sez. II, 20 dicembre 2005, n. 3615, CED Cass. pen. 2006).
· Soggetti:
· Le disposizioni del d.lg. n. 231 del 2001, là dove prevedono la misura cautelare dell'interdizione dall'esercizio dell'attività, sono applicabili unicamente alle società commerciali, alle persone giuridiche ed agli enti non riconosciuti, ma non alle imprese individuali. Cassazione penale, sez. VI, 03 marzo 2004, n. 18941, D&G - Dir. e giust. 2004, 30, 25 (nota di: Coratella).
· Presupposti delle sanzioni interdittive temporanee (Cfr. Juris sub art. 45):
· In tema di responsabilità da reato degli enti, l'applicazione in via cautelare delle sanzioni interdittive è subordinata, alternativamente e non congiuntamente, al conseguimento da parte dell'ente di un profitto di rilevante entità ovvero alla reiterazione nel tempo dell'illecito. Cass. Pen., sez. II, n. 4703 del 24/11/2011 (dep. 07/02/2012 ) Rv. 251722. in Ced Cass. Pen.
· Casistica:
· E' obbligato ad astenersi dalla trattazione del processo penale nei confronti del legale rappresentante di una persona giuridica il magistrato componente del collegio che abbia irrogato alla stessa una misura interdittiva. Cass. pen. Sez. VI, 09.04.2014, n. 15904.
· Nel caso in cui esistano le condizioni previste dagli art. 45 e 13 d.lg. n. 231 del 2001 - gravi indizi per ritenere la sussistenza della responsabilità dell'ente per illecito amministrativo dipendente da reato; fondati e specifici elementi che facciano ritenere concreto il pericolo di reiterazione; profitto di rilevante entità a vantaggio dell'ente; commissione del reato determinata o agevolata da gravi carenze organizzative quando il reato è stato commesso da soggetti sottoposti all'altrui direzione - il g.i.p. può applicare la misura dell'interdizione del divieto di trattare con la p.a., limitando il divieto alla sola attività oggetto del reato da cui deriva la responsabilità amministrativa in capo all'ente. La creazione di fondi extrabilancio è indizio dell'inefficacia del sistema di prevenzione del rischio penale adottato. L'adozione di un codice etico successivamente alla contestazione del reato non è idonea ad escludere l'applicazione della misura cautelare, anche in considerazione del comportamento della società che ha omesso di avviare procedimenti disciplinari a carico dei propri agenti indagati per i reati che sono fonte della responsabilità amministrativa. Trib. Milano 27 aprile 2004.
· In materia di responsabilità degli enti per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato, ai fini dell'applicazione di una misura cautelare interdittiva, il ricorso alla motivazione per relationem all'ordinanza cautelare emessa nei confronti dell'autore del reato sottostante può ritenersi legittimo e satisfattivo solo con riguardo al compendio indiziario afferente la commissione del reato, mentre per il resto è necessaria un'apposita, esplicita motivazione che si estenda ad apprezzare tutti gli elementi dell'illecito amministrativo da reato. (In particolare, la sussistenza dell'interesse o del vantaggio derivante all'ente; il ruolo ricoperto dai soggetti che hanno agito in nome e per conto dell'ente; la verifica sul fatto che colui che ha commesso il reato non abbia agito nell'interesse esclusivo proprio o di terzi; la ricorrenza delle condizioni legittimanti l'applicazione della sanzione interdittiva. Cass. pen., sez. VI, 23 giugno 2006, n. 32627, in Guida al diritto 2006, 42, 61 (s.m.) -nota di: Amato-, Dir. e prat. soc. 2007, 4, 73 (s.m.) -nota di: Cerqua-; Conf. Cass. pen., sez. VI, 5 marzo 2013, n. 10903, in Diritto & Giustizia 11.03.2013.
· L'applicazione della misura cautelare dell'interdizione dall'esercizio dell'attività ai sensi degli artt. 13 e 45, D.Lgs 231/01, nei confronti di uno studio professionale costituito in forma di società in accomandita semplice, è subordinato alla sussistenza alternativa del profitto di rilevante entità conseguito dall'ente ovvero di una reiterazione delle condotte illecite. Cass. pen., Sez. II, n. 4703 del 24 novembre 2011. Corriere Giur., 2012, 6, 781 nota di Lunghini, Rapizza
· Nel corso di un procedimento per l'accertamento dell'illecito amministrativo ai sensi del d.lg. 8 giugno 2001 n. 231, non è applicabile nei confronti dell'ente una misura cautelare interdittiva più gravosa di quella richiesta dal p.m., (nella specie, il giudice ha rigettato l'istanza della difesa dell'ente, di nominare un commissario giudiziale in luogo della misura cautelare richiesta dall'accusa della revoca dei finanziamenti già concessi, sul presupposto che la nomina del commissario è consentita solo in conseguenza delle più gravi misure interdittive che determinano l'interruzione dell'attività dell'ente). Tribunale Salerno, 28 marzo 2003, Foro it. 2004, II, 435.
· Ove irrogabile - ricorrendo i presupposti dell'art. 13 ( D.Lgs. n. 231/2001 ) - la più grave misura cautelare interdittiva, il giudice può discrezionalmente disporne ex art. 45, comma 3 ( D.Lgs. n. 231/2001 ), la sostituzione con la nomina del commissario giudiziale ( art. 15 D.Lgs. n. 231/2001) onde recuperare una situazione di legalità organizzativa dell'ente ed impedire sue condotte recidivanti. Trib. Bari, 18.04.2005
Art. 14
Criteri di scelta delle sanzioni interdittive
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1. Le sanzioni interdittive hanno ad oggetto la specifica attività alla quale si riferisce l'illecito dell'ente. Il giudice ne determina il tipo e la durata sulla base dei criteri indicati nell'articolo 11, tenendo conto dell'idoneità delle singole sanzioni a prevenire illeciti del tipo di quello commesso.
2. Il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione può anche essere limitato a determinati tipi di contratto o a determinate amministrazioni. L'interdizione dall'esercizio di un'attività comporta la sospensione ovvero la revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali allo svolgimento dell'attività.
3. Se necessario, le sanzioni interdittive possono essere applicate congiuntamente.
4. L'interdizione dall'esercizio dell'attività si applica soltanto quando l'irrogazione di altre sanzioni interdittive risulta inadeguata.
- Relazione Ministeriale al Decreto:
...Le sanzioni, per quanto possibile, devono colpire il ramo di attività in cui si è sprigionato l'illecito, in omaggio ad un principio di economicità e di proporzione. La necessità di questa selezione - conviene ripeterlo - deriva proprio dalla estrema frammentazione dei comparti produttivi che oggi segna la vita delle imprese ed è inoltre destinata a rivelarsi preziosa in sede di disciplina della sorte delle sanzioni interdittive applicate nei confronti degli enti soggetti a vicende modificative (v. artt. 30 e 31).
Per queste ragioni, si è così previsto, con riguardo al divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, la frazionabilità di questa sanzione, che potrà avere ad oggetto alcuni contratti o riguardare solo alcune amministrazioni.
Solo quando l'illecito costituisce espressione di una generale propensione al conseguimento di illeciti profitti, ricavabile da prassi criminose ormai consolidate che coinvolgono i vertici dell'ente, sarà inevitabile un'applicazione indivisa della sanzione.
Quanto ai criteri commisurativi, da utilizzare per individuare il tipo e la durata della sanzione interdittiva da irrogare, valgono quelli indicati nell'articolo 11, con un'integrazione relativa alla necessità che il giudice tenga conto dell'efficacia delle singole sanzioni a prevenire illeciti del tipo di quello commesso. Proprio la valutazione sull'efficacia preventiva delle singole sanzioni può determinare il giudice all'applicazione congiunta di più sanzioni interdittive, ove ciò dovesse rendersi necessario per il conseguimento del descritto obbiettivo.
...In ordine al regime di operatività delle sanzioni interdittive temporanee, va chiarito che, allorché ricorrano i loro presupposti applicativi (illecito che ne consente l'applicazione e la sussistenza di almeno uno dei requisiti indicati nell'articolo 13), il giudice ha l'obbligo di irrogarle. Questa scelta serve a garantire l'uniformità applicativa delle sanzioni. Del resto, il carattere stringente dei presupposti applicativi non lascia spazio ad eventuali successivi apprezzamenti discrezionali che, ove ammessi, potrebbero fomentare prassi corrive e disomogenee. Per non parlare del rischio che il riconoscimento della discrezionalità giudiziale conduca il sistema delle sanzioni interdittive verso una deprecabile disapplicazione.
- Giurisprudenza:
· Il Giudice, in base a quanto previsto dall'art. 14 del D.Lgs 231/01, deve attenersi al principio della cd. frazionabilità delle sanzioni interdittive, secondo cui tali sanzioni devono, ove possibile, adattarsi alla specifica attività dell'ente che è stata causa dell'illecito. Ciò si giustifica sia per neutralizzare il luogo in cui si è originato l'illecito, sia per applicare la sanzione valorizzandone l'adeguatezza e proporzionalità, in ossequio al criterio dell'extrema ratio. (Nel caso di specie, si è evidenziato che, nonostante il commissariamento della società ricorrente fosse stato deciso in sede di riesame, il Tribunale doveva comunque indicare i compiti ed i poteri del commissario, tenuto conto della specifica attività svolta dall'ente e della situazione in cui si trovava il vertice della predetta società, con il conseguente annullamento dell'ordinanza impugnata limitatamente alla mancata definizione dei poteri del commissario giudiziale e rinvio al Giudice per le indagini preliminari cui, in applicazione della norma generale di cui all'art. 47 del citato D.Lgs., deve riconoscersi una competenza permanente in materia di provvedimenti cautelari assunti nella fase delle indagini). Cass. pen., Sez. VI, n. 43108 del 28 settembre 2011.
· In sede di nomina nella fase cautelare, il giudice di merito deve indicare i compiti e i poteri del commissario, tenendo conto della specifica attività in cui è stato posto in essere l'illecito. Pertanto, deve valutare l'incidenza della misura sulla specifica attività alla quale si riferisce l'illecito dell'ente, applicando i criteri di cui all' art. 14, D.Lgs 8 giugno 2001, n. 231 e, quindi, limitando, ove possibile, la misura solo ad alcuni settori dell'attività dell'ente. Né può costituire ostacolo alla frazionabilità della misura la mancanza di una diversificazione dell'attività dell'impresa: invero, anche a un ente che svolge un'unica attività può essere applicata una misura limitata solo ad una parte dell'attività stessa. Cass. pen. Sez. VI, 25.01.2010, n. 20560
· Ai sensi dell'art. 14 d.lg. n. 231 del 2001, l'irrogazione di sanzioni interdittive deve essere preceduta da un'appropriata scelta della specifica attività della persona giuridica, nei cui confronti deve aver effetto la sanzione da applicarsi, dovendo tener conto dell'idoneità della sanzione a prevenire illeciti del tipo di quello commesso. Uff. Indagini preliminari Milano, 05 maggio 2004, Giur. merito 2004, 2514.
· L'art. 14 comma 1 d.lg. 231/01 prevede che le sanzioni interdittive abbiano ad oggetto la specifica attività alla quale si riferisce l'illecito attribuito all'ente. (Nella fattispecie il giudice, rilevato che in base agli atti d'indagine e alle motivazioni poste a base della misura applicata, la specifica attività potesse individuarsi nella costruzione e nella vendita di apparecchiature per la produzione di energia elettrica mediante turbogas - di cui si occupava un ramo d'azienda della società interessata e cioè una delle 14 divisioni in cui si suddivide il gruppo - ha disposto che il dispositivo relativo alla misura interdittiva già applicata con precedente ordinanza fosse modificato e integrato, limitando il divieto di contrattare con la p.a. per un periodo di un anno alla sola attività della società che riguarda la fornitura di turbine a gas). Uff. Indagini preliminari Milano, 05 maggio 2004, Foro ambrosiano 2004, 263 (s.m.).
Art. 15
Commissario giudiziale
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1. Se sussistono i presupposti per l'applicazione di una sanzione interdittiva che determina l'interruzione dell'attività dell'ente, il giudice, in luogo dell'applicazione della sanzione, dispone la prosecuzione dell'attività dell'ente da parte di un commissario per un periodo pari alla durata della pena interdittiva che sarebbe stata applicata, quando ricorre almeno una delle seguenti condizioni:
a) l'ente svolge un pubblico servizio o un servizio di pubblica necessità la cui interruzione può provocare un grave pregiudizio alla collettività;
b) l'interruzione dell'attività dell'ente può provocare, tenuto conto delle sue dimensioni e delle condizioni economiche del territorio in cui è situato, rilevanti ripercussioni sull'occupazione.
2. Con la sentenza che dispone la prosecuzione dell'attività, il giudice indica i compiti ed i poteri del commissario, tenendo conto della specifica attività in cui è stato posto in essere l'illecito da parte dell'ente.
3. Nell'ambito dei compiti e dei poteri indicati dal giudice, il commissario cura l'adozione e l'efficace attuazione dei modelli di organizzazione e di controllo idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi. Non può compiere atti di straordinaria amministrazione senza autorizzazione del giudice.
4. Il profitto derivante dalla prosecuzione dell'attività viene confiscato.
5. La prosecuzione dell'attività da parte del commissario non può essere disposta quando l'interruzione dell'attività consegue all'applicazione in via definitiva di una sanzione interdittiva.
- Note:
A questo articolo non sono assoggettate le SIM, SGR e SICAV (ex art. 60-Bis, comma 4, D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58 - T.U. intermediazione finanziaria), così pure sussiste esclusione soggettiva per le BANCHE (ex art. 97-Bis, comma IV, D.L.vo 1 settembre 1993, n. 385 - T.U. Bancario-, introdotto dall'art. 8, D.L.gs 9 giugno 2004, n. 197 - risanamento e liquidazione degli enti creditizi), e le imprese di ASSICURAZIONE e riassicurazione (ex art. 266, D.Lgs. 7 settembre 2005, n. 209 - Codice delle assicurazioni private). Cfr. nota sub art. 9.
- Relazione Ministeriale al Decreto:
6:...La durata del commissariamento è pari a quella della sanzione che il giudice avrebbe inflitto. Con la sentenza di condanna, il giudice indica i compiti e i poteri del commissario, tenendo conto del ramo di attività e del settore in cui è stato consumato l'illecito. Ne deriva, pertanto, che il giudice calibrerà l'intensità della sostituzione gestoria sulle caratteristiche dell'illecito, con particolare riguardo alle attività in cui lo stesso si è verificato. Inoltre, il commissario curerà l'adozione e l'attuazione dei modelli organizzativi diretti a prevenire il rischio-reato, sulla base delle indicazione che il giudice indicherà nella sentenza. Si prevede, poi, che il commissario non possa svolgere atti di straordinaria amministrazione senza autorizzazione del giudice. Egli provvederà, infine, alla confisca del profitto derivante dalla prosecuzione dell'attività. Quest'ultima disposizione è intimamente collegata alla natura comunque sanzionatoria del provvedimento adottato dal giudice: la confisca del profitto serve proprio ad enfatizzare questo aspetto, nel senso che la prosecuzione dell'attività è pur sempre legata alla sostituzione di una sanzione, sì che l'ente non deve essere messo nelle condizioni di ricavare un profitto dalla mancata interruzione di un'attività che, se non avesse avuto ad oggetto un pubblico servizio, sarebbe stata interdetta.
- Giurisprudenza:
- Nomina di un Commissario Giudiziale (Cfr. Juris sub artt. 14, 45, 79) - Casistica -
· Nomina:
· In tema di responsabilità da reato degli enti, il giudice, quando procede alla nomina di un commissario giudiziale in luogo dell'applicazione di una misura cautelare interdittiva, deve altresì provvedere all'indicazione dei suoi compiti e poteri, che devono essere definiti anche tenendo conto anche della specifica attività svolta dall'ente alla quale si riferisce l'illecito. Cass. Pen., sez. VI, del 28/09/2011 (dep. 22/11/2011 ) Rv. 250846. in Ced Cass. Pen.
· Casistica:
· Non può applicarsi la misura cautelare interdittiva del divieto di contrattare con la p.a., ma deve nominarsi un commissario giudiziale ai sensi degli art. 15 e 45 d.lg. 8 giugno 2001 n. 231, nei confronti di un ente che lavori prevalentemente nel settore degli appalti pubblici, poiché l'interruzione dell'attività avrebbe ripercussioni negative sull'occupazione. Tribunale Roma, 04 aprile 2003, Foro it. 2004, II, 317.
· Nel corso di un procedimento per l'accertamento dell'illecito amministrativo ai sensi del d.lg. 8 giugno 2001 n. 231, non è applicabile nei confronti dell'ente una misura cautelare interdittiva più gravosa di quella richiesta dal p.m., (nella specie, il giudice ha rigettato l'istanza della difesa dell'ente, di nominare un commissario giudiziale in luogo della misura cautelare richiesta dall'accusa della revoca dei finanziamenti già concessi, sul presupposto che la nomina del commissario è consentita solo in conseguenza delle più gravi misure interdittive che determinano l'interruzione dell'attività dell'ente). Tribunale Salerno, 28 marzo 2003, Foro it. 2004, II, 435.
· Il ricorso per cassazione avverso provvedimento del giudice penale reso in tema di liquidazione del compenso al commissario giudiziale nominato a norma dell'art. 45, comma terzo, D.Lgs. n. 231 del 2001 (disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica) nel corso di procedimento per l'applicazione di misure cautelari a carico dell'ente va trattato e deciso dalle sezioni civili della Corte di cassazione. V. Sez. un. civ., 9 settembre 2009 n. 19161. Cassazione pen., sez. VI, n. 38199 del 22/09/2009 (dep. 29/09/2009 ) Rv. 244824. CED Cass. pen.
· Ove irrogabile - ricorrendo i presupposti dell'art. 13 ( D.Lgs. n. 231/2001 ) - la più grave misura cautelare interdittiva, il giudice può discrezionalmente disporne ex art. 45, comma 3 ( D.Lgs. n. 231/2001 ), la sostituzione con la nomina del commissario giudiziale ( art. 15 D.Lgs. n. 231/2001) onde recuperare una situazione di legalità organizzativa dell'ente ed impedire sue condotte recidivanti. Trib. Bari, 18.04.2005
Art. 16
Sanzioni interdittive applicate in via definitiva
* * *
1. Può essere disposta l'interdizione definitiva dall'esercizio dell'attività se l'ente ha tratto dal reato un profitto di rilevante entità ed è già stato condannato, almeno tre volte negli ultimi sette anni, alla interdizione temporanea dall'esercizio dell'attività.
2. Il giudice può applicare all'ente, in via definitiva, la sanzione del divieto di contrattare con la pubblica amministrazione ovvero del divieto di pubblicizzare beni o servizi quando è già stato condannato alla stessa sanzione almeno tre volte negli ultimi sette anni.
3. Se l'ente o una sua unità organizzativa viene stabilmente utilizzato allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione di reati in relazione ai quali è prevista la sua responsabilità è sempre disposta l'interdizione definitiva dall'esercizio dell'attività e non si applicano le disposizioni previste dall'articolo 17.
- Relazione Ministeriale al Decreto:
6.2:...a differenza di quanto si è previsto per le sanzioni interdittive applicate in via temporanea, quelle definitive non sottostanno al regime di obbligatorietà applicativa. La discrezionalità riconosciuta al giudice è collegata al carattere estremo di tali sanzioni: di conseguenza, pur ricorrendone i presupposti applicativi, si rimette al giudice il compito di effettuare ogni ulteriore, utile apprezzamento in concreto: potrebbero, infatti, verificarsi ipotesi in cui la prognosi di irrecuperabilità dell'ente ad una prospettiva di legalità, cristallizzata in via astratta dalla norma, potrebbe trovare parziale smentita nei fatti.
Art. 17
Riparazione delle conseguenze del reato
* * *
1. Ferma l'applicazione delle sanzioni pecuniarie, le sanzioni interdittive non si applicano quando, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, concorrono le seguenti condizioni: [49, 50, 65]
a) l'ente ha risarcito integralmente il danno e ha eliminato le conseguenze dannose o pericolose del reato ovvero si è comunque efficacemente adoperato in tal senso; [78]
b) l'ente ha eliminato le carenze organizzative che hanno determinato il reato mediante l'adozione e l'attuazione di modelli organizzativi idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi; [78]
c) l'ente ha messo a disposizione il profitto conseguito ai fini della confisca. [78]
- Relazione Ministeriale al Decreto:
6.1:...le contro-azioni di natura reintegrativa, riparatoria e ri-organizzativa sono orientate alla tutela degli interessi offesi dall'illecito e, pertanto, la rielaborazione del conflitto sociale sotteso all'illecito e al reato avviene non solo attraverso una logica di stampo repressivo ma anche, e soprattutto, con la valorizzazione di modelli compensativi dell'offesa.
- Giurisprudenza:
- Ratio - Requisiti per l'esclusione/revoca dalle sanzioni - Revoca -
· Ratio:
· In tema di responsabilità delle persone giuridiche, il d.lg. n. 231 del 2001 ha introdotto un obbligo di adempienza allorquando venga scoperto o comunque prospettato un reato che coinvolga l'ente; infatti, ai sensi dell'art. 7 comma 3 d.lg. n. 231 del 2001, la società è tenuta da un lato a scoprire ed eliminare tempestivamente le situazioni di rischio e d'altro lato, ai sensi dell'art. 17 lett. b) della medesima normativa, ad eliminare le carenze organizzative mediante l'adozione e l'attuazione di modelli organizzativi idonei a identificare le aree di rischio nell'attività della società e a individuare gli elementi sintomatici della commissione di illeciti. Uff. Indagini preliminari, Verona, 14 marzo 2007, Riv. pen. 2008, 9, 926 (s.m.), nota di: Palumbo.
· Requisiti per l'esclusione/revoca dalle sanzioni:
· In tema di responsabilità da reato degli enti, affinché possa ritenersi integrato il requisito del risarcimento integrale del danno e dell'eliminazione delle conseguenze dannose del reato di cui all' art. 17 lett. a), D.Lgs. 231 del 2001, ai fini della revoca delle misure cautelari interdittive eventualmente disposte, è necessaria la diretta consegna alla persona offesa della somma costitutiva del risarcimento del danno prodotto o comunque l'attuazione di condotte che garantiscano la presa materiale della somma da parte del danneggiato senza la necessità di un'ulteriore collaborazione dell'ente ai fini della "traditio". (Nella fattispecie non è stata ritenuta idonea a tal fine la previsione nel bilancio della società di un fondo di accantonamento costitutivo di una riserva indisponibile certificata dal collegio sindacale e comunicata alle persone offese). Conf. n. 327/2014, non mass. (Annulla con rinvio, Trib. lib. Pistoia, 10/07/2013). Cass. pen. Sez. II, 28.11.2013, n. 326 (rv. 258218).
· Con riferimento alla previsione dell'art. 17 d.lg. n. 231 del 2001, a norma del quale le sanzioni interdittive non si applicano quando l'ente dimostri di aver risarcito interamente il danno, di aver eliminato le carenze organizzative che hanno determinato il reato adottando modelli idonei a prevenirne di nuovi ed abbia, infine, messo a disposizione il profitto conseguito ai fini della confisca, occorre rilevare che il risarcimento del danno in favore della p.a. danneggiata, anche a mezzo di transazione, non soddisfa, se non in parte, le condizioni poste dall'art. 17: resta aperto infatti il problema del danno subito dal mercato e dagli altri aspiranti forniti che hanno visto violate le regole della concorrenza, nonché del mancato adeguamento al modello organizzativo idoneo ad evitare la commissione di reati della stessa indole. Tribunale Milano, 27 aprile 2004, Riv. dottori comm. 2004, 904 -nota di: Troyer-.
· Nel corso di un procedimento per l'accertamento dell'illecito amministrativo ai sensi del d.lg. 8 giugno 2001 n. 231, è consentito al giudice delle indagini preliminari nominare un perito per valutare l'idoneità a prevenire i reati di un modello organizzativo aziendale, adottato dalla società indagata dopo la commissione del fatto e invocato per evitare l'applicazione di misure cautelari interdittive. Tribunale Roma, 22 novembre 2002, Foro it. 2004, II, 318.
· Le misure cautelari, al pari delle corrispondenti sanzioni interdittive, non possono applicarsi ai sensi dell'art. 17 d.lg. 231 del 2001 se l'ente risarcisce integralmente il danno, mette a disposizione ai fini della confisca il profitto del reato, adotta efficacemente dopo l'illecito modelli di organizzazione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi, eliminando le carenze organizzative che lo hanno determinato. Tribunale Milano, 28 ottobre 2004, Corriere del merito 2005, 319 -nota di: Varraso-.
· L'applicazione di una misura interdittiva, anche in via cautelare, non è esclusa dalla circostanza che l'ente abbia interamente risarcito il danno, dovendo altresì dimostrare di aver messo a disposizione dello Stato il profitto conseguito e di aver adottato e attuato un modello organizzativo idoneo alla prevenzione dei reati della stessa specie di quelli per cui si procede. Tribunale Milano, 27 aprile 2004, Foro it. 2004, II, 434.
· Nel corso di un procedimento per l'accertamento dell'illecito amministrativo ai sensi del d.lg. 8 giugno 2001 n. 231, il modello organizzativo adottato da una società partecipante a gare di appalto per la realizzazione di opere pubbliche non può essere considerato idoneo a prevenire i reati contro il patrimonio pubblico e dunque ad evitare in astratto l'applicazione della misura cautelare interdittiva del divieto di contrattare con la p.a., qualora non dedichi specifica considerazione all'area operativa dell'azienda nella quale sarebbe stato commesso il reato per cui si procede, non garantisca effettive autonomia e indipendenza all'organismo di controllo e non preveda, in deroga all'art. 2388 c.c., una maggioranza qualificata del consiglio di amministrazione per la sua modifica. Tribunale Roma, 04 aprile 2003, Foro it. 2004, II, 317.
· Si ritiene che la riparazione del danno in forma integrale nonché l'assenza di una rilevante entità del profitto escludano la possibilità di applicare le sanzioni interdittive di cui all'art. 9 comma 2 Dlgs 231 del 2001. Tribunale di Monza, 3 settembre 2012.
· Revoca:
· Ai fini della revoca delle sanzioni interdittive, applicate in via cautelare nel corso del procedimento di cui al d.lg. 8 giugno 2001 n. 231, è necessario il contestuale verificarsi di tutte le condizioni previste dall'art. 17 d.lg. 231/01. Cass. Pen., sez. VI, n. 6248 del 02 febbraio 2012, in Resp. civ. e prev. 2012, 3, 823 (s.m.) - nota di: Pizzotti-
· In tema di responsabilità amministrativa degli enti, la revoca della misura cautelare interdittiva può essere concessa anche per ipotesi non tipizzate dalla legge (art. 17 d. lg. n. 231 del 2001) poiché l'art. 50 prevede che vi sia la revoca della misura cautelare anche per fatti sopravvenuti che fanno venir meno le condizioni di applicabilità della misura stessa (art. 45 d. lg. n. 231 del 2001). Trib. Riesame di Firenze, 15 maggio 2012
· In tema di responsabilità da reato degli enti, è illegittimo il provvedimento di revoca delle misure cautelari interdittive adottato con riferimento all'attuazione di condotte riparatorie, qualora le medesime non abbiano contestualmente avuto ad oggetto tanto il risarcimento integrale del danno e l'eliminazione delle conseguenze dannose del reato, che il superamento delle carenze organizzative mediante l'adozione e attuazione di modelli organizzativi idonei a prevenire la commissione di altri reati della stessa specie e la messa a disposizione a fini di confisca del profitto dello stesso reato. (Annulla con rinvio, Trib. lib. Messina, 05 Febbraio 2009). Cass. pen., sez. II, n. 40749 del 1 ottobre 2009,Rv. 244850, Ced Cass. pen. 2009.
· In tema di responsabilità amministrativa delle persone giuridiche per il reato di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato (art. 316 ter c.p.), ai fini della revoca delle sanzioni interdittive disposte nei confronti dell'ente (art. 45 d.lgs. n. 231/2001), la messa a disposizione del profitto, conseguito illecitamente dall'ente, ai fini della confisca, deve avvenire mettendo a disposizione il denaro illecitamente incassato, non essendo consentita la messa a disposizione dell'equivalente del profitto stesso. Cass. Pen., sez. VI, 02 febbraio 2012, n. 6248. Diritto & Giustizia 2012, 17 febbraio -nota di: Galasso-
· La revoca delle sanzioni interdittive a mente della disciplina del D.Lgs 231/01 può intervenire subordinatamente all'ossequio delle condizioni previste dall'art. 17 da assolversi entro la dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado. Cass. pen. Sez. VI, 2 febbraio 2012, n. 6248. Fisco on line, 2012
Art. 18
Pubblicazione della sentenza di condanna
* * *
1. La pubblicazione della sentenza di condanna può essere disposta quando nei confronti dell'ente viene applicata una sanzione interdittiva.
2. La pubblicazione della sentenza avviene ai sensi dell'articolo 36 del codice penale nonché mediante affissione nel comune ove l'ente ha la sede principale (1)
3. La pubblicazione della sentenza è eseguita, a cura della cancelleria del giudice, a spese dell'ente.
(1) Comma così sostituito dal comma 218 dell'art. 2, L 23.12.2009, n. 191, a decorrere dal 1° gennaio 2010 ai sensi di quanto disposto dal comma 253 del citato art. 2.
- Relazione Ministeriale al Decreto:
...La sanzione della pubblicazione della sentenza di condanna, mutuata dall'arsenale penalistico, non solleva problemi interpretativi. Essa può essere applicata dal giudice quando l'ente soggiace all'irrogazione di una sanzione interdittiva: dunque, nelle ipotesi più gravi che ben possono legittimare un interesse del pubblico alla conoscenza della condanna.
Art. 19
Confisca
* * *
1. Nei confronti dell'ente è sempre disposta, con la sentenza di condanna, la confisca del prezzo o del profitto del reato, salvo che per la parte che può essere restituita al danneggiato. Sono fatti salvi i diritti acquisiti dai terzi in buona fede. [53]
2. Quando non è possibile eseguire la confisca a norma del comma 1, la stessa può avere ad oggetto somme di denaro, beni o altre utilità di valore equivalente al prezzo o al profitto del reato.
- Relazione Ministeriale al Decreto:
... Di particolare rilievo la sanzione della confisca, irrogabile con la sentenza di condanna, che si atteggia a sanzione principale e obbligatoria. Essa viene configurata sia nella sua veste tradizionale, che cade cioè sul prezzo o sul profitto dell'illecito, sia nella sua forma "moderna", quella "per equivalente", in vista di una più efficace azione di contrasto contro la criminalità del profitto.
La confisca "tradizionale" colpisce il prezzo del reato, costituito dalle cose, dal denaro o da altre utilità date o promesse per determinare o istigare alla commissione del reato, e il profitto del reato, da intendersi come una conseguenza economica immediata ricavata dal fatto di reato.
La confisca "per equivalente", già conosciuta nel nostro ordinamento, ha invece ad oggetto somme di denaro, beni o altra utilità di valore equivalente al prezzo o al profitto del reato. Essa opera, ovviamente, quando non è possibile l'apprensione del prezzo o del profitto con le forme della confisca tradizionale e permette così di evitare che l'ente riesca comunque a godere illegittimamente dei proventi del reato ormai indisponibili per un'apprensione con le forme della confisca ordinaria.
- Giurisprudenza:
- Natura giuridica e distinzione tra confisca ex art. 6 e confisca ex art. 19 - Ratio - Presupposti - Nozione di "profitto" del reato - Casistica - Sequestro preventivo funzionale alla confisca (rapporti tra art. 19 e 53) - Cumulabilità delle misure cautelari (rapporto tra art 19 e 46)- Mezzi di impugnazione - Responsabilità concorsuale e confisca - Confisca e applicazione della sanzione su richiesta (rapporti tra art. 19 ed art 63) - Confisca e opposizone del terzo - Estinzione del reato per prescrizione -
· Natura giuridica e distinzione tra confisca ex art. 6 e confisca ex art. 19:
· In tema di responsabilità da reato degli enti collettivi, la confisca del profitto del reato prevista dagli artt. 9 e 19 d.lg. n. 231 del 2001 si configura come sanzione principale, obbligatoria ed autonoma rispetto alle altre previste a carico dell'ente, e si differenzia da quella configurata dall'art. 6, comma 5, del medesimo decreto, applicabile solo nel caso difetti la responsabilità della persona giuridica, la quale costituisce invece uno strumento volto a ristabilire l'equilibrio economico alterato dal reato presupposto, i cui effetti sono comunque andati a vantaggio dell'ente. Cassazione penale sez. un., n. 26654 del 27 marzo 2008, Rv. 239925. Cass. pen. 2008, 12, 4544 (s.m.) -nota di: Pistorelli-; CED Cass. pen. 2008; in Riv. pen. 2008, 10, 1000.
· Nel caso di sentenza di condanna per uno dei reati per cui è stata riconosciuta la responsabilità amministrativa dell'ente conseguente a reato, la confisca del profitto è obbligatoria, al contrario della disciplina generale prevista dall'art. 240 c.p., dove è facoltativa. Trib. Pordenone, n. 308 del 23 luglio 2010.
· In tema di responsabilità da reato degli enti, la confisca del profitto del reato presupposto, in quanto sanzione principale ed autonoma, ha natura obbligatoria, anche nella forma per equivalente, atteso che il ricorso da parte del legislatore alla locuzione "può", nel secondo comma dell'art. 19 d.lg. n. 231 del 2001, debba essere imputato non già all'intenzione di configurare la suddetta confisca di valore come meramente facoltativa, bensì alla volontà di vincolare il dovere del giudice di procedervi alla previa verifica dell'impossibilità di provvedere alla confisca diretta del profitto del reato e dell'effettiva corrispondenza del valore dei beni oggetto di ablazione al valore di quest'ultimo. Cassazione penale, sez. VI, 10.01.2013, n. 19051. In CED Cassazione penale 2013.
· Ratio:
· La previsione della "confisca per equivalente" trova la sua ratio nell'esigenza di privare il reo di un qualunque beneficio economico derivante dall'attività criminosa, anche di fronte all'impossibilità di aggredirne l'oggetto principale, ossia i beni costituenti il profitto o il prezzo del reato, nella convinzione della capacità dissuasiva e disincentivante di tale strumento, che assume i tratti distintivi di una vera e propria sanzione. In questa prospettiva, la confisca per equivalente è rivolta a superare gli ostacoli e le difficoltà per l'individuazione dei beni in cui si "incorpora" il profitto iniziale, nonché a ovviare ai limiti che incontra la confisca dei beni di scambio o di quelli che ne costituiscono il reimpiego. Ciò comporta che tale confisca (a differenza dell'ordinaria confisca prevista dall'art. 240 c.p., che può avere a oggetto soltanto cose direttamente riferibili al reato) può riguardare beni che, oltre a non avere alcun rapporto con la pericolosità individuale del reo, neppure hanno alcun collegamento diretto con il singolo reato (fattispecie in tema di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente ex art. 19 e 53 d.lg. 8 giugno 2001 n. 231). Cassazione penale, sez. I, 27 ottobre 2009, n. 42894, Guida al Diritto 2010, 68.
· La confisca prevista dall'art. 19 - sia quella di cui al comma 1, sia quella, per equivalente, di cui al comma 2 - D.Lgs. n. 231/2001, ha carattere obbligatorio (e non facoltativo), che deriva direttamente dalla natura di sanzione principale e autonoma affermata solennemente dall'art. 9, co. I, D.Lgs 231/2001. Cass. pen. Sez. VI, 10-01-2013, n. 19051. Fonte: Società, 2013, 7, 864.
· Presupposti:
· In tema di responsabilità dipendente da reato degli enti e persone giuridiche, per il sequestro preventivo dei beni di cui è obbligatoria la confisca, eventualmente anche per equivalente, e quindi, secondo il disposto dell'art. 19 d.lg. n. 231 del 2001, dei beni che costituiscono prezzo e profitto del reato, non occorre la prova della sussistenza degli indizi di colpevolezza, né la loro gravità, né il "periculum" richiesto per il sequestro preventivo di cui all'art. 321 comma 1 c.p.p., essendo sufficiente accertarne la confiscabilità una volta che sia astrattamente possibile sussumere il fatto in una determinata ipotesi di reato. Cassazione penale, sez. II, 16.09.2014, n. 41435, Rivista231.it. Conformi: Cass. Pen. 9829/2006; Cfr. altresì Cass. Pen. 35786/2012; Cass. Pen. 45591/2013; Cass. Pen. 5656/2014; ; Cass. Pen. 5656/2014; Cass. pen. Sez. III, 21.01.2015, n. 11665.
· Il "profitto" del reato:
· La vigente normativa italiana affida all'interprete il compito d'individuare il contenuto e la portata dell'oggetto della confisca e in questo senso il profitto del reato va inteso come complesso dei vantaggi economici tratti dall'illecito e a questo strettamente pertinenti, dovendosi escludere, per dare concreto significato operativo a tale nozione, l'utilizzazione di parametri valutativi di tipo aziendalistico. Il profitto del reato nel sequestro preventivo funzionale alla confisca, disposto ai sensi degli art. 19 e 53 d.lg. 231/2001 nei confronti dell'ente collettivo, è costituito dal vantaggio economico di diretta e immediata derivazione causale dal reato ed è concretamente determinato al netto dell'effettiva utilità eventualmente conseguita dal danneggiato, nell'ambito del rapporto sinallagmatico con l'ente. Cassazione penale, Sez. Un., n. 26654 del 27 marzo 2008, Rv. 239924. in Guida al diritto 2008, 30, 89 (s.m.) -nota di: Cisterna-; in Riv. it. dir. e proc. pen. 2008, 4, 1738 (s.m.) -nota di: Mongillo-; in Riv. it. dir. e proc. pen. 2008, 4, 1738 (s.m.) -nota di: Lorenzetto-; in CED Cass. pen..
· In tema di confisca per equivalente, qualora il profitto tratto da taluno dei reati sia costituito da denaro, l'adozione del sequestro preventivo non è subordinata alla verifica che le somme provengano dal delitto e siano confluite nella effettiva disponibilità dell'indagato, in quanto il denaro oggetto di ablazione deve solo equivalere all'importo che corrisponde per valore al prezzo o al profitto del reato, non sussistendo alcun nesso pertinenziale tra il reato e il bene da confiscare. (Fattispecie, in materia di truffa, nella quale veniva disposto il sequestro per equivalente nei confronti di una società, responsabile per illecito amministrativo ex l. n. 231 del 2001). Cassazione penale, sez. II, 29.04.2014, n. 21228, Rivista231.it. Conformi: Cass. Pen. 7081/2012; Cass. Pen. 1261/2012; Cfr., altresì Cass. Pen. 21222/2013
· Il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente del profitto del reato di truffa aggravata può incidere contemporaneamente od indifferentemente sui beni dell'ente che dal medesimo reato ha tratto vantaggio e su quelli della persona fisica che lo ha commesso, con l'unico limite per cui il vincolo cautelare non può eccedere il valore complessivo del suddetto profitto. Cassazione penale, sez. II, 29.04.2014, n. 21227, Rivista231.it. Conformi: Cass. Pen. 31989/2006; Cass. Pen. 26611/2009; Cass. Pen. 21222/2013; Cfr. altresì Cass. Pen. 47066/2013.
· La confisca ex art. 19 d. lg. n. 231/2001 nei confronti dei beni dell'ente, si estende al fatturato dell'operazione illecita, dedotti i costi netti per l'esecuzione delle prestazioni (fattispecie relativa alla contestazione ad una società di essersi avvalsa del reato - fra gli altri - di truffa ai danni dello Stato ex art. 640, n. 2, c.p. per assicurarsi una commessa a seguito di appalto). Cassazione penale, sez. VI, 05/11/2014, n. 53430, Rivista231.it
· In tema di confisca in seguito alla commissione di reati, costituisce il profitto da confiscare solo quello patrimoniale e materiale che ha in via diretta seguito la commissione del reato. Oggetto di confisca, e dunque di sanzione, ex art. 19 d.lg. n. 231/2001, è quindi il profitto definito dall'art. 240 c.p.. A tal fine è necessario verificare la stretta relazione causale e patrimoniale fra il reato commesso e il beneficio procurato, sulla base del criterio della pertinenzialità, che impone la sussistenza di un profitto da intendersi in senso concreto, materiale e patrimoniale, e non quale generico vantaggio, per la società, dalla commissione dell'illecito. Cassazione penale sez. V, 28/11/2013, n. 10265, Diritto & Giustizia 2014, 5 marzo -nota di: Capitani-.
· In tema di responsabilità da reato degli enti collettivi, il profitto del reato oggetto della confisca di cui all'art. 19 del d.lg. n. 231 del 2001 si identifica con il vantaggio economico di diretta e immediata derivazione causale dal reato presupposto, ma, nel caso in cui questo venga consumato nell'ambito di un rapporto sinallagmatico, non può essere considerato tale anche l'utilità eventualmente conseguita dal danneggiato in ragione dell'esecuzione da parte dell'ente delle prestazioni che il contratto gli impone. (In motivazione la Corte ha precisato che, nella ricostruzione della nozione di profitto oggetto di confisca , non può farsi ricorso a parametri valutativi di tipo aziendalistico - quali ad esempio quelli del "profitto lordo" e del "profitto netto" -, ma che, al contempo, tale nozione non può essere dilatata fino a determinare un'irragionevole e sostanziale duplicazione della sanzione nelle ipotesi in cui l'ente, adempiendo al contratto, che pure ha trovato la sua genesi nell'illecito, pone in essere un'attività i cui risultati economici non possono essere posti in collegamento diretto ed immediato con il reato). Cassazione penale sez. un. 27 marzo 2008, n. 26654, Cass. pen. 2008, 12, 4544 (s.m.) -nota di: PISTORELLI-, Riv. it. dir. e proc. pen. 2008, 4, 1738 (s.m.) -nota di: Mongillo-, Riv. it. dir. e proc. pen. 2008, 4, 1738 (s.m.) -nota di: Lorenzetto-, CED Cass. pen. 2008, Riv. pen. 2008, 10, 1000. Conf. Cass. Pen., sez. VI, n. 17064 del 15 febbraio 2011, in Fisco on line 2011.
· In tema di responsabilità amministrativa degli enti, la determinazione del profitto conseguito dall'ente, rilevante per l'eventuale applicabilità delle sanzioni interdittive (art. 13, comma 1, lett. a), d.lg. 8 giugno 2001 n. 231) e della confisca (art. 19 dello stesso decreto legislativo), va effettuata tenendo conto del vantaggio eventualmente derivatone alla controparte in conseguenza dello svolgimento dell'operazione economica oggetto del reato presupposto (nella specie, quello di corruzione). Tribunale Milano, sez. IV, 19 dicembre 2011, n. 10088, Guida al diritto 2012, 14, 79 (s.m.) -nota di: Amato-.
· In tema di responsabilità da reato degli enti collettivi, il profitto del reato oggetto del sequestro preventivo funzionale alla confisca è costituito dal vantaggio economico di diretta e immediata derivazione causale dal reato presupposto ed è concretamente determinato al netto dell'effettiva utilità eventualmente conseguita dal danneggiato dal reato (Annulla in parte con rinvio, Trib. lib. Napoli, 24 luglio 2008). Cassazione penale, sez. II, 16 aprile 2009, n. 20506 (Rv. 243198). in CED Cass. pen. 2009.
· Il profitto del reato previsto dall'art. 640-bis cod. pen., ai fini dell'applicazione della confisca per equivalente, coincide con l'intero ammontare del finanziamento qualora il rapporto contrattuale non si sarebbe perfezionato ed il progetto non sarebbe stato approvato senza le caratteristiche falsamente attestate dal percettore, mentre corrisponde alla maggiore quota dei fondi non dovuti nel caso in cui siano rappresentati dal beneficiario operazioni o costi riportati in fatture o relazioni ideologicamente false. Cass. Pen., sez. III, n. 17451 del 04/04/2012 Ud. (dep. 10/05/2012 ) Rv. 252546. in Ced. Cass. Pen.
· In tema di responsabilità degli enti collettivi per il reato di corruzione propria antecedente, strumentale all'aggiudicazione di un appalto pluriennale, il profitto oggetto della sanzione principale della confisca non si identifica con l'intero valore del rapporto sinallagmatico instaurato con la P.A., dovendosi in proposito distinguere il profitto direttamente derivato dall'illecito penale dal corrispettivo conseguito dall'ente per l'effettiva e corretta erogazione delle prestazioni comunque svolte in favore della stessa amministrazione, le quali non possono considerarsi automaticamente illecite in ragione dell'illiceità della causa remota (dichiara inammissibile, Trib. lib. Bari, 16 luglio 2007). Cass. pen., sez. VI, n. 42300 del 26 giugno 2008, Rv. 241332. CED Cass. pen. 2008.
· In tema di responsabilità da reato degli enti, la sanzione della confisca del profitto del reato presupposto è applicabile esclusivamente quando la data di consumazione di quest'ultimo è successiva a quella dell'entrata in vigore del D.Lgs. n. 231 del 2001, risultando invece irrilevante il momento in cui il suddetto profitto è stato in tutto in parte effettivamente conseguito. (Fattispecie relativa al sequestro preventivo a fini di confisca del profitto del reato di corruzione, perfezionatosi, in ragione della consegna dell'utilità oggetto dell'accordo corruttivo, dopo l'entrata in vigore della normativa istitutiva della responsabilità da reato degli enti). Cass.n. 14564 del 18.01.2011, in CED 2011.
· In tema di responsabilità da reato degli enti collettivi derivante da reati colposi di evento commessi in violazione di una disciplina prevenzionistica, il profitto oggetto della confisca diretta di cui all'art. 19 d.lg. n. 231 del 2001 si identifica nel risparmio di spesa che si concreta nella mancata adozione di qualche oneroso accorgimento di natura cautelare o nello svolgimento di una attività in una condizione che risulta economicamente favorevole, anche se meno sicura di quanto dovuto. Cassazione penale, SS.UU., 24.04.2014, n. 38343, Rivista231.it. Cfr. altresì: Cass. Pen. 26747/2003; Cass. Pen. 3615/2005; Cass. Pen. 9829/2006; Cass. Pen. 307/29/2006; Cass. Pen. 30790/2006; Cas. Pen. 32627/2006; Cass. Pen. 316/2006; Cass. Pen. 37556/2007; Cass. Pen. 3635/2013; Cass. Pen. 10265/2013; Cass. Pen. 27523/2014; Cass. Pen. SS.UU. 9149/96; Cass. Pen. SS.UU. 46780/2003.
· Casistica:
· Nel caso di reato presupposto di formazione fittizia del capitale la misura dell'incremento fittizio del patrimonio individua non solo l'interesse dell'ente, concorrente con quello proprio della persona fisica, quale criterio di ascrizione della responsabilità amministrativa da reato, ma anche il vantaggio o meglio la misura del profitto confiscabile. Cass. pen. Sez. II, 12-03-2014, n. 16359; Rivista231.it
· In tema di responsabilità da reato delle persone giuridiche, la nozione di profitto confiscabile derivante dal delitto di manipolazione del mercato si qualifica per i connotati della immediata derivazione e della concreta effettività, ma non coincide necessariamente, quanto alla posizione dell'ente collettivo, con il solo profitto conseguito dall'autore del reato, potendo consistere anche in altri vantaggi di tipo economico che l'ente abbia consolidato e che siano dimostrati. (Nella specie, la Corte ha ritenuto che il profitto, così come individuato nel provvedimento di sequestro e consistente nel consolidamento dell'immagine della società nel mercato azionario, non fosse stato provato nè fosse riferibile a fatti dimostrativi di una utilità economica conseguita dalla società indagata). Cassazione penale, sez. V, 3.04.2014, n. 25450, Rivista231.it.
· Al sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente, ex art. 19 del d.lg. n. 231/2001, non possono essere assoggettati i beni appartenenti alla persona giuridica, ove si proceda per violazioni finanziarie commesse dal legale rappresentante della società, posto che i reati fiscali non rientrano tra le fattispecie che autorizzano l'adozione del provvedimento, salvo che l'azienda altro non rappresenti che una struttura creata ad hoc al fine di commettere illeciti. Cassazione penale, sez. IV, 8.04.2014, n. 38118, Rivista231.it.
· La natura di reato di pericolo e di mera condotta del reato di manipolazione di mercato - per la cui consumazione non è necessario che si verifichi una sensibile alterazione del prezzo degli strumenti finanziari - non è di ostacolo alla individuazione di un profitto confiscabile. Cassazione penale, sez. V, 3.04.2014, n. 25450, Rivista231.it.
· In tema di responsabilità da reato degli enti collettivi, qualora debbano imputarsi al profitto del reato presupposto dei crediti, non può procedersi alla loro confisca nella forma per equivalente, ma solo in quella diretta, atteso che altrimenti l'espropriazione priverebbe il destinatario di un bene già nella sua disponibilità in ragione di una utilità invece non ancora concretamente realizzata dal medesimo. Cassazione penale, sez. un., 27 marzo 2008, n. 26654, in Cass. pen. 2008, 12, 4544 (s.m.) -nota di: Pistorelli-, CED Cass. pen. 2008, Riv. pen. 2008, 10, 1000.
· Va esclusa la confisca per equivalente - e il collegato sequestro preventivo - per i reati tributari, a carico dei beni degli enti per il cui vantaggio si sia consumata l'azione criminosa. Ciò non può essere messo in discussione attribuendo alla confisca natura di misura di sicurezza e non sanzionatoria. Se ne ravvede un'unica possibilità di applicazione nel caso in cui la società rappresenti una struttura fittizia utilizzata per compiere reati di frode fiscale, poiché tutto ciò che è ad essa fittiziamente intestato è riconducibile alla disponibilità dell'autore del reato. Cass. pen. Sez. III Ordinanza, 30-10-2013, n. 46726. Fonte: Fisco on line, 2013.
· Nei reati tributari, anche se si esclude la confisca per equivalente per la società, il rappresentante legale espone al rischio di escussione il proprio patrimonio, quando porta in deduzione nella sua dichiarazione reddituale costi fittizi, avvalendosi di documenti contabili relativi ad operazioni inesistenti. In questo caso il reato viene commesso a diretto vantaggio del reo, attraverso la copertura dell'ente. Cass. pen. Sez. III, 24-04-2013, n. 41694. Fonte: Fisco on line, 2013
· In tema di responsabilità da reato degli enti, la Corte, nel ribadire i principi affermati dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 26654 del 2008, ha precisato che il sequestro preventivo funzionale alla confisca può avere ad oggetto i crediti vantati dalla persona giuridica, purchè questi siano certi, liquidi ed esigibili e costituiscano effettivamente il profitto del reato presupposto, evidenziando altresì che il perimetro del provvedimento cautelare è segnato dagli stessi limiti riconosciuti dalla legge per quello definitivo di ablazione. Cass. pen. n. 35748 del 17 giugno 2010 (dep. 5 ottobre 2010). in CED Cass. Pen.
· In tema di responsabilità da reato degli enti, per l'adozione del sequestro preventivo a fini di confisca dei beni della persona giuridica costituenti il profitto del reato presupposto è irrilevante che dopo la sua consumazione si sia provveduto alla sostituzione degli amministratori che lo hanno commesso. Cass. pen. n. 29397 del 19-27 giugno 2012, Rv. 253000, in Ced. Cass. Pen.
· In tema di responsabilità amministrativa degli enti, poiché il profitto del reato oggetto della confisca prevista dall'art. 19 d.P.R. 8 giugno 2001 n. 231 si identifica con il vantaggio economico di diretta e immediata derivazione causale dal reato presupposto, è da escludere la confiscabilità (e, prima di essa, l'assoggettabilità al sequestro preventivo adottabile strumentalmente ex art. 53 d.lg. n. 231 del 2001), di un mero credito, sia pure liquido ed esigibile, giacché trattasi di utilità non ancora percepita, ma solo attesa. (Nella specie, in cui il reato presupposto era costituito da quello di truffa aggravata, nella forma tentata, si trattava di un credito vantato nei confronti della p.a. fatta oggetto di una condotta truffaldina; la Corte ha quindi annullato senza rinvio il provvedimento di sequestro). Cassazione penale, sez. V, 13 gennaio 2009, n. 7718, in Guida al diritto, 2009, 17, 93 (s.m.); CED Cass. pen. 2009.
· In tema di responsabilità degli enti, l'utilità economica ricavata dalla persona giuridica a seguito della consumazione di una truffa non può essere confiscata come profitto del reato, nemmeno per equivalente, quando la stessa sia stata già restituita al soggetto danneggiato. Cass. Pen., sez. II, 16 novembre 2011, n. 45054, Rv. 251070, Ced. Cass. Pen.
· In tema di responsabilità da reato degli enti, la legittimità del sequestro preventivo di beni equivalenti al profitto del reato non è esclusa dalla astratta possibilità che le somme sequestrate, anziché essere confiscate, debbano essere restituite al danneggiato. Cass. Pen, sez. II, n. 6459 del 16 dicembre 2010, in CED 2010.
· In tema di responsabilità da reato degli enti, nel caso di illecito plurisoggettivo deve applicarsi il principio solidaristico che implica l'imputazione dell'intera azione e dell'effetto conseguente in capo a ciascun concorrente e pertanto, una volta perduta l'individualità storica del profitto illecito, la sua confisca e il sequestro preventivo ad essa finalizzato possono interessare indifferentemente ciascuno dei concorrenti anche per l'intera entità del profitto accertato, ma l'espropriazione non può essere duplicata o comunque eccedere nel "quantum" l'ammontare complessivo dello stesso. (Annulla con rinvio, Trib. lib. Napoli, 24 Luglio 2007). Cassazione penale, sez. un., 27 marzo 2008, n. 26654, in Cass. pen. 2008, 12, 4544 (s.m.) -nota di: Pistorelli-, CED Cass. pen. 2008 (rv. 239926), Riv. pen. 2008, 10, 1000. Conforme: Cass. Pen., sez. II, n. 34505 del 23.09.2010.
· Qualora sia stata raggiunta la soglia indiziaria in ordine alla consumazione, nell'interesse dell'ente, del reato di cui all'art. 640 quater c.p. - contemplato dall'art. 24 del d.lg. 231/2001 - ed emerga altresì dagli atti il "fumus" degli elementi costitutivi della fattispecie fondante la responsabilità amministrativa da reato delle persone giuridiche, sussistono tutti i presupposti per l'applicabilità del d.lg. n. 231/2001 e per il sequestro per equivalente delle somme depositate sui conti bancari di pertinenza dell'ente, considerata la natura fungibile del denaro e la sua funzione di mezzo di pagamento che non impone che il sequestro debba necessariamente colpire le medesime specie monetarie illegalmente percepite, ma consente di sottoporre a vincolo la somma corrispondente al loro valore nominale. Deve, infatti, considerarsi pacifica la possibilità del sequestro per un valore equivalente rispetto al profitto del reato, poiché l'art. 640 quater c.p. richiama l'intera disposizione dell'art. 322 ter c.p. e, dunque, anche quella parte in cui quest'ultima prevede la confiscabilità di un valore equivalente non solo al prezzo del reato, ma altresì, al profitto del medesimo. Parimenti pacifica è la possibilità di procedere alla confisca per equivalente - e, quindi, anche al sequestro preventivo - nell'ambito della responsabilità da reato degli enti. In tal senso soccorre la chiara lettera del secondo comma dell'art. 19 d.lg. n. 231/2001 che prevede tale misura a titolo di sanzione principale, nell'ipotesi in cui il profitto ricavato dall'ente non venga rinvenuto mentre, sotto altro profilo, la confisca può assumere, di volta in volta, finalità e funzione di pena o di misura di sicurezza ovvero anche di sanzione o misura amministrativa: a tal proposito, non v'è dubbio che la confisca per equivalente contemplata dagli art. 322 ter e 640 quater c.p. assuma un carattere preminentemente sanzionatorio, così come quella prevista dall'art. 19 d.lg. n. 231/2001 atteggiandosi a prelievo pubblico a compensazione di prelievi illeciti e mettendo così in evidenza la sua funzione afflittiva. Uff. Indagini preliminari Milano, 22 maggio 2007, in Foro ambrosiano 2007, 2, 196.
· In tema di responsabilità da reato degli enti collettivi, nel caso di cessione di azienda i beni dell'ente cessionario non possono essere sottoposti alla confisca per equivalente del profitto del reato commesso, prima della cessione, dagli amministratori dell'ente cedente, atteso che, ai sensi dell'art. 33, d. lgs. n. 231 del 2001, l'ente cessionario risponde in solido con quello cedente esclusivamente del pagamento della sanzione pecuniaria comminata per l'illecito a quest'ultimo addebitabile. (Annulla con rinvio, Trib. Bari, 31 Maggio 2007). Cass., Sez. VI, n. 30001 del 11 giugno 2008 (rv. 240168).
· In tema di responsabilità da reato degli enti, è ammissibile il sequestro preventivo a fini di confisca di beni in misura equivalente al profitto derivante dal reato anche quando la società cui gli stessi appartengono sia fallita, ma spetta al giudice dare conto della prevalenza delle ragioni sottese alla confisca rispetto a quelle che implicano la tutela dei legittimi interessi dei creditori nella procedura fallimentare. (Rigetta, Trib. lib. Roma, 13 Marzo 2008). Sez. V, Sent. n. 33425 del 08-07-2008 (ud. del 08-07-2008), Pubblico Ministero presso il Tribunale di Roma c. F.D. (rv. 240559)
· Non è applicabile la confisca "per equivalente" prevista per le persone fisiche dall'art. 322 ter c.p. e, per le persone giuridiche, dall'art. 19 d.lg. 8 giugno 2001 n. 231, in relazione a somme che siano state percepite anteriormente all'entrata in vigore di dette norme; il che esclude anche l'operatività, in tale ipotesi, del sequestro preventivo previsto, rispettivamente, dall'art. 321 c.p.p. e dall'art. 53 del citato d.lg. n. 231 del 2001 (principio affermato, nella specie, in relazione al reato di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, pur essendosi tenuto conto, trattandosi di erogazioni effettuate in più rate, della sua natura di reato a consumazione c.d. "prolungata", iniziatasi con la percezione della prima rata, anteriormente all'entrata in vigore delle norme summenzionate, e conclusasi successivamente). Cassazione penale, sez. II, 21 dicembre 2006, n. 316, in Cass. pen. 2007, 10, 3721, CED Cass. pen. 2007, Riv. pen. 2008, 3, 293 (conforme Cass. pen. 31.01.07, n. 3629, rv. 235814).
· In tema di responsabilità da reato degli enti, qualora l'illecito penale presupposto sia quello di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato, è obbligatorio procedere alla confisca per equivalente del profitto del reato (ed è quindi legittimo il sequestro preventivo funzionale alla medesima), non trovando applicazione il disposto di cui al primo comma dell'art. 322 ter cod. pen., per cui, in relazione ai delitti contro la P.A., può procedersi alla confisca di valore solo in riferimento al prezzo del reato (annulla con rinvio, Trib. lib. Pordenone, 17 Ottobre 2008). Cass. Pen., sez. VI, n. 14973 del 18 marzo 2009, Rv. 243507. In CED Cass. pen. 2009. Conf. Cass. Pen., sez. II, n. 28683 del 9 luglio 2010, in CED.
· In tema di reati (nella specie, transnazionali) commessi nell'interesse della persona giuridica, il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente sui beni della persona fisica non richiede, per la sua legittimità, la preventiva escussione del patrimonio dell'ente. Cass. Pen., sez. III, n. 7138 del 27 gennaio 2011. In CED 2011. Conf.: Cass. Pen. 10838/2007, Rv. 235827.
· È legittima l'applicazione della confisca per equivalente a beni facenti parte del patrimonio sociale qualora si proceda per il reato di occultamento e distrazione di documenti contabili nei confronti del suo legale rappresentante. In tal senso, invero, mentre da un lato deve rilevarsi la non necessarietà della responsabilità dell'ente ex D.Lgs. n. 231 del 2001, dall'altro la società non può considerarsi terza estranea al reato, in quanto partecipante alla utilizzazione degli incrementi economici che ne sono derivati. Cass. Pen, sez. III, n. 28731 del 7 giugno 2011
· In tema di responsabilità da reato degli enti, nel caso in cui i beni della persona giuridica di cui è stato disposto il sequestro preventivo a fini di confisca per un valore corrispondente al profitto del reato risultino gravati da ipoteca, deve ritenersi legittima l'estensione della misura cautelare reale ai beni appartenenti alle persone fisiche autrici dello stesso reato fino alla concorrenza della somma per cui è stata iscritta l'ipoteca. (In motivazione la Corte ha precisato che l'eventuale successiva definitiva ablazione dei beni sui quali è stata costituita la causa di prelazione non pregiudica il diritto del creditore ipotecario, al quale, una volta soddisfatto, nella veste di soggetto attivo del rapporto obbligatorio subentra lo Stato, in forza delle regole sulla surrogazione legale). Cass. Pen., sez. II, n. 231 del 26 ottobre 2010, in CED.
· Il sequestro preventivo, funzionale alla confisca per equivalente, previsto dall'art. 19, comma secondo, del D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231, non può essere disposto sui beni immobili appartenenti alla persona giuridica ove si proceda per le violazioni finanziarie commesse dal legale rappresentante della società, atteso che gli artt. 24 e ss. del citato D.Lgs. non prevedono i reati fiscali tra le fattispecie in grado di giustificare l'adozione del provvedimento, con esclusione dell'ipotesi in cui la struttura aziendale costituisca un apparato fittizio utilizzato dal reo per commettere gli illeciti. Cass. pen. 25774 del 14.06-4.07.2012, Rv. 253062. in Ced Cass. Pen.
· Sequestro preventivo funzionale alla confisca (rapporti tra art. 19 e 53) -Cfr. Juris sub art. 53:
· La possibilità o meno di confiscare direttamente il prezzo o il profitto del reato (nella specie, ex art. 19 d.lg. 8 giugno 2001 n. 231) presuppone che gli stessi siano stati prima sequestrati preventivamente. Cassazione penale, sez. II, 21 dicembre 2006, n. 316, in Guida al diritto 2007, 7, 79 (s.m.).
· Il sequestro preventivo di beni di cui è consentita la confisca ai sensi dell'art. 19 D.Lgs. n. 231 del 2001, non deve essere preceduto dall' informazione di garanzia e dalla informazione sul diritto di difesa prevista dall'art. 369 bis cod. proc. pen., in quanto atto "a sorpresa", diretto alla ricerca della prova, per il quale non è previsto il previo avviso al difensore. -Rigetta, Trib. lib. Matera, 22 Ottobre 2008-. Cass. pen., sez. II, n. 13678 del 17 marzo 2009, Rv.244253, in CED Cass. pen. 2009.
· In tema di responsabilità da reato degli enti, qualora debbano imputarsi al profitto del reato presupposto dei crediti, ancorché liquidi ed esigibili, gli stessi non possono costituire oggetto di un provvedimento di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, trattandosi di utilità non ancora percepite dall'ente, ma soltanto attese. Cass. Pen., sez. V, n. 3238 del 14.12-26.01.2012, Rv. 251721. in Ced Cass Pen.
· Deve intendersi per profitto del reato di cui agli art. 19 e 53 d.lg. n. 231/01 il vantaggio economico di diretta e immediata derivazione causale dal reato, che va determinato tenendo conto dell'utilità eventualmente conseguita in concreto dal danneggiato (in applicazione del suindicato principio, la Corte, in presenza di un contratto stipulato con la p.a. ad esecuzione pluriennale avente causa illegittima per essere stato il processo di formazione della volontà contrattuale della p.a. distorto e inquinato da una vicenda di corruzione propria antecedente, ha escluso che il profitto del reato confiscabile potesse essere pari all'importo dell'intero appalto concesso all'azienda dalla p.a. Infatti, il profitto che l'ente societario o collettivo consegue dall'appalto criminosamente ottenuto da suoi esponenti apicali non può globalmente omologarsi all'intero valore del rapporto sinallagmatico (a prestazioni corrispettive) in tal modo instaurato con l'amministrazione. Quando c'è stata un'effettiva erogazione di servizi in favore dell'amministrazione le corrispondenti prestazioni non possono automaticamente essere considerate inquinate dall'illiceità originaria in base a un meccanismo traslativo. Né si può includere nel profitto del reato qualsiasi ricavo ottenuto in base al contratto. Il profitto confiscabile, dunque, va quantificato soltanto in ciò che risulta direttamente derivato dall'illecito penale da cui è scaturito il conseguimento dell'appalto). Cassazione penale, sez. VI, 26 giugno 2008, n. 42300, in Diritto & Giustizia 2009. (Conf. Cass.n. 20506/09 -Rv. 243198-).
· Il sequestro per equivalente (nella specie, finalizzato alla confisca ex art. 19 d.lg. 8 giugno 2001 n. 231) implica una comparazione di massima fra il valore dei beni confiscabili e di quelli da sottoporre al sequestro, giacché una stima accurata del valore di questi ultimi non può evidentemente precedere il sequestro degli stessi, dal momento che, altrimenti, si renderebbe possibile la sottrazione dei beni alla successiva esecuzione del provvedimento cautelare. Cass. Pen., sez. II, n. 316 del 21 dicembre 2006, in Guida al diritto 2007, 7, 82 (s.m.).
· Nell'ambito della criminalità d'impresa, qualora ricorrano i presupposti della responsabilità della persona fisica e della responsabilità amministrativa dell'ente si verte in ipotesi di responsabilità cumulativa dell'individuo e dell'ente collettivo, sussistendo un nesso tra le due forme di responsabilità che, pur non identificandosi con la figura tecnica del concorso, a essa è equiparabile, in quanto da un'unica azione criminosa scaturiscono una pluralità di responsabilità. Da ciò consegue che il sequestro preventivo funzionale alla confisca per valore ben può incidere contemporaneamente sia sulle persone fisiche indagate per il reato presupposto sia sull'ente societario che ha tratto profitto dal reato (nella specie, relativa al reato presupposto di corruzione attiva, in base, rispettivamente, al combinato disposto degli art. 321, comma 2, c.p.p. e 322 ter c.p. e degli art. 19 e 53 d.lg. 8 giugno 2001 n. 231): infatti, deve trovare applicazione il principio solidaristico che informa lo schema concorsuale in forza del quale il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente può interessare indifferentemente ciascuno dei soggetti indagati anche per l'intera entità del profitto accertato, con l'unico limite che il vincolo cautelare d'indisponibilità non deve essere esorbitante, nel senso che non deve eccedere, nel complesso, il valore del profitto, e non deve determinare ingiustificate duplicazioni, posto che dalla unicità del reato non può che derivare l'unicità del profitto. (Nella specie, peraltro, la Corte ha annullato con rinvio l'ordinanza "de libertate" in tema di sequestro preventivo, giacché, a fronte di una misura cautelare adottata contestualmente nei confronti delle persone fisiche indagate per il reato presupposto e dell'ente chiamato a rispondere dell'illecito amministrativo, non risultava affatto chiarito se il vincolo cautelare così come imposto si fosse sostanziato o no in una duplicazione, totale o parziale, nel caso da ritenersi illegittima e tale da giustificare una revoca, totale o parziale, del sequestro). Cassazione penale, sez. VI, n. 19764 del 06 febbraio 2009, Rv. 243443. In Guida al diritto 2009, 26, 82 (s.m.); CED Cass. pen.
· In tema di responsabilità dipendente da reato degli enti e persone giuridiche, per il sequestro preventivo dei beni di cui è obbligatoria la confisca, eventualmente anche per equivalente, e quindi, secondo il disposto dall'art. 19 d.lg. n. 231 del 2001, dei beni che costituiscono prezzo e profitto del reato, non occorre la prova della sussistenza degli indizi di colpevolezza, né la loro gravità, né il periculum richiesto per il sequestro preventivo di cui all'art. 321 comma 1 c.p.p., essendo sufficiente accertarne la confiscabilità una volta che sia astrattamente possibile sussumere il fatto in una determinata ipotesi di reato. Cass. Pen., sez. II, n. 9829 del 16 febbraio 2006, in CED Cass. pen. 2006. Contra: Cass. Pen., sez. VI, n. 34505 del 31.05.2012.
· Nel sequestro preventivo per equivalente funzionale alla confisca disposto, ai sensi degli art. 19 e 53 d. lg. n. 231 del 2001, nei confronti dell'ente collettivo, la presenza del requisito del periculum è valutato tipicamente dall'art. 19 poiché si verte in ipotesi di confisca obbligatoria, analogamente alla disposizione contenuta nell'art. 321 comma 2 c.p.p. Cassazione penale, sez. un., 27 marzo 2008, n. 26654, in Riv. it. dir. e proc. pen. 2008, 4, 1738 (s.m.) -nota di: Mongillo-, Riv. it. dir. e proc. pen. 2008, 4, 1738 (s.m.) -nota di: Lorenzetto-.
· Nel procedimento per l'accertamento dell'illecito amministrativo ai sensi del d.lg. 8 giugno 2001 n. 231, è ammissibile sequestro preventivo, funzionale alla confisca per equivalente, dei beni riferibili a un indagato per l'intero importo relativo al profitto del reato anche in presenza di una pluralità di concorrenti, siano essi persone fisiche o enti, qualora la misura della quota di profitto attribuibile a ciascuno non sia individuata o chiaramente individuabile, purché non si realizzino duplicazioni e nel rispetto dei canoni di solidarietà interna tra i concorrenti (nella specie, la Corte ha confermato il provvedimento cautelare nella parte in cui aveva disposto il sequestro per l'intero del profitto dell'illecito amministrativo nei confronti di tutti gli indagati, appartenenti a un'associazione temporanea di imprese). Cass. penale, sez. un., n. 26654/08.
· Nel procedimento per l'accertamento dell'illecito amministrativo ai sensi del d.lg. 8 giugno 2001 n. 231, il sequestro preventivo funzionale alla confisca disposto nei confronti dell'ente collettivo è costituito dal vantaggio economico di diretta e immediata derivazione causale dal reato ed è concretamente determinato al netto dell'effettiva utilità eventualmente conseguita dal danneggiato nell'ambito del rapporto sinallagmatico con l'ente. Cassazione penale sez. un., 27 marzo 2008, n. 26654, in Foro it. 2009, 1, 36.
· Nel procedimento per l'accertamento dell'illecito amministrativo ai sensi del d.lg. 8 giugno 2001 n. 231, è ammissibile sequestro preventivo, funzionale alla confisca per equivalente, dei beni riferibili a un indagato per l'intero importo relativo al profitto del reato anche in presenza di una pluralità di concorrenti, siano essi persone fisiche o enti, qualora la misura della quota di profitto attribuibile a ciascuno non sia individuata o chiaramente individuabile, purché non si realizzino duplicazioni e nel rispetto dei canoni di solidarietà interna tra i concorrenti (nella specie, la Corte ha confermato il provvedimento cautelare nella parte in cui aveva disposto il sequestro per l'intero del profitto dell'illecito amministrativo nei confronti di tutti gli indagati, appartenenti a un'associazione temporanea di imprese). Cassazione penale sez. un., 27 marzo 2008, n. 26654, in Foro it. 2009, 1, 36.
· Il sequestro preventivo di beni di cui è consentita la confisca ai sensi dell'art. 19 d.lg. n. 231 del 2001, che disciplina la responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, non deve essere preceduto, a pena di nullità, dalla informazione sul diritto di difesa prevista dall'art. 369 bis c.p.p., in quanto si tratta di un atto "a sorpresa", diretto alla ricerca della prova, per il quale non è previsto il previo avviso al difensore. (Fattispecie in cui il sequestro preventivo di beni di una società è stato adottato a seguito delle indagini in ordine alla responsabilità amministrativa ad essa riconducibile in ordine al reato di truffa aggravata). Cass. Pen., sez. II, n. 23189 del 25 maggio 2005, in CED 2005.
· In tema di responsabilità degli enti per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato, il profitto del reato nel sequestro preventivo funzionale alla confisca , disposto ai sensi degli art. 19 e 53 d.lg. 231/2001 nei confronti dell'ente collettivo è costituito dal vantaggio economico di diretta e immediata derivazione causale dal reato ed è concretamente determinato al netto dell'effettiva utilità conseguita in via definitiva dal danneggiato, nell'ambito del rapporto sinallagmatico con l'ente. Tribunale Palermo, sez. riesame, 14 ottobre 2008.
· Cumulabilità delle misure cautelari (rapporto tra art 19 e 46):
· In tema di responsabilità amministrativa degli enti, il disposto di cui all'art. 46, comma 4, d.lg. 8 giugno 2001 n. 231, secondo cui non sono cumulabili più misure cautelari, si applica solo alle misure cautelari interdittive, e non anche alla misura cautelare reale del sequestro preventivo, con la conseguenza che è ammissibile la contestuale applicazione di una misura cautelare interdittiva e del sequestro preventivo. Cassazione penale, sez. un., 27 marzo 2008, n. 26654, in Guida al diritto 2008, 31, 102 (s.m.).
· In tema di responsabilità da reato degli enti collettivi, è sempre possibile l'applicazione contestuale di misure cautelari interdittive e reali, atteso che il divieto di cumulabilità delle misure cautelari contenuto nell'art. 46, comma 4, d.lg. n. 231 del 2001, riguarda esclusivamente le prime e non anche le seconde, disciplinate in maniera esaustiva ed autonoma dagli artt. 53 e 54 stesso decreto. Cassazione penale, sez. un., 27 marzo 2008, n. 26654, in Cass. pen. 2008, 12, 4544 (s.m.) -nota di: PISTORELLI-, CED Cass. pen. 2008, Riv. pen. 2008, 10 1000.
· Mezzi di impugnazione:
· In materia di responsabilità degli enti per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato, avverso il provvedimento di sequestro preventivo sono consentiti sia il riesame che l'appello (giusta l'espresso richiamo all'art. 322, che a sua volta rinvia agli art. 324 e 322 bis c.p.p., contenuto nell'art. 53 d.lg. 8 giugno 2001 n. 231), ma anche il ricorso per cassazione contro le ordinanze emesse in sede di riesame e di appello e il ricorso per cassazione "per saltum" avverso il provvedimento impositivo della misura, senza che a ciò osti il mancato espresso richiamo dell'art. 325 c.p.p., in quanto la previsione del riesame del provvedimento di sequestro preventivo e dell'appello avverso gli altri e diversi provvedimenti in materia comporta il rinvio al complessivo regime delle impugnazioni previsto al riguardo dal codice di rito. Cassazione penale, sez. un., 27 marzo 2008, n. 26654, in Guida al diritto 2008, 31, 102 (s.m.), Riv. it. dir. e proc. pen. 2008, 4, 1738 (s.m.) -nota di: Mongillo-, Riv. it. dir. e proc. pen. 2008, 4, 1738 (s.m.) -nota di: Lorenzetto-.
· Responsabilità concorsuale e confisca:
· È legittimo il mantenimento del sequestro preventivo finalizzato alla confisca di beni di una società nei cui confronti pende un procedimento per responsabilità amministrativa nascente da reato anche quando sopravviene a carico dell'ente una procedura concorsuale, poiché tale vicenda giuridica non sottrae al giudice penale il potere di valutare, all'esito del procedimento se disporre la confisca, e, in caso positivo, con quale estensione e limiti. (Fattispecie in tema di sequestro finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti di società ammessa, dopo l'applicazione della misura, alla procedura di concordato preventivo). Cassazione penale, sez. II, 12.03.2014, n. 25201, Rivista231.it.
· In tema di responsabilità amministrativa degli enti, in caso di responsabilità concorsuale, riguardante una pluralità di enti coinvolti nella medesima vicenda, la confisca del profitto del reato, applicandosi il principio solidaristico che informa la disciplina del concorso nel reato e che implica l'imputazione dell'intera azione delittuosa e dell'effetto conseguente in capo a ciascun concorrente, può riguardare indifferentemente ciascuno dei concorrenti anche per l'intera entità del profitto accertato (entro logicamente i limiti quantitativi dello stesso), senza che rilevi il riparto interno del relativo onere tra i concorrenti, che costituisce fatto interno a questi ultimi. Per l'effetto, il sequestro preventivo finalizzato alla successiva confisca deve essere disposto per l'intero importo del profitto nei confronti di ciascuno, logicamente senza alcuna duplicazione e nel rispetto dei canoni della solidarietà interna tra i concorrenti. Cassazione penale, sez. un., 27 marzo 2008, n. 26654, in Guida al diritto 2008, 31, 103 (s.m.).
· In tema di responsabilità da reato degli enti, nel caso di illecito plurisoggettivo deve applicarsi il principio solidaristico che implica l'imputazione dell'intera azione e dell'effetto conseguente in capo a ciascun concorrente e pertanto, una volta perduta l'individualità storica del profitto illecito, la sua confisca e il sequestro preventivo ad essa finalizzato possono interessare indifferentemente ciascuno dei concorrenti anche per l'intera entità del profitto accertato, ma l'espropriazione non può essere duplicata o comunque eccedere nel "quantum" l'ammontare complessivo dello stesso. Cassazione penale, sez. un., 27 marzo 2008, n. 26654, in Cass. pen. 2008, 12, 4544 (s.m.) -nota di: PISTORELLI-, Riv. it. dir. e proc. pen. 2008, 4, 1738 (s.m.) -nota di: MONGILLO-, Riv. it. dir. e proc. pen. 2008, 4, 1738 (s.m.) -nota di: Lorenzetto-, CED Cass. pen. 2008, Riv. pen. 2008, 10, 1000.
· Il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente del profitto del reato di corruzione può incidere contemporaneamente o indifferentemente sui beni dell'ente che dal medesimo reato ha tratto vantaggio e su quelli della persona fisica che lo ha commesso, con l'unico limite per cui il vincolo cautelare non può eccedere il valore complessivo del suddetto profitto. Cass. Pen, sez. I, n.42894 del 27 ottobre 2009, Guida al Diritto 2010, 93.
· In tema di responsabilità da reato degli enti collettivi, nel caso di cessione di azienda i beni dell'ente cessionario non possono essere sottoposti alla confisca per equivalente del profitto del reato commesso, prima della cessione, dagli amministratori dell'ente cedente, atteso che, ai sensi dell'art. 33, d. lgs. n. 231 del 2001, l'ente cessionario risponde in solido con quello cedente esclusivamente del pagamento della sanzione pecuniaria comminata per l'illecito a quest'ultimo addebitabile. (Annulla con rinvio, Trib. Bari, 31 Maggio 2007). In Cass. Pen., sez. VI, n. 30001/08; CED 2008.
· In tema di responsabilità da reato degli enti, è ammissibile il sequestro preventivo a fini di confisca di beni in misura equivalente al profitto derivante dal reato anche quando la società cui gli stessi appartengono sia fallita, ma spetta al giudice dare conto della prevalenza delle ragioni sottese alla confisca rispetto a quelle che implicano la tutela dei legittimi interessi dei creditori nella procedura fallimentare. Cassazione penale, sez. V, 08 luglio 2008, n. 33425, Cass. pen., 2009, 7-8, 3034 (s.m.) (nota di: Compagna), in CED Cass. pen. 2008, Foro it. 2009, 3, 157.
· Nel procedimento per l'accertamento dell'illecito amministrativo ai sensi del d.lg. 8 giugno 2001 n. 231, l'ente cessionario dell'azienda è solidalmente obbligato al pagamento della sola sanzione pecuniaria inflitta all'ente cedente, con esclusione dell'applicabilità di qualsiasi altra sanzione (nella specie, la Corte ha annullato l'ordinanza impugnata, che aveva confermato l'applicazione del sequestro preventivo di un immobile nei confronti del cessionario dell'azienda, senza chiarire se tale misura era stata imposta all'ente a titolo di solidarietà con il cedente o in quanto corresponsabile dell'illecito). Cassazione penale, sez. VI, 11 giugno 2008, n. 30001, in Foro it. 2009, 1, 36.
· Confisca e applicazione della sanzione su richiesta (rapporti tra art. 19 ed art 63):
· In tema di responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, nei casi in cui l'illecito amministrativo non va punito con la sola sanzione pecuniaria e, tuttavia, l'accesso al rito dell'applicazione della sanzione su richiesta ex art. 63 d.lg. 8 giugno 2001 n. 231 è consentito in forza del "patteggiamento" o della "patteggiabilità" della pena per il reato presupposto, vanno rimesse alle Sezioni Unite le questioni se la confisca ex art. 19 dello stesso d.lg. debba essere "sempre disposta" e - nel caso in cui si ritenga che il rito non escluda l'applicazione della confisca - se la confisca debba essere applicata d'ufficio ovvero se debba essere compresa nell'accordo tra le parti, con la conseguenza che, in difetto, la richiesta debba essere rigettata. (La Corte ha evidenziato, in particolare, come la soluzione delle questioni presupponga la previa ricostruzione delle caratteristiche peculiari del procedimento dell'applicazione della sanzione su richiesta e della sentenza che lo definisce nonché della natura e della finalità della confisca ex art. 19 d.lg. n. 231 del 2001). Cass. Pen., sez. II, n. 22903 del 07 maggio 2008, in Guida al diritto 2008, 31, 102 (s.m.).
· Con la sentenza di patteggiamento emessa nel procedimento a carico degli enti il giudice deve sempre applicare anche la sanzione della confisca, eventualmente nella forma per equivalente, del profitto del reato presupposto, rimanendo irrilevante che la stessa non sia stata oggetto dell'accordo intervenuto tra le parti. Cass. Pen., sez. II, n. 20046 del 4 febbraio 2011, in CED 2011.
· Con la sentenza di patteggiamento va disposta la confisca delle somme costituenti plusvalenze ai sensi dell'art. 187 t.u.f., trattandosi di profitto del reato, previa deduzione, per le persone fisiche, della tassazione pari al 12,5%. Va parimenti disposta la confisca delle plusvalenze illecite conseguite dagli enti imputati dei corrispondenti illeciti amministrativi ex art. 187 t.u.f. in relazione agli art. 17 e 19 d.lg. n. 231 del 2001, in quanto la stessa assume connotazione di vera e propria sanzione e non di mera misura di sicurezza. Uff. Indagini preliminari Milano, 23 maggio 2008, in Foro ambrosiano 2008, 2, 189.
· Confisca e opposizione del terzo:
· Il provvedimento di confisca della cosa sequestrata, contenuto nella sentenza di condanna (cui è assimilata, in parte "qua", quella di applicazione della pena) o di proscioglimento, fa stato nei confronti dei soggetti che hanno partecipato al procedimento di cognizione, con la conseguenza che solamente i terzi che non abbiano rivestito la qualità di parte nel processo in cui sia stata disposta la confisca sono legittimati a far valere davanti al giudice dell'esecuzione i diritti vantati su un bene confiscato con sentenza irrevocabile. (Nella specie, la Corte ha ritenuto che una società, nei cui confronti era stata disposta in sede di patteggiamento, nell'ambito di un procedimento ex D.Lgs. n. 231 del 2001, la confisca di una somma di denaro, non potesse poi contestare, con incidente di esecuzione, l'entità della somma confiscata). Cass. Pen., sez. I, 11 novembre 2011, n. 3311, Rv. 251845, Ced. Cass. Pen.
· Estinzione del reato per prescrizione:
· L'estinzione del reato preclude la confisca per equivalente delle cose che ne costituiscono il prezzo o il profitto, non potendo la stessa prescindere, per il suo carattere spiccatamente afflittivo e sanzionatorio, dall'accertamento pieno della responsabilità dell'imputato. (Fattispecie relativa alla confisca per equivalente del profitto derivante da una pluralità di truffe aggravate). (Annulla in parte senza rinvio, App. Palermo, 02/12/2013). Cass. pen. Sez. II, 22-01-2015, n. 13017 (rv. 262926). Fonte: CED Cassazione Penale 2005.
Art. 20
Reiterazione
* * *
1. Si ha reiterazione quando l'ente, già condannato in via definitiva almeno una volta per un illecito dipendente da reato, ne commette un altro nei cinque anni successivi alla condanna definitiva.
- Relazione Ministeriale al Decreto:
8:... Un valore strategico nell'ambito del sistema sanzionatorio nei confronti degli enti collettivi è assegnato all'istituto della reiterazione, disciplinato nell'articolo 20. Come si è già avuto modo di notare, esso giuoca un ruolo determinate per l'irrogazione delle sanzioni interdittive, temporanee e definitive.
La natura amministrativa delle sanzioni e la loro riferibilità all'ente in dipendenza di un fatto reato ha reso necessario calibrare l'istituto secondo cadenze che tenessero conto del sostrato empirico-crimonologico in cui impinge.
La reiterazione è così destinata a "scattare" quando la precedente condanna abbia avuto ad oggetto anche un solo delitto doloso. Questa soluzione è imposta dal rilievo che i delitti previsti nel decreto, nella maggior parte dei casi riferibili a soggetti in posizione apicale, rivelano una sostanziale estraneità rispetto al rischio di impresa, dirigendosi verso il conseguimento di illeciti profitti che alterano le regole della concorrenza e che alimentano i circuiti della criminalità del profitto.
Art. 21
Pluralità di illeciti
* * *
1. Quando l'ente è responsabile in relazione ad una pluralità di reati commessi con una unica azione od omissione ovvero commessi nello svolgimento di una medesima attività e prima che per uno di essi sia stata pronunciata sentenza anche non definitiva, si applica la sanzione pecuniaria prevista per l'illecito più grave aumentata fino al triplo. Per effetto di detto aumento, l'ammontare della sanzione pecuniaria non può comunque essere superiore alla somma delle sanzioni applicabili per ciascun illecito.
2. Nei casi previsti dal comma 1, quando in relazione a uno o più degli illeciti ricorrono le condizioni per l'applicazione delle sanzioni interdittive, si applica quella prevista per l'illecito più grave.
- Relazione Ministeriale al Decreto:
9:... Nel sistema dell'illecito amministrativo, opera come regola generale quella del concorso materiale delle violazioni, a cui si deroga, a mente dell'articolo 8 della legge n. 689 del 1981, nei casi di concorso formale omogeneo o eterogeneo.
Su questo versante, il Governo non ritiene di doversi discostare dai principi generali dell'illecito amministrativo, salvo che per la necessità di dover adattare anche in questo caso l'istituto del concorso formale alla peculiarità del contesto, in cui i destinatari delle sanzioni sono gli enti collettivi.
Il comma 1 della disposizione stabilisce che l'ente soggiace alla sanzione pecuniaria prevista per l'illecito più grave aumentata fino al triplo in relazione ad una pluralità di reati commessi con una azione od omissione, ovvero nello svolgimento della medesima attività. Il riferimento agli illeciti dipendenti da reati commessi nello svolgimento della medesima attività evoca il rapporto pertinenziale che deve intercorrere tra i reati e il settore o il ramo di attività dai quali essi dipendono. Il regime del cumulo giuridico non potrà pertanto trovare attuazione quando la pluralità di violazioni sia riconducibile ad attività diverse e, in ultima analisi, a diverse lacune organizzative.
... Si è ritenuto, infine, non necessario dettare norme rivolte a disciplinare il concorso materiale delle sanzioni, nella convinzione che il sistema sia agevolmente ricostruibile sulla base dei principi generali. Così: le sanzioni pecuniarie si cumuleranno per una somma pari al loro importo complessivo; identiche sanzioni interdittive, aventi ad oggetto le medesime attività, si applicheranno per un tempo pari alla loro durata complessiva; qualora, invece, si sia in presenza di sanzioni interdittive di diversa specie ma aventi lo stesso oggetto, esse si applicheranno tutte distintamente e per intero; troveranno invece applicazione congiunta le sanzioni interdittive di diversa specie che colpiscono differenti attività.
Art. 22
Prescrizione
* * *
1. Le sanzioni amministrative si prescrivono nel termine di cinque anni dalla data di consumazione del reato.
2. Interrompono la prescrizione la richiesta di applicazione di misure cautelari interdittive e la contestazione dell'illecito amministrativo a norma dell'articolo 59.
3. Per effetto della interruzione inizia un nuovo periodo di prescrizione.
4. Se l'interruzione è avvenuta mediante la contestazione dell'illecito amministrativo dipendente da reato, la prescrizione non corre fino al momento in cui passa in giudicato la sentenza che definisce il giudizio.
- Relazione Ministeriale al Decreto:
10: L'articolo 22, in attuazione del criterio di delega di cui alla lettera r) dell'articolo 11, regola la prescrizione degli illeciti amministrativi dipendenti da reato. L'enunciato della delega replica in buona sostanza la disciplina contenuta nell'articolo 28 della legge n. 689 del 1981, salvo che per l'incipit, in cui è scomparso il riferimento al diritto alla riscossione delle somme dovute per la violazione, sostituito con il richiamo alle sanzioni amministrative a carico dell'ente...
Il comma 1 della norma sancisce che le sanzioni amministrative si prescrivono nel termine di cinque anni dalla data di consumazione del reato.
Il richiamo della disciplina civilistica è contenuto nei commi 3 e 4 e non presenta problemi di sorta.
Nel comma 2, invece, si è provveduto ad indicare quali atti interrompono il corso della prescrizione, non potendosi sul punto fare rinvio al codice civile. Tali atti sono stati individuati nella richiesta di applicazione di misure cautelari interdittive e nella contestazione dell'illecito amministrativo a norma dell'articolo 59. La tipologia degli atti interruttivi, sensibilmente più ridotta rispetto a quella valevole per il reato, è parsa sufficiente in considerazione del regime giuridico degli effetti dell'interruzione che, in seguito alla contestazione dell'illecito, fa sì che la prescrizione non corra fino al passaggio in giudicato della sentenza.
- Giurisprudenza:
· In tema di responsabilità da reato degli enti, la richiesta di rinvio a giudizio della persona giuridica interrompe il corso della prescrizione, in quanto atto di contestazione dell'illecito, solo se, oltre che emessa, sia stata anche notificata entro cinque anni dalla consumazione del reato presupposto, dovendo trovare applicazione, ai sensi dell'art. 11, primo comma, lett. r), L. 29 settembre 2000, n. 300, le norme del cod. civ. che regolano l'operatività dell'interruzione della prescrizione. (Rigetta in parte, G.u.p. Trib. Bari, 05/07/2013). Cass. pen. Sez. VI, 12-02-2015, n. 18257 (rv. 263171). Fonte: CED Cassazione Penale 2015. Contra: In tema di responsabilità da reato degli enti, la richiesta di rinvio a giudizio della persona giuridica intervenuta entro cinque anni dalla consumazione del reato presupposto, in quanto atto di contestazione dell'illecito, interrompe il corso della prescrizione e lo sospende fino alla pronunzia della sentenza che definisce il giudizio. (Dichiara inammissibile, App. Lecce, 03/02/2011). Cass. Pen., sez. II, del 15.12.2011, n. 10822. Fonte: CED Cassazione Penale 2012.
· La disciplina contenuta nel D.Lgs 231 del 2001 e, in specie, negli artt. 22 e 59, ispirandosi a principi di natura civilistica, richiede, ai fini interruttivi della prescrizione, non già la semplice emissione del decreto di citazione diretta a giudizio, ma la sua regolare notificazione all'ente.Trib. Brescia Sez. II, 20.02.2015
· L'estinzione del reato preclude la confisca per equivalente delle cose che ne costituiscono il prezzo o il profitto, non potendo la stessa prescindere, per il suo carattere spiccatamente afflittivo e sanzionatorio, dall'accertamento pieno della responsabilità dell'imputato. (Fattispecie relativa alla confisca per equivalente del profitto derivante da una pluralità di truffe aggravate). (Annulla in parte senza rinvio, App. Palermo, 02/12/2013). Cass. pen. Sez. II, 22.01.2015, n. 13017 (rv. 262926). Fonte: CED Cassazione Penale 2015.
Art. 23
Inosservanza delle sanzioni interdittive
* * *
1. Chiunque, nello svolgimento dell'attività dell'ente a cui è stata applicata una sanzione o una misura cautelare interdittiva trasgredisce agli obblighi o ai divieti inerenti a tali sanzioni o misure, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.
2. Nel caso di cui al comma 1, nei confronti dell'ente nell'interesse o a vantaggio del quale il reato è stato commesso, si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da duecento e seicento quote e la confisca del profitto, a norma dell'articolo 19.
3. Se dal reato di cui al comma 1, l'ente ha tratto un profitto rilevante, si applicano le sanzioni interdittive, anche diverse da quelle in precedenza irrogate.
- Relazione Ministeriale al Decreto:
11: Con l'articolo 23, ottemperando al disposto di cui alla lettera p) dell'articolo 11 della delega, si introduce una nuova fattispecie penale destinata a sanzionare le violazioni agli obblighi o ai divieti inerenti alle sanzioni interdittive, anche se applicate in via cautelare durante il processo. Di rimbalzo, viene altresì prevista la responsabilità amministrativa dell'ente, nel cui interesse o vantaggio sia stato commesso il reato: in questo caso, la sanzione pecuniaria irrogabile è da duecento a seicento quote; inoltre, se dal reato l'ente ha tratto un profitto rilevante si applicano nei confronti dell'ente sanzioni interdittive, anche diverse da quelle in precedenza irrogate.
...Queste disposizioni sanzionatorie, penali e amministrative, mirano evidentemente ad assicurare l'effettività delle sanzioni interdittive.
Responsabilita' amministrativa da reato
Rubrica modificata dall'art 3, d.lg. 11 aprile 2002, n. 61.
- Relazione Ministeriale al Decreto
12.1. I criteri di formazione degli editti sanzionatori: ... criteri concretamente seguiti per assicurare l'uniformità e la coerenza interna del sistema delle cornici edittali, sono state selezionate tre fasce alle quali corrispondono altrettanti livelli di gravità degli illeciti penali, alla cui stregua sono stati poi disegnati gli editti delle sanzioni pecuniarie. Livelli di gravità che ovviamente sono stati concepiti come criteri regolatori "tendenziali" e non già come rigide e non altrimenti adattabili paratie.
La prima fascia comprende i delitti puniti con la reclusione fino a tre anni e, perciò, riconducibili nell'orbita dei reati di bassa gravità: in relazione ad essi, per l'illecito amministrativo che vi accede è stata stabilita la sanzione pecuniaria fino a duecento quote, ritenuta idonea a "fotografare" il non elevato livello di gravità dell'illecito.
La seconda fascia concerne i delitti in cui la reclusione oscilla tra tre e dieci anni: si ha a che fare, in questo ambito, con una fascia di criminalità di media gravità. Per gli illeciti amministrativi dipendenti da tali reati, ci si è orientati verso una sanzione pecuniaria che, di regola, va da duecento a seicento quote: un editto, quindi, che si colloca in posizione mediana.
All'interno di questa fascia, peraltro, è stata prevista la sanzione pecuniaria fino a cinquecento quote per quei delitti puniti con una pena superiore nel massimo a tre anni di reclusione ma che non oltrepassa tendenzialmente i cinque anni e che sono sprovvisti di un significativo minimo edittale (si pensi, ad esempio, ai reati puniti con la reclusione da uno a cinque anni). L'attenuazione è parsa opportuna proprio in considerazione dell'esistenza di minimi edittali non particolarmente gravi, che permettono, così, di prevedere sanzioni pecuniarie più lievi.
La terza fascia comprende i reati puniti con la reclusione da quattro-cinque nel minimo e superiore a dieci anni nel massimo, in relazione ai quali l'ente soggiace alla sanzione pecuniaria da trecento a ottocento quote, che ben riflette la gravità degli illeciti.
Quanto, infine, alle sanzioni interdittive, la loro previsione è stata calibrata sul tipo di reato da cui dipende l'illecito amministrativo dell'ente. Così, per quanto concerne i reati di indebita percezione di erogazioni e di truffa in danno dello Stato, di cui all'articolo 24 dello schema, risulteranno applicabili, sempre che ricorrano le condizioni di cui all'articolo 13, soltanto le sanzioni interdittive dell'incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione, l'esclusione da agevolazioni, finanziamenti o l'eventuale revoca di quelli già percepiti e il divieto di pubblicizzare beni o servizi...
Art. 24
Indebita percezione di erogazioni, truffa in danno dello Stato o di un ente pubblico o per il conseguimento di erogazioni pubbliche e frode informatica in danno dello Stato o di un ente pubblico
* *
1. In relazione alla commissione dei delitti di cui agli articoli 316-bis, 316-ter, 640, comma 2, n. 1, 640-bis e 640-ter se commesso in danno dello Stato o di altro ente pubblico, del codice penale, si applica all'ente la sanzione pecuniaria fino a cinquecento quote.
2. Se, in seguito alla commissione dei delitti di cui al comma 1, l'ente ha conseguito un profitto di rilevante entità o è derivato un danno di particolare gravità; si applica la sanzione pecuniaria da duecento a seicento quote.
3. Nei casi previsti dai commi precedenti, si applicano le sanzioni interdittive previste dall'articolo 9, comma 2, lettere c), d) ed e).
- Riferimenti normativi:
Art. 316-Bis c.p. Malversazione a danno dello Stato.
[I]. Chiunque, estraneo alla pubblica amministrazione, avendo ottenuto dallo Stato o da altro ente pubblico o dalle Comunità europee contributi, sovvenzioni o finanziamenti destinati a favorire iniziative dirette alla realizzazione di opere od allo svolgimento di attività di pubblico interesse, non li destina alle predette finalità, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni.
Art. 316-Ter c.p. Indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato
[I]. Salvo che il fatto costituisca il reato previsto dall'articolo 640-bis, chiunque mediante l'utilizzo o la presentazione di dichiarazioni o di documenti falsi o attestanti cose non vere, ovvero mediante l'omissione di informazioni dovute, consegue indebitamente, per sé o per altri, contributi, finanziamenti, mutui agevolati o altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati dallo Stato, da altri enti pubblici o dalle Comunità europee è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.
[II]. Quando la somma indebitamente percepita è pari o inferiore a 3.999,96 euro si applica soltanto la sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro da 5.164 euro a 25.822 euro. Tale sanzione non può comunque superare il triplo del beneficio conseguito.
Art. 640 c.p. Truffa
[I]. Chiunque, con artifizi o raggiri, inducendo taluno in errore, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da 51 euro a 1.032 euro.
[comma II]. La pena è della reclusione da uno a cinque anni e della multa da 309 euro a 1.549 euro:
1) se il fatto è commesso a danno dello Stato o di un altro ente pubblico o col pretesto di far esonerare taluno dal servizio militare.
Art. 640-Bis c.p. Truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche
[I]. La pena è della reclusione da uno a sei anni e si procede d'ufficio se il fatto di cui all'articolo 640 riguarda contributi, finanziamenti, mutui agevolati ovvero altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati da parte dello Stato, di altri enti pubblici o delle Comunità europee.
Art. 640-Ter c.p. Frode informatica
[I]. Chiunque, alterando in qualsiasi modo il funzionamento di un sistema informatico o telematico o intervenendo senza diritto con qualsiasi modalità su dati, informazioni o programmi contenuti in un sistema informatico o telematico o ad esso pertinenti, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro 51 a euro 1.032.
[II]. La pena è della reclusione da uno a cinque anni e della multa da euro 309 a euro 1.549 se ricorre una delle circostanze previste dal numero 1) del secondo comma dell'art. 640, ovvero se il fatto è commesso con abuso della qualità di operatore del sistema.
[III]. La pena è della reclusione da due a sei anni e della multa da euro 600 a euro 3.000 se il fatto è commesso con furto o indebito utilizzo dell'identità digitale in danno di uno o più soggetti.
[IV]. Il delitto è punibile a querela della persona offesa, salvo che ricorra taluna delle circostanze di cui al secondo e terzo comma o un'altra circostanza aggravante.
- Sanzioni interdittive (D.Lgs 231/01 9, Art. 9, comma 2, lettere c), d) ed e)):
c) il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio;
d) l'esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l'eventuale revoca di quelli già concessi;
e) il divieto di pubblicizzare beni o servizi.
- Relazione Ministeriale al Decreto:
...Quanto, infine, alle sanzioni interdittive, la loro previsione è stata calibrata sul tipo di reato da cui dipende l'illecito amministrativo dell'ente. Così, per quanto concerne i reati di indebita percezione di erogazioni e di truffa in danno dello Stato, di cui all'articolo 24 dello schema, risulteranno applicabili, sempre che ricorrano le condizioni di cui all'articolo 13, soltanto le sanzioni interdittive dell'incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione, l'esclusione da agevolazioni, finanziamenti o l'eventuale revoca di quelli già percepiti e il divieto di pubblicizzare beni o servizi...
- Giurisprudenza:
· In tema di responsabilità da reato degli enti, qualora l'illecito penale presupposto sia quello di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato, è obbligatorio procedere alla confisca per equivalente del profitto del reato (ed è quindi legittimo il sequestro preventivo funzionale alla medesima), non trovando applicazione il disposto di cui al primo comma dell'art. 322 ter cod. pen., per cui, in relazione ai delitti contro la P.A., può procedersi alla confisca di valore solo in riferimento al prezzo del reato (annulla con rinvio, Trib. lib. Pordenone, 17 Ottobre 2008). Cassazione penale, sez. VI, n. 14973 del 18 marzo 2009, Rv. 243507. CED Cass. pen. 2009.
· In tema di confisca per equivalente, qualora il profitto tratto da taluno dei reati sia costituito da denaro, l'adozione del sequestro preventivo non è subordinata alla verifica che le somme provengano dal delitto e siano confluite nella effettiva disponibilità dell'indagato, in quanto il denaro oggetto di ablazione deve solo equivalere all'importo che corrisponde per valore al prezzo o al profitto del reato, non sussistendo alcun nesso pertinenziale tra il reato e il bene da confiscare. (Fattispecie, in materia di truffa, nella quale veniva disposto il sequestro per equivalente nei confronti di una società, responsabile per illecito amministrativo ex l. n. 231 del 2001). Cassazione penale, sez. II, 29.04.2014, n. 21228, Rivista231.it. Conformi: Cass. Pen. 7081/2012; Cass. Pen. 1261/2012; Cfr., altresì Cass. Pen. 21222/2013
· Il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente del profitto del reato di truffa aggravata può incidere contemporaneamente od indifferentemente sui beni dell'ente che dal medesimo reato ha tratto vantaggio e su quelli della persona fisica che lo ha commesso, con l'unico limite per cui il vincolo cautelare non può eccedere il valore complessivo del suddetto profitto. Cassazione penale, sez. II, 29.04.2014, n. 21227, Rivista231.it. Conformi: Cass. Pen. 31989/2006; Cass. Pen. 26611/2009; Cass. Pen. 21222/2013; Cfr. altresì Cass. Pen. 47066/2013.
· In caso di commissione di un reato tributario da parte di amministratori o legali rappresentati di società ed enti, è possibile procedere nei confronti della persona giuridica al sequestro preventivo finalizzato alla confisca di denaro o di altri beni fungibili o di beni direttamente riconducibili al profitto di reato tributario in due sole ipotesi, ovvero 1) se la società o l'ente ha effettivamente maturato tale profitto a seguito del reato, mentre tale provvedimento non può essere adottato; 2) se la persona giuridica è solo uno schermo fittizio. Diversamente, nessun provvedimento cautelare può essere adottato nei confronti della società, dovendosi invece agire nei confronti delle persone fisiche che hanno materialmente realizzato l'illecito ed in particolare non può procedersi all'adozione di un sequestro preventivo per equivalente. Cass. pen. Sez. Unite, 30.01.2014, n. 10561. Rivista231.it
· Va esclusa la confisca per equivalente - e il collegato sequestro preventivo - per i reati tributari, a carico dei beni degli enti per il cui vantaggio si sia consumata l'azione criminosa. Ciò non può essere messo in discussione attribuendo alla confisca natura di misura di sicurezza e non sanzionatoria. Se ne ravvede un'unica possibilità di applicazione nel caso in cui la società rappresenti una struttura fittizia utilizzata per compiere reati di frode fiscale, poiché tutto ciò che è ad essa fittiziamente intestato è riconducibile alla disponibilità dell'autore del reato. Cass. pen. Sez. III Ordinanza, 30-10-2013, n. 46726. Fonte: Fisco on line, 2013.
· Non può essere disposto il sequestro preventivo per equivalente per reati tributari nei confronti di una persona giuridica quando questa non sia uno scherma fittizio dell'autore del reato, bensì un effettivamente diverso soggetto giuridico. Cassazione penale, sez. III, 7.05.2014, n. 23973, Rivista231.it
· Nei reati tributari, anche se si esclude la confisca per equivalente per la società, il rappresentante legale espone al rischio di escussione il proprio patrimonio, quando porta in deduzione nella sua dichiarazione reddituale costi fittizi, avvalendosi di documenti contabili relativi ad operazioni inesistenti. In questo caso il reato viene commesso a diretto vantaggio del reo, attraverso la copertura dell'ente. Cass. pen. Sez. III, 24-04-2013, n. 41694. Fonte: Fisco on line, 2013
· Non è consentito il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti di una persona giuridica qualora non sia stato reperito il profitto di reato tributario compiuto dagli organi della persona giuridica stessa, salvo che la persona giuridica sia uno schermo fittizio. Cass. pen. Sez. III, 06-03-2014, n. 18311; Rivista231.it;
· In tema di reati tributari, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente del profitto può essere disposto sui beni intestati a una persona giuridica, soltanto quando sia dimostrato che l'ente costituisce lo schermo fittizio delle attività e delle disponibilità dell'amministratore resosi autore del reato. (Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto insufficiente la motivazione con la quale il Tribunale del riesame aveva confermato la misura adottata nei confronti di una s.r.l., facendo esclusivo riferimento alla funzione gestionale svolta dall'indagato nella società). (Annulla con rinvio, Trib. lib. Teramo, 23/05/2013); Cass. pen. Sez. III, 06-03-2014, n. 18311; Rivista231.it;
· In tema di responsabilità degli enti, l'utilità economica ricavata dalla persona giuridica a seguito della consumazione di una truffa non può essere confiscata come profitto del reato, nemmeno per equivalente, quando la stessa sia stata già restituita al soggetto danneggiato. Cass. Pen., sez. II, 16 novembre 2011, n. 45054, Rv. 251070, Ced. Cass. Pen.
· Integra il concetto di interesse o vantaggio dell'ente, ai sensi dell'art. 24 d.lg. 8 giugno 2001 n. 231, l'ipotesi in cui il profitto del reato di truffa sia inizialmente conseguito dalla società indagata, attraverso l'accreditamento in suo favore delle somme erogate dalla pubblica amministrazione, restando irrilevante ai fini della responsabilità amministrativa del l'ente l'eventuale successiva distrazione delle medesime somme sui conti personali dell'amministratore. Cass. pen., sez. II, n. 3615 del 20 dicembre 2005. Foro it. 2006, 6, 329.
· Nel procedimento per l 'accertamento dell'illecito amministrativo ai sensi del d.lg. 8 giugno 2001 n. 231, non può essere applicata, in via provvisoria, una misura cautelare corrispondente a una sanzione interdittiva la cui irrogazione non è prevista, in sede di condanna, in relazione al tipo di illecito contestato (nella specie, la Corte ha annullato il provvedimento con il quale il giudice di merito aveva applicato all'ente, a titolo di misura cautelare, la sanzione dell'interdizione temporanea dall'esercizio dell'attività per un illecito amministrativo derivante dal reato di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche). Cassazione penale, sez. II, 26 febbraio 2007, n. 10500, Foro it., 2007, 9, 473.
· Nel caso di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, il cui profitto sia stato conseguito da una persona giuridica e non sia più individuabile nell'ambito del patrimonio della medesima, l'adozione del provvedimento di sequestro preventivo di beni della persona fisica cui il reato sia stato addebitato, in vista della confisca per equivalente prevista dall'art. 322ter cod. pen., non richiede la previa, infruttuosa esecuzione sui beni della persona giuridica. Cass. pen., n. 10838 del 14.03.2007, Rv. 235827. CED Cass. Pen..
· La truffa ai danni dello Stato per percezione di prestazioni indebite di finanziamenti e contributi, erogati in ratei periodici, è reato a consumazione prolungata, perché il soggetto agente manifesta sin dall'inizio la volontà di realizzare un evento destinato a durare nel tempo, e quindi il momento consumativo del reato coincide con quello della cessazione dei pagamenti, che segna la fine dell'aggravamento del danno. (La Corte ha ritenuto configurabile la responsabilità della società a responsabilità limitata, ai sensi della normativa del D.Lgs. n. 231 del 2001, in assenza di elementi volti a dimostrare l'inesistenza della cosiddetta colpa dell'organizzazione, per i fatti commessi dall'amministratore unico in riferimento alle erogazioni dei ratei di finanziamento successive all'entrata in vigore della normativa sulla responsabilità degli enti, seppure riferibili ad un "mutuo allo scopo" concesso con D.M. precedente). Cass. pen., sez. II, n. 3615 del 20/12/2005, Rv. 232956. CED Cass. pen..
· La falsa attestazione del legale rappresentante di una società circa il possesso, da parte di quest'ultima, di un requisito indispensabile per la partecipazione alla gara per l'aggiudicazione di un appalto pubblico integra il delitto di falsità ideologica commessa da privato in atto pubblico, e, nel contempo, ne discende anche la responsabilità della società per illecito amministrativo ex D.Lgs 231/01. Cass. pen. Sez. V, 25 gennaio 2012, n. 14359. Prat. Lavoro, 2012, 23, 1036 nota di Proietti Semproni.
· Il profitto del reato previsto dall'art. 640-bis cod. pen., ai fini dell'applicazione della confisca per equivalente, coincide con l'intero ammontare del finanziamento qualora il rapporto contrattuale non si sarebbe perfezionato ed il progetto non sarebbe stato approvato senza le caratteristiche falsamente attestate dal percettore, mentre corrisponde alla maggiore quota dei fondi non dovuti nel caso in cui siano rappresentati dal beneficiario operazioni o costi riportati in fatture o relazioni ideologicamente false. Cass. Pen., sez. III, n. 17451 del 04/04/2012 Ud. (dep. 10/05/2012 ) Rv. 252546. in Ced. Cass. Pen.
Art. 24-Bis
Delitti informatici e trattamento illecito di dati (1)
* * *
1. In relazione alla commissione dei delitti di cui agli articoli 615-ter, 617-quater, 617-quinquies, 635-bis, 635-ter, 635-quater, 635-quinquies terzo comma (2), del codice penale, si applica all'ente la sanzione pecuniaria da cento a cinquecento quote.
2. In relazione alla commissione dei delitti di cui agli articoli 615-quater e 615-quinquies del codice penale, si applica all'ente la sanzione pecuniaria sino a trecento quote.
3. In relazione alla commissione dei delitti di cui agli articoli 491-bis e 640-quinquies del codice penale, salvo quanto previsto dall'articolo 24 del presente decreto per i casi di frode informatica in danno dello Stato o di altro ente pubblico, si applica all'ente la sanzione pecuniaria sino a quattrocento quote.
4. Nei casi di condanna per uno dei delitti indicati nel comma 1 si applicano le sanzioni interdittive previste dall'articolo 9, comma 2, lettere a), b) ed e). Nei casi di condanna per uno dei delitti indicati nel comma 2 si applicano le sanzioni interdittive previste dall'articolo 9, comma 2, lettere b) ed e). Nei casi di condanna per uno dei delitti indicati nel comma 3 si applicano le sanzioni interdittive previste dall'articolo 9, comma 2, lettere c), d) ed e).
(1) Articolo aggiunto dall'articolo 7 della legge 18 marzo 2008, n. 48.
(2) Il presente comma era stato modificato dall'art 9, co. II, D.L. n. 93 del 14.08.2013, tuttavia, detta modifica, non è stata confermata dalla legge di conversione n. 119 del 15.10.2013.
- Riferimenti normativi:
Art. 491 - Bis c.p. Documenti informatici
[I]. Se alcuna delle falsità previste dal presente capo riguarda un documento informatico pubblico o privato avente efficacia probatoria, si applicano le disposizioni del capo stesso concernenti rispettivamente gli atti pubblici e le scritture private.
Art. 615 -Ter c.p. Accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico
[I]. Chiunque abusivamente si introduce in un sistema informatico o telematico protetto da misure di sicurezza ovvero vi si mantiene contro la volontà espressa o tacita di chi ha il diritto di escluderlo, è punito con la reclusione fino a tre anni.
[II]. La pena è della reclusione da uno a cinque anni:
1) se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio, con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti alla funzione o al servizio, o da chi esercita anche abusivamente la professione di investigatore privato, o con abuso della qualità di operatore del sistema;
2) se il colpevole per commettere il fatto usa violenza sulle cose o alle persone, ovvero se è palesemente armato;
3) se dal fatto deriva la distruzione o il danneggiamento del sistema o l'interruzione totale o parziale del suo funzionamento ovvero la distruzione o il danneggiamento dei dati, delle informazioni o dei programmi in esso contenuti.
[III]. Qualora i fatti di cui ai commi primo e secondo riguardino sistemi informatici o telematici di interesse militare o relativi all'ordine pubblico o alla sicurezza pubblica o alla sanità o alla protezione civile o comunque di interesse pubblico, la pena è, rispettivamente, della reclusione da uno a cinque anni e da tre a otto anni.
[IV]. Nel caso previsto dal primo comma il delitto è punibile a querela della persona offesa; negli altri casi si procede d'ufficio.
Art. 615- Quater c.p. Detenzione e diffusione abusiva di codici di accesso a sistemi informatici o telematici.
[I]. Chiunque, al fine di procurare a sé o ad altri un profitto o di arrecare ad altri un danno, abusivamente si procura, riproduce, diffonde, comunica o consegna codici, parole chiave o altri mezzi idonei all'accesso ad un sistema informatico o telematico, protetto da misure di sicurezza, o comunque fornisce indicazioni o istruzioni idonee al predetto scopo, è punito con la reclusione sino ad un anno e con la multa sino a 5.164 euro.
[II]. La pena è della reclusione da uno a due anni e della multa da 5.164 euro a 10.329 euro se ricorre taluna delle circostanze di cui ai numeri 1) e 2) del quarto comma dell'articolo 617-quater.
Art. 615- Quinquies c.p. Diffusione di apparecchiature, dispositivi o programmi informatici diretti a danneggiare o interrompere un sistema informatico o telematico
[I]. Chiunque, allo scopo di danneggiare illecitamente un sistema informatico o telematico, le informazioni, i dati o i programmi in esso contenuti o ad esso pertinenti ovvero di favorire l'interruzione, totale o parziale, o l'alterazione del suo funzionamento, si procura, produce, riproduce, importa, diffonde, comunica, consegna o, comunque, mette a disposizione di altri apparecchiature, dispositivi o programmi informatici, è punito con la reclusione fino a due anni e con la multa sino a euro 10.329.
Art. 617 -Quater c.p. Intercettazione, impedimento o interruzione illecita di comunicazioni informatiche o telematiche
[I]. Chiunque fraudolentemente intercetta comunicazioni relative ad un sistema informatico o telematico o intercorrenti tra più sistemi, ovvero le impedisce o le interrompe, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni.
[II]. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, la stessa pena si applica a chiunque rivela, mediante qualsiasi mezzo di informazione al pubblico, in tutto o in parte, il contenuto delle comunicazioni di cui al primo comma.
[III]. I delitti di cui ai commi primo e secondo sono punibili a querela della persona offesa.
[IV]. Tuttavia si procede d'ufficio e la pena è della reclusione da uno a cinque anni se il fatto è commesso:
1) in danno di un sistema informatico o telematico utilizzato dallo Stato o da altro ente pubblico o da impresa esercente servizi pubblici o di pubblica necessità;
2) da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio, con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti alla funzione o al servizio, ovvero con abuso della qualità di operatore del sistema;
3) da chi esercita anche abusivamente la professione di investigatore privato.
Art. 617 -Quinques c.p. Installazione di apparecchiature atte ad intercettare, impedire od interrompere comunicazioni informatiche o telematiche.
[I]. Chiunque, fuori dai casi consentiti dalla legge, installa apparecchiature atte ad intercettare, impedire o interrompere comunicazioni relative ad un sistema informatico o telematico ovvero intercorrenti tra più sistemi, è punito con la reclusione da uno a quattro anni.
[II]. La pena è della reclusione da uno a cinque anni nei casi previsti dal quarto comma dell'articolo 617-quater.
Art. 635- Bis c.p. Danneggiamento di informazioni, dati e programmi informatici
[I]. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque distrugge, deteriora, cancella, altera o sopprime informazioni, dati o programmi informatici altrui è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione da sei mesi a tre anni.
[II]. Se ricorre la circostanza di cui al numero 1) del secondo comma dell'articolo 635 ovvero se il fatto è commesso con abuso della qualità di operatore del sistema, la pena è della reclusione da uno a quattro anni e si procede d'ufficio.
Art. 635- Ter c.p. Danneggiamento di informazioni, dati e
programmi informatici utilizzati dallo Stato o da altro ente pubblico o comunque di pubblica utilità
[I]. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque commette un fatto diretto a distruggere, deteriorare, cancellare, alterare o sopprimere informazioni, dati o programmi informatici utilizzati dallo Stato o da altro ente pubblico o ad essi pertinenti, o comunque di pubblica utilità, è punito con la reclusione da uno a quattro anni.
[II]. Se dal fatto deriva la distruzione, il deterioramento, la cancellazione, l'alterazione o la soppressione delle informazioni, dei dati o dei programmi informatici, la pena è della reclusione da tre a otto anni.
[III]. Se ricorre la circostanza di cui al numero 1) del secondo comma dell'articolo 635 ovvero se il fatto è commesso con abuso della qualità di operatore del sistema, la pena è aumentata.
Art. 635- Quater c.p. Danneggiamento di sistemi informatici o telematici
[I]. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, mediante le condotte di cui all'articolo 635-bis, ovvero attraverso l'introduzione o la trasmissione di dati, informazioni o programmi, distrugge, danneggia, rende, in tutto o in parte, inservibili sistemi informatici o telematici altrui o ne ostacola gravemente il funzionamento è punito con la reclusione da uno a cinque anni.
[II]. Se ricorre la circostanza di cui al numero 1) del secondo comma dell'articolo 635 ovvero se il fatto è commesso con abuso della qualità di operatore del sistema, la pena è aumentata.
Art. 635- Quinquies c.p. Danneggiamento di sistemi informatici o telematici di pubblica utilità
[I]. Se il fatto di cui all'articolo 635-quater è diretto a distruggere, danneggiare, rendere, in tutto o in parte, inservibili sistemi informatici o telematici di pubblica utilità o ad ostacolarne gravemente il funzionamento, la pena è della reclusione da uno a quattro anni.
[II]. Se dal fatto deriva la distruzione o il danneggiamento del sistema informatico o telematico di pubblica utilità ovvero se questo è reso, in tutto o in parte, inservibile, la pena è della reclusione da tre a otto anni.
[III]. Se ricorre la circostanza di cui al numero 1) del secondo comma dell'articolo 635 ovvero se il fatto è commesso con abuso della qualità di operatore del sistema, la pena è aumentata.
Art. 640-Quinquies c.p. Frode informatica del soggetto che presta servizi di certificazione di firma elettronica
[I]. Il soggetto che presta servizi di certificazione di firma elettronica, il quale, al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto ovvero di arrecare ad altri danno, viola gli obblighi previsti dalla legge per il rilascio di un certificato qualificato, è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa da 51 a 1.032 euro.
- Sanzioni interdittive (D.Lgs 231/01 9, Art. 9, comma 2, lettere a), b), c), d) ed e)):
a) l'interdizione dall'esercizio dell'attività;
b) la sospensione o la revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell'illecito;
c) il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio;
d) l'esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l'eventuale revoca di quelli già concessi;
e) il divieto di pubblicizzare beni o servizi.
Art. 24-Ter
Delitti di criminalità organizzata (1)
* * *
1. In relazione alla commissione di taluno dei delitti di cui agli articoli 416, sesto comma, 416-bis, 416-ter e 630 del codice penale, ai delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dal predetto articolo 416-bis ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni previste dallo stesso articolo, nonchè ai delitti previsti dall'articolo 74 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, si applica la sanzione pecuniaria da quattrocento a mille quote.
2. In relazione alla commissione di taluno dei delitti di cui all'articolo 416 del codice penale, ad esclusione del sesto comma, ovvero di cui all'articolo 407, comma 2, lettera a), numero 5), del codice di procedura penale, si applica la sanzione pecuniaria da trecento a ottocento quote.
3. Nei casi di condanna per uno dei delitti indicati nei commi 1 e 2, si applicano le sanzioni interdittive previste dall'articolo 9, comma 2, per una durata non inferiore ad un anno.
4. Se l'ente o una sua unità organizzativa viene stabilmente utilizzato allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione dei reati indicati nei commi 1 e 2, si applica la sanzione dell'interdizione definitiva dall'esercizio dell'attività ai sensi dell'articolo 16, comma 3.
(1) Articolo inserito dall'articolo 2, comma 29, della legge 15 luglio 2009, n. 94.
- Riferimenti normativi:
416 c.p. Associazione per delinquere (*)
[I]. Quando tre o più persone si associano allo scopo di commettere più delitti [c.p. 576, n.4], coloro che promuovono o costituiscono od organizzano l'associazione [c.p. 28, 29, 32, 270, 305, 306] sono puniti, per ciò solo, con la reclusione da tre a sette anni.
[II]. Per il solo fatto di partecipare all'associazione [c.p. 115], la pena è della reclusione da uno a cinque anni.
[III]. I capi soggiacciono alla stessa pena stabilita per i promotori.
[IV]. Se gli associati scorrono in armi le campagne o le pubbliche vie, si applica la reclusione da cinque a quindici anni.
[V]. La pena è aumentata se il numero degli associati è di dieci o più.
[comma VI]. Se l'associazione è diretta a commettere taluno dei delitti di cui agli articoli 600, 601 E 602, nonché all'articolo 12, comma 3-bis, del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 si applica la reclusione da cinque a quindici anni nei casi previsti dal primo comma e da quattro a nove anni nei casi previsti dal secondo comma
(*) l'art. 416 c.p. rientra in toto nella responsabilità degli enti in virtù del richiamo operato ex L.146/06 "REATI TRASNAZIONALI". Cfr. Infra
416-Bis c.p. Associazioni di tipo mafioso anche straniere.
[I]. Chiunque fa parte di un'associazione di tipo mafioso formata da tre o più persone, è punito con la reclusione da sette a dodici anni.
[II]. Coloro che promuovono, dirigono o organizzano l'associazione sono puniti, per ciò solo, con la reclusione da nove a quattordici anni.
[III]. L'associazione è di tipo mafioso quando coloro che ne fanno parte si avvalgono della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva per commettere delitti, per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici o per realizzare profitti o vantaggi ingiusti per sé o per altri ovvero al fine di impedire od ostacolare il libero esercizio del voto o di procurare voti a sé o ad altri in occasione di consultazioni elettorali.
[IV]. Se l'associazione è armata si applica la pena della reclusione da nove a quindici anni nei casi previsti dal primo comma e da dodici a ventiquattro anni nei casi previsti dal secondo comma.
[V]. L'associazione si considera armata quando i partecipanti hanno la disponibilità, per il conseguimento della finalità dell'associazione, di armi o materie esplodenti, anche se occultate o tenute in luogo di deposito.
[VI]. Se le attività economiche di cui gli associati intendono assumere o mantenere il controllo sono finanziate in tutto o in parte con il prezzo, il prodotto, o il profitto di delitti, le pene stabilite nei commi precedenti sono aumentate da un terzo alla metà.
[VII]. Nei confronti del condannato è sempre obbligatoria la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e delle cose che ne sono il prezzo, il prodotto, il profitto o che ne costituiscono l'impiego.
[VIII]. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche alla camorra, alla 'ndrangheta e alle altre associazioni, comunque localmente denominate, anche straniere, che valendosi della forza intimidatrice del vincolo associativo perseguono scopi corrispondenti a quelli delle associazioni di tipo mafioso.
Vedasi l'art. 416-bis c.p. in combinato disposto con:
Art. 7, D.L. 13.05. 1991 n. 152 - PROVVEDIMENTI URGENTI IN TEMA DI LOTTA ALLA CRIMINALITÀ ORGANIZZATA E DI TRASPARENZA E BUON ANDAMENTO DELL'ATTIVITÀ AMMINISTRATIVA.
[I]. Per i delitti punibili con pena diversa dall'ergastolo commessi avvalendosi delle condizioni previste dall'articolo 416-bis del codice penale ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni previste dallo stesso articolo, la pena è aumentata da un terzo alla metà.
[II]. Le circostanze attenuanti, diverse da quella prevista dall'articolo 98 del codice penale, concorrenti con l'aggravante di cui al comma 1 non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto a questa e le diminuzioni di pena si operano sulla quantità di pena risultante dall'aumento conseguente alla predetta aggravante.
416-Ter c.p. Scambio elettorale politicomafioso.
[I]. Chiunque accetta la promessa di procurare voti mediante le modalità di cui al terzo comma dell'articolo 416-bis in cambio dell'erogazione o della promessa di erogazione di denaro o di altra utilità è punito con la reclusione da quattro a dieci anni.
[II]. La stessa pena si applica a chi promette di procurare voti con le modalità di cui al primo comma.
630 c.p. Sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione
[I]. Chiunque sequestra una persona allo scopo di conseguire, per sé o per altri, un ingiusto profitto come prezzo della liberazione, è punito con la reclusione da venticinque a trenta anni.
[II]. Se dal sequestro deriva comunque la morte, quale conseguenza non voluta dal reo, della persona sequestrata, il colpevole è punito con la reclusione di anni trenta.
[III]. Se il colpevole cagiona la morte del sequestrato si applica la pena dell'ergastolo.
[IV]. Al concorrente che, dissociandosi dagli altri, si adopera in modo che il soggetto passivo riacquisti la libertà, senza che tale risultato sia conseguenza del prezzo della liberazione, si applicano le pene previste dall'articolo 605. Se tuttavia il soggetto passivo muore, in conseguenza del sequestro, dopo la liberazione, la pena è della reclusione da sei a quindici anni.
[V]. Nei confronti del concorrente che, dissociandosi dagli altri, si adopera, al di fuori del caso previsto dal comma precedente, per evitare che l'attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori ovvero aiuta concretamente l'autorità di polizia o l'autorità giudiziaria nella raccolta di prove decisive per l'individuazione o la cattura dei concorrenti, la pena dell'ergastolo è sostituita da quella della reclusione da dodici a venti anni e le altre pene sono diminuite da un terzo a due terzi.
[VI]. Quando ricorre una circostanza attenuante, alla pena prevista dal secondo comma è sostituita la reclusione da venti a ventiquattro anni; alla pena prevista dal terzo comma è sostituita la reclusione da ventiquattro a trenta anni. Se concorrono più circostanze attenuanti, la pena da applicare per effetto delle diminuzioni non può essere inferiore a dieci anni, nell'ipotesi prevista dal secondo comma, ed a quindici anni, nell'ipotesi prevista dal terzo comma.
[VII]. I limiti di pena preveduti nel comma precedente possono essere superati allorché ricorrono le circostanze attenuanti di cui al quinto comma del presente articolo.
Art. 74. Testo Unico sulla droga - D.P.R. , testo coordinato 09.10.1990 n° 309 , G.U. 31.10.1990
Associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope
[I]. Quando tre o più persone si associano allo scopo di commettere più delitti tra quelli previsti dall'articolo 70, commi 4, 6 e 10, escluse le operazioni relative alle sostanze di cui alla categoria III dell'allegato I al regolamento (CE) n. 273/2004 e dell'allegato al regolamento n. 111/2005, ovvero dall'articolo 73, chi promuove, costituisce, dirige, organizza o finanzia l'associazione è punito per ciò solo con la reclusione non inferiore a venti anni.
[II]. Chi partecipa all'associazione e' punito con la reclusione non inferiore a dieci anni.
[III]. La pena e' aumentata se il numero degli associati e' di dieci o piu' o se tra i partecipanti vi sono persone dedite all'uso di sostanze stupefacenti o psicotrope.
[IV]. Se l'associazione e' armata la pena, nei casi indicati dai commi 1 e 3, non puo' essere inferiore a ventiquattro anni di reclusione e, nel caso previsto dal comma 2, a dodici anni di reclusione.
L'associazione si considera armata quando i partecipanti hanno la disponibilita' di armi o materie esplodenti, anche se occultate o tenute in luogo di deposito.
[V] La pena e' aumentata se ricorre la circostanza di cui alla lettera e) del comma 1 dell'articolo 80.
[VI]. Se l'associazione e' costituita per commettere i fatti descritti dal comma 5 dell'articolo 73, si applicano il primo e il secondo comma dell'articolo 416 del codice penale.
[VII]. Le pene previste dai commi da 1 a 6 sono diminuite dalla meta' a due terzi per chi si sia efficacemente adoperato per assicurare le prove del reato o per sottrarre all'associazione risorse decisive per la commissione dei delitti.
[VIII]. Quando in leggi e decreti e' richiamato il reato previsto dall'articolo 75 della legge 22 dicembre 1975, n. 685, abrogato dall'articolo 38, comma 1, della legge 26 giugno 1990, n. 162, il richiamo si intende riferito al presente articolo.
407 c.p.p. Termini di durata massima delle indagini preliminari
[comma II] La durata massima è tuttavia di due anni se le indagini preliminari riguardano:
lettera a) i delitti appresso indicati:
numero 5) delitti di illegale fabbricazione, introduzione nello Stato, messa in vendita, cessione, detenzione e porto in luogo pubblico o aperto al pubblico di armi da guerra o tipo guerra o parti di esse, di esplosivi, di armi clandestine nonché di più armi comuni da sparo, escluse quelle previste dall'articolo 2, terzo comma, della legge 18 aprile 1975, n. 110;
- Sanzioni interdittive (D.Lgs 231/01 9, Art. 9, comma 2, lettere a), b), c), d) ed e)):
a) l'interdizione dall'esercizio dell'attività;
b) la sospensione o la revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell'illecito;
c) il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio;
d) l'esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l'eventuale revoca di quelli già concessi;
e) il divieto di pubblicizzare beni o servizi".
- Giurisprudenza:
· Poiché i reati fiscali rientrano nel programma associativo dell'organizzazione criminale transnazionale imputabile all'ente ex art. 3, comma 1, lett. c), è del tutto legittimo il sequestro, finalizzato alla confisca per equivalente ex art. 11 della medesima legge, anche del profitto dei reati di frode fiscale, per un valore corrispondente all'intero importo del prodotto, profitto o prezzo del reato nei confronti di ciascuno.Cass. pen. Sez. II, 26-06-2014, n. 28969. Rivista231.it
· La rilevanza, ai fini della responsabilità dell'ente, di reati non presupposto non può essere indirettamente recuperata, ai fini della individuazione del profitto confiscabile, nella diversa prospettiva di una loro imputazione quali delitti-scopo del reato associativo, poichè in tal modo la norma incriminatrice di cui all'art. 416 c.p. , relativa all'associazione a delinquere - essa, sì, inserita nell'elenco dei reatipresupposto ex art. 24-ter del D.Lgs. n. 231/2001, a seguito della modifica apportata dalla legge n. 94/2009, art. 2 - si trasformerebbe, in violazione del principio di tassatività del sistema sanzionatorio contemplato dal D.Lgs. n. 231/2001 , in una disposizione "aperta", dal contenuto elastico, potenzialmente idoneo a ricomprendere nel novero dei reati - presupposto qualsiasi fattispecie di reato. Cass. pen. Sez. VI, 20.12.2013, n. 3635. Rivista231.it.
· Il sequestro preventivo del profitto del reato disposto nei confronti dell'ente imputato ai sensi dell'art. 24 ter D.Lgs 231/2001 per il delitto di associazione a delinquere finalizzato alla commissione di reati di evasione fiscale trova legittimazione, in relazione al complesso dei vantaggi conseguiti dall'insieme dei reati fine, direttamente nell'art. 24 ter, prescindendo dalla imputabilità all'ente dei reati fine. Cass. pen. Sez. VI, 10.01.2013, n. 19051. Fonte: Società, 2013, 11, 1260.
Art. 25
Concussione, induzione indebita a dare o promettere utilità e corruzione (*)
* * *
1. In relazione alla commissione dei delitti di cui agli articoli 318, 321 e 322, commi 1 e 3, del codice penale, si applica la sanzione pecuniaria fino a duecento quote.
2. In relazione alla commissione dei delitti di cui agli articoli 319, 319-ter, comma 1, 321, 322, commi 2 e 4, del codice penale, si applica all'ente la sanzione pecuniaria da duecento a seicento quote.
3. In relazione alla commissione dei delitti di cui agli articoli 317, 319, aggravato ai sensi dell'articolo 319-bis quando dal fatto l'ente ha conseguito un profitto di rilevante entità, 319-ter, comma 2, 319-quater (*) e 321 del codice penale, si applica all'ente la sanzione pecuniaria da trecento a ottocento quote.
4. Le sanzioni pecuniarie previste per i delitti di cui ai commi da 1 a 3, si applicano all'ente anche quando tali delitti sono stati commessi dalle persone indicate negli articoli 320 e 322-bis.
5. Nei casi di condanna per uno dei delitti indicati nei commi 2 e 3, si applicano le sanzioni interdittive previste dall'articolo 9, comma 2, per una durata non inferiore ad un anno.
(*) Rubrica e articolo novellati ex Lege n. 6 novembre 2012, n. 190, recante "Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione", (in GU n. 265 del 13/11/2012; in vigore dal 28/11/2012).
- Riferimenti normativi:
Art. 317. c.p. - Concussione
[I]. Il pubblico ufficiale che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, costringe taluno a dare o a promettere indebitamente, a lui o a un terzo, denaro o altra utilità è punito con la reclusione da sei a dodici anni (*)
(*) Articolo novellato ex Lege n. 6 novembre 2012, n. 190, recante "Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione", (in GU n. 265 del 13/11/2012; in vigore dal 28/11/2012).
318 c.p. - Corruzione per l'esercizio della funzione (*)
[I]. Il pubblico ufficiale, che, per l'esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri, indebitamente riceve, per sé o per un terzo, denaro o altra utilità o ne accetta la promessa è punito con la reclusione da uno a cinque anni. (*)
(*) Rubrica e Articolo novellati ex Lege n. 6 novembre 2012, n. 190, recante "Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione", (in GU n. 265 del 13/11/2012; in vigore dal 28/11/2012).
319 c.p. - Corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio
[I]. Il pubblico ufficiale, che, per omettere o ritardare o per aver omesso o ritardato un atto del suo ufficio, ovvero per compiere o per aver compiuto un atto contrario ai doveri di ufficio, riceve, per sé o per un terzo, denaro od altra utilità, o ne accetta la promessa, è punito con la reclusione da quattro a otto anni. (*)
(*) Articolo novellato ex Lege n. 6 novembre 2012, n. 190, recante "Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione", (in GU n. 265 del 13/11/2012; in vigore dal 28/11/2012).
319-Bis c.p. - Circostanze aggravanti.
[I]. La pena è aumentata se il fatto di cui all'articolo 319 ha per oggetto il conferimento di pubblici impieghi o stipendi o pensioni o la stipulazione di contratti nei quali sia interessata l'amministrazione alla quale il pubblico ufficiale appartiene.
319-Ter c.p. - Corruzione in atti giudiziari
[comma I]. Se i fatti indicati negli articoli 318 e 319 sono commessi per favorire o danneggiare una parte in un processo civile, penale o amministrativo, si applica la pena della reclusione da quattro a dieci anni. (*)
[comma II]. Se dal fatto deriva l'ingiusta condanna di taluno alla reclusione non superiore a cinque anni, la pena è della reclusione da cinque a dodici anni; se deriva l'ingiusta condanna alla reclusione superiore a cinque anni o all'ergastolo, la pena è della reclusione da sei a venti anni. (*)
(*) Articolo novellato ex Lege n. 6 novembre 2012, n. 190, recante "Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione", (in GU n. 265 del 13/11/2012; in vigore dal 28/11/2012).
Art. 319-Quater c.p. - Induzione indebita a dare o promettere utilità (*)
[I]. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, induce taluno a dare o a promettere indebitamente, a lui o a un terzo, denaro o altra utilità è punito con la reclusione da tre a otto anni.
[II]. Nei casi previsti dal primo comma, chi dà o promette denaro o altra utilità è punito con la reclusione fino a tre anni. (*)
(*) Articolo inserito ex Lege n. 6 novembre 2012, n. 190, recante "Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione", (in GU n. 265 del 13/11/2012; in vigore dal 28/11/2012).
320 c.p. - Corruzione di persona incaricata di un pubblico servizio
[I]. Le disposizioni degli articoli 318 e 319 si applicano anche all'incaricato di un pubblico servizio. (*)
[II]. In ogni caso, le pene sono ridotte in misura non superiore ad un terzo.
(*) Articolo novellato ex Lege n. 6 novembre 2012, n. 190, recante "Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione", (in GU n. 265 del 13/11/2012; in vigore dal 28/11/2012).
321 c.p. - Pene per il corruttore
[I]. Le pene stabilite nel comma 1 dell'articolo 318, nell'articolo 319, nell'articolo 319-bis, nell'articolo 319-ter e nell'articolo 320 in relazione alle suddette ipotesi degli articoli 318 e 319, si applicano anche a chi dà o promette al pubblico ufficiale o all'incaricato di un pubblico servizio il denaro od altra utilità.
322 c.p. - Istigazione alla corruzione
[I]. Chiunque offre o promette denaro od altra utilità non dovuti ad un pubblico ufficiale o ad un incaricato di un pubblico servizio, per l'esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri, soggiace, qualora l'offerta o la promessa non sia accettata, alla pena stabilita nel comma 1 dell'articolo 318, ridotta di un terzo. (*)
[II]. Se l'offerta o la promessa è fatta per indurre un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio ad omettere o a ritardare un atto del suo ufficio, ovvero a fare un atto contrario ai suoi doveri, il colpevole soggiace, qualora l'offerta o la promessa non sia accettata, alla pena stabilita nell'articolo 319, ridotta di un terzo.
[III]. La pena di cui al primo comma si applica al pubblico ufficiale o all'incaricato di un pubblico servizio che sollecita una promessa o dazione di denaro o altra utilità per l'esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri. (*)
[IV]. La pena di cui al comma secondo si applica al pubblico ufficiale o all'incaricato di un pubblico servizio che sollecita una promessa o dazione di denaro od altra utilità da parte di un privato per le finalità indicate dall'articolo 319.
(*) Articolo novellato ex Lege n. 6 novembre 2012, n. 190, recante "Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione", (in GU n. 265 del 13/11/2012; in vigore dal 28/11/2012).
322 - Bis c.p. - Peculato, concussione, induzione indebita a dare o promettere utilità, corruzione e istigazione alla corruzione di membri degli organi delle Comunità europee e di funzionari delle Comunità europee e di Stati esteri (*)
[I]. Le disposizioni degli articoli 314, 316, da 317 a 320 e 322, terzo e quarto comma, si applicano anche:
1) ai membri della Commissione delle Comunità europee, del Parlamento europeo, della Corte di Giustizia e della Corte dei conti delle Comunità europee;
2) ai funzionari e agli agenti assunti per contratto a norma dello statuto dei funzionari delle Comunità europee o del regime applicabile agli agenti delle Comunità europee;
3) alle persone comandate dagli Stati membri o da qualsiasi ente pubblico o privato presso le Comunità europee, che esercitino funzioni corrispondenti a quelle dei funzionari o agenti delle Comunità europee;
4) ai membri e agli addetti a enti costituiti sulla base dei Trattati che istituiscono le Comunità europee;
5) a coloro che, nell'ambito di altri Stati membri dell'Unione europea, svolgono funzioni o attività corrispondenti a quelle dei pubblici ufficiali e degli incaricati di un pubblico servizio.
5-bis) ai giudici, al procuratore, ai procuratori aggiunti, ai funzionari e agli agenti della Corte penale internazionale, alle persone comandate dagli Stati parte del Trattato istitutivo della Corte penale internazionale le quali esercitino funzioni corrispondenti a quelle dei funzionari o agenti della Corte stessa, ai membri ed agli addetti a enti costituiti sulla base del Trattato istitutivo della Corte penale internazionale
[II]. Le disposizioni degli articoli 319-quater, secondo comma, 321 e 322, primo e secondo comma, si applicano anche se il denaro o altra utilità è dato, offerto o promesso:
1) alle persone indicate nel primo comma del presente articolo;
2) a persone che esercitano funzioni o attività corrispondenti a quelle dei pubblici ufficiali e degli incaricati di un pubblico servizio nell'ambito di altri Stati esteri o organizzazioni pubbliche internazionali, qualora il fatto sia commesso per procurare a sé o ad altri un indebito vantaggio in operazioni economiche internazionali ovvero al fine di ottenere o di mantenere un'attività economica o finanziaria (4).
[III]. Le persone indicate nel primo comma sono assimilate ai pubblici ufficiali, qualora esercitino funzioni corrispondenti, e agli incaricati di un pubblico servizio negli altri casi.
(*) Rubrica e articolo novellati ex Lege n. 6 novembre 2012, n. 190, recante "Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione", (in GU n. 265 del 13/11/2012; in vigore dal 28/11/2012).
- Sanzioni interdittive (D.Lgs 231/01 9, Art. 9, comma 2, lettere a), b), c), d) ed e)):
a) l'interdizione dall'esercizio dell'attività;
b) la sospensione o la revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell'illecito;
c) il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio;
d) l'esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l'eventuale revoca di quelli già concessi;
e) il divieto di pubblicizzare beni o servizi.
- Relazione Ministeriale al Decreto:
Nel caso in cui l'illecito dell'ente dipenda dalla consumazione dei reati di concussione e corruzione (v. articolo 25), il giudice, una volta accertata la sussistenza dei requisiti di cui all'articolo 13, applicherà una o più delle sanzioni interdittive previste dall'articolo 9, comma 2. La maggiore gravità di tali reati rende inevitabile la scelta di ricorrere all'intero ventaglio sanzionatorio, fatta eccezione per le meno gravi ipotesi di corruzione "impropria", per le quali non sono applicabili sanzioni interdittive (v. articolo 25, comma 1 e 5).
- Giurisprudenza:
· La natura di reato di pericolo e di mera condotta del reato di manipolazione di mercato - per Ia cui consumazione non è necessario che si verifichi una sensibile alterazione del prezzo degli strumenti finanziari - non è di ostacolo alla individuazione di un profitto confiscabile. (Rigetta, Trib. lib. Torino, 25/09/2013). Cass. pen. Sez. V, 03.04.2014, n. 25450 (rv. 260751). Rivista231.it.
· La mancanza di idonei accorgimenti strumentali a prevenire in futuro la commissione di reati della stessa specie di quelli precedentemente realizzati non consente di valutare positivamente il modello organizzativo adottato ex novo dalla società ai fini della riduzione della applicanda sanzione pecuniaria ex art. 12, comma 2, D.Lgs. n. 231/2001. Tribunale di Taranto, 25.03.2014. Rivista231.it.
· In tema di responsabilità degli enti a norma del d.lg. 8 giugno 2001 n. 231, dipendente dal reato di corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio (art. 319 c.p.), l'ente può essere ritenuto responsabile, senza che vi sia una violazione del principio di irretroattività stabilito dall'art. 2 d.lg. n. 231 del 2001, se all'accordo corruttivo, risalente ad un periodo antecedente l'entrata in vigore del d.lg. n. 231 del 2001, seguano una o più dazioni di denaro in un periodo successivo a quello suddetto. Ed infatti, sebbene il delitto di corruzione si perfezioni anche solo con l'accettazione della promessa di denaro, ove segua l'effettiva dazione del denaro il momento consumativo si sposta in avanti fino a coincidere con la dazione medesima. E nel caso di plurimi pagamenti detto momento non può che protrarsi sino all'ultimo, in quanto le singole dazioni, pur trovando la loro origine nell'accordo iniziale, tacitamente confermano ogni volta quell'accordo e, lungi dal costituire un "post factum" non punibile, integrano la fattispecie delittuosa. (Nella fattispecie l'accordo corruttivo risaliva al 1998, mentre l'ultima dazione di denaro risaliva al 2002, cioè ad un momento successivo all'entrata in vigore del d.lg. n. 231 del 2001). Tribunale Milano, sez. X, 31 luglio 2007, n. 3300, Corriere del merito 2007, 12, 1439.
· Integra il concetto di interesse o vantaggio dell'ente, ai sensi dell'art. 5 d.lg. 8 giugno 2001 n. 231, l'ipotesi in cui il profitto del reato di truffa sia inizialmente conseguito dalla società indagata, attraverso l'accreditamento in suo favore delle somme erogate dalla p.a., restando irrilevante ai fini della responsabilità amministrativa del l'ente l'eventuale successiva distrazione delle medesime somme sui conti personali dell'amministratore. Tribunale Lucca, 26 ottobre 2004, Foro it. 2006, 6, 329.
· Ai fini della configurazione del delitto di corruzione propria, pur non dovendosi ritenere necessario individuare lo specifico atto contrario ai doveri d'ufficio per il quale il pubblico ufficiale abbia ricevuto somme di denaro o altre utilità non dovute, occorre che dal suo comportamento emerga comunque un atteggiamento diretto in concreto a vanificare la funzione demandatagli, poichè solo in tal modo può ritenersi integrata la violazione dei doveri di fedeltà, di imparzialità e di perseguimento esclusivo degli interessi pubblici che sullo stesso incombono. (Nel caso di specie, in cui una società farmaceutica aveva istituito un'apposita struttura al fine di sostenere ed incrementare la vendita dei medicinali prodotti, attraverso elargizioni di liberalità in denaro o di altri "benefits" in favore di medici e farmacisti, o dei relativi enti di appartenenza, è stata esclusa la sussistenza dell'ipotizzato delitto di corruzione). Cass. pen, sez. VI, n. 34417 del 15/05/2008, Rv. 241081. CED Cass. pen.. Conformi: Cass. n. 21192/07, Rv.236624; Cass. n. 20046/08, Rv. 241184.
· Anche all'ente indagato per l'illecito amministrativo di cui all'art. 25 d.lg. n. 231/01 derivante dal reato di cui all'art. 322 bis c.p. (corruzione internazionale) si applicano le misure cautelari interdittive. Il comma 4 dell'art. 25 ha la funzione di estendere l'ambito soggettivo di quegli stessi delitti richiamati nei primi tre commi. Pertanto, il richiamo contenuto nel comma 5 dell'art. 25 cit. deve considerarsi rivolto alle ipotesi base di corruzione indicate nei commi 2 e 3, comprensive anche delle estensioni soggettive contemplate nel comma 4. Cass. Pen., sez. VI, n. 42701 del 30 settembre 2010, in Diritto e Giustizia 2010 -con nota di Rispoli-.
· In tema di responsabilità da reato degli enti, sono applicabili alla persona giuridica le misure cautelari interdittive anche qualora il reato presupposto sia quello di corruzione internazionale di cui all'art. 322 bis c.p., pur dovendosi verificare in concreto l'effettiva possibilità di applicare tali misure senza che ciò comporti, seppure solo nella fase esecutiva, il coinvolgimento degli organismi di uno Stato estero. Cass. Pen., sez. VI, n. 42701 del 30 settembre 2010, in CED.
· In materia di responsabilità amministrativa degli enti, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca (art. 53 in relazione all'art. 19 d.lg. 8 giugno 2001 n. 231 ) è prodromico all'applicazione di una sanzione principale, che, al pari delle altre sanzioni previste dall'art. 9 dello stesso decreto legislativo, può essere applicato solo a seguito dell'accertamento della responsabilità dell'ente. Proprio dalla natura di sanzione principale della confisca discende che il "fumus delicti" richiesto per l'adozione del sequestro non può che coincidere con i "gravi indizi di responsabilità" dell'ente richiesti per l'applicazione della sanzione. Per l'effetto, i gravi indizi che consentono di disporre il sequestro devono coincidere con quegli elementi a carico, di natura logica o rappresentativa, anche indiretti, che sebbene non valgano di per sé a dimostrare "oltre ogni dubbio" l'attribuibilità dell'illecito all'ente con la certezza propria del giudizio di cognizione, tuttavia globalmente apprezzati nella loro consistenza e nella loro concatenazione logica, consentono di fondare, allo stato e tenuto conto della peculiarità della fase cautelare, una qualificata probabilità di colpevolezza dell'ente per l'illecito amministrativo contestato. Solo dopo la verifica della sussistenza dei gravi indizi, il giudice potrà poi procedere ad accertare il requisito del "periculum", che riguarda esclusivamente l'individuazione e la quantificazione del profitto (o del prezzo) assoggettabile a confisca. (Da queste premesse, in una fattispecie relativa a ricorso avverso la decisione del tribunale del riesame che, accogliendo l'appello del p.m., aveva disposto il sequestro preventivo finalizzato alla confisca del profitto a carico dell'ente indagato per l'illecito amministrativo di cui all'art. 25 d.lg. n. 231 del 2001, in relazione al reato di corruzione commesso nel suo interesse da parte dei vertici societari, la Cassazione ha annullato con rinvio la decisione, evidenziando come il tribunale non avesse proceduto ad accertare la sussistenza dei gravi indizi sulla responsabilità dell'ente e si fosse, invece, limitato a effettuare l'accertamento del "fumus" in base al criterio dell'astratta sussumibilità della fattispecie concreta in quella legale). Cass. Pen., sez. VI, 31 maggio 2012, n. 34505, Rv. 252929. In CED Cass. Pen. e Guida al diritto 2012, 42, 102 (s.m.).
· È legittimo il mantenimento del sequestro preventivo finalizzato alla confisca di beni di una società nei cui confronti pende un procedimento per responsabilità amministrativa nascente da reato anche quando sopravviene a carico dell'ente una procedura concorsuale, poiché tale vicenda giuridica non sottrae al giudice penale il potere di valutare, all'esito del procedimento se disporre la confisca, e, in caso positivo, con quale estensione e limiti. (Fattispecie in tema di sequestro finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti di società ammessa, dopo l'applicazione della misura, alla procedura di concordato preventivo). (Rigetta, Trib. Bologna, 20/07/2013. Cass. pen. Sez. II, 12.03.2014, n. 25201 (rv. 260352). Rivista231.it
· La natura di reato di pericolo e di mera condotta del reato di manipolazione di mercato - per Ia cui consumazione non è necessario che si verifichi una sensibile alterazione del prezzo degli strumenti finanziari - non è di ostacolo alla individuazione di un profitto confiscabile. (Rigetta, Trib. lib. Torino, 25/09/2013). Cass. pen. Sez. V, 03.04.2014, n. 25450 (rv. 260751).
· In tema di responsabilità da reato degli enti, sono applicabili alla persona giuridica le misure cautelari interdittive anche qualora il reato presupposto sia quello di corruzione internazionale di cui all'art. 322 bis cod. pen., pur dovendosi verificare in concreto l'effettiva possibilità di applicare tali misure senza che ciò comporti, seppure solo nella fase esecutiva, il coinvolgimento degli organismi di uno Stato estero. (Annulla con rinvio, Trib. lib. Milano, 19.01.2010). Cass. pen. Sez. VI, 30.09.2010, n. 42701 (rv. 248594).
Art. 25-Bis
Falsità in monete, in carte di pubblico credito, in valori di bollo e in strumenti o segni di riconoscimento (1) (2)
1. In relazione alla commissione dei delitti previsti dal codice penale in materia di falsità in monete, in carte di pubblico credito , in valori di bollo e in strumenti o segni di riconoscimento, si applicano all'ente le seguenti sanzioni pecuniarie (3):
a) per il delitto di cui all'articolo 453 la sanzione pecuniaria da trecento a ottocento quote;
b) per i delitti di cui agli articoli 454, 460 e 461 la sanzione pecuniaria fino a cinquecento quote;
c) per il delitto di cui all'articolo 455 le sanzioni pecuniarie stabilite dalla lettera a), in relazione all'articolo 453, e dalla lettera b), in relazione all'articolo 454, ridotte da un terzo alla metà;
d) per i delitti di cui agli articoli 457 e 464, secondo comma, le sanzioni pecuniarie fino a duecento quote;
e) per il delitto di cui all'articolo 459 le sanzioni pecuniarie previste dalle lettere a), c) e d) ridotte di un terzo;
f) per il delitto di cui all'articolo 464, primo comma, la sanzione pecuniaria fino a trecento quote.
f-bis) per i delitti di cui agli articoli 473 e 474, la sanzione pecuniaria fino a cinquecento quote (4).
2. Nei casi di condanna per uno dei delitti di cui agli articoli 453, 454, 455, 459, 460 , 461, 473 e 474 del codice penale, si applicano all'ente le sanzioni interdittive previste dall'articolo 9, comma 2, per una durata non superiore ad un anno (5).
(1) Articolo aggiunto dall'art. 6, d.l. 25 settembre 2001, n. 350, conv., con modificazioni, in l. 23 novembre 2001, n. 409.
(2) Rubrica sostituita dall'articolo 17, comma 7, lettera a), numero 4), della legge 23 luglio 2009, n. 99
(3) Alinea modificato dall'articolo 17, comma 7, lettera a), numero 1), della legge 23 luglio 2009, n. 99
(4) Lettera inserita dall'articolo 17, comma 7, lettera a), numero 2), della legge 23 luglio 2009, n. 99
(5) Comma modificato dall'articolo 17, comma 7, lettera a), numero 3), della legge 23 luglio 2009, n. 99
- Riferimenti normativi:
453 c.p. Falsificazione di monete, spendita e introduzione nello Stato, previo concerto, di monete falsificate.
[I]. È punito con la reclusione da tre a dodici anni e con la multa da 516 euro a 3.098 euro:
1) chiunque contraffà monete nazionali o straniere, aventi corso legale nello Stato o fuori;
2) chiunque altera in qualsiasi modo monete genuine, col dare ad esse l'apparenza di un valore superiore;
3) chiunque, non essendo concorso nella contraffazione o nell'alterazione, ma di concerto con chi l'ha eseguita ovvero con un intermediario, introduce nel territorio dello Stato o detiene o spende o mette altrimenti in circolazione monete contraffatte o alterate;
4) chiunque, al fine di metterle in circolazione, acquista o comunque riceve, da chi le ha falsificate, ovvero da un intermediario, monete contraffatte o alterate.
454 c.p. Alterazione di monete.
[I]. Chiunque altera monete della qualità indicata nell'articolo precedente, scemandone in qualsiasi modo il valore, ovvero, rispetto alle monete in tal modo alterate, commette alcuno dei fatti indicati nei numeri 3 e 4 del detto articolo, è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da 103 euro a 516 euro.
455c.p. Spendita e introduzione nello Stato, senza concerto, di monete falsificate.
[I]. Chiunque, fuori dei casi preveduti dai due articoli precedenti, introduce nel territorio dello Stato, acquista o detiene monete contraffatte o alterate, al fine di metterle in circolazione, ovvero le spende o le mette altrimenti in circolazione, soggiace alle pene stabilite nei detti articoli, ridotte da un terzo alla metà.
457 c.p. spendita di monete falsificate ricevute in buona fede.
[I]. Chiunque spende, o mette altrimenti in circolazione monete contraffatte o alterate, da lui ricevute in buona fede, è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa fino a 1.032 euro.
459 c.p. Falsificazione dei valori di bollo, introduzione nello Stato, acquisto, detenzione o messa in circolazione di valori di bollo falsificati.
[I]. Le disposizioni degli articoli 453, 455 e 457 si applicano anche alla contraffazione o alterazione di valori di bollo e alla introduzione nel territorio dello Stato, o all'acquisto, detenzione e messa in circolazione di valori di bollo contraffatti; ma le pene sono ridotte di un terzo.
[II]. Agli effetti della legge penale, s'intendono per valori di bollo la carta bollata, le marche da bollo, i francobolli e gli altri valori equiparati a questi da leggi speciali.
460 c.p. Contraffazione di carta filigranata in uso per la fabbricazione di carte di pubblico credito o di valori di bollo.
[I]. Chiunque contraffà la carta filigranata che si adopera per la fabbricazione delle carte di pubblico credito o dei valori di bollo, ovvero acquista, detiene o aliena tale carta contraffatta, è punito, se il fatto non costituisce un più grave reato, con la reclusione da due a sei anni e con la multa da 309 euro a 1.032 euro.
461c.p. Fabbricazione o detenzione di filigrane o di strumenti destinati alla falsificazione di monete, di valori di bollo o di carta filigranata.
[I]. Chiunque fabbrica, acquista, detiene o aliena filigrane, programmi informatici o strumenti destinati esclusivamente alla contraffazione o alterazione di monete, di valori di bollo o di carta filigranata è punito, se il fatto non costituisce un più grave reato, con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da 103 euro a 516 euro.
[II]. La stessa pena si applica se le condotte previste dal primo comma hanno ad oggetto ologrammi o altri componenti della moneta destinati ad assicurarne la protezione contro la contraffazione o l'alterazione.
464 c.p. Uso di valori di bollo contraffatti o alterati.
[I]. Chiunque, non essendo concorso nella contraffazione o nell'alterazione, fa uso di valori di bollo contraffatti o alterati è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa fino a 516 euro.
[II]. Se i valori sono stati ricevuti in buona fede, si applica la pena stabilita nell'articolo 457, ridotta di un terzo.
473 c.p. Contraffazione, alterazione o uso di marchi o segni distintivi ovvero di brevetti, modelli e disegni (1)
[I]. Chiunque, potendo conoscere dell'esistenza del titolo di proprietà industriale, contraffa o altera marchi o segni distintivi, nazionali o esteri, di prodotti industriali, ovvero chiunque, senza essere concorso nella contraffazione o alterazione, fa uso di tali marchi o segni contraffatti o alterati, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da € 2.500 a € 25.000.
[II]. Soggiace alla pena della reclusione da uno a quattro anni e della multa da € 3.500 a € 35.000 chiunque contraffà o altera brevetti, disegni o modelli industriali, nazionali o esteri, ovvero, senza essere concorso nella contraffazione o alterazione, fa uso di tali brevetti, disegni o modelli contraffatti o alterati.
[III]. I delitti previsti dai commi primo e secondo sono punibili a condizione che siano state osservate le norme delle leggi interne, dei regolamenti comunitari e delle convenzioni internazionali sulla tutela della proprietà intellettuale o industriale".
(1) Articolo riformulato dalla L 23 luglio 2009, n. 99,
Art. 474 c.p. introduzione nello stato e commercio di prodotti con segni falsi (1)
[I]. Fuori dei casi di concorso nei reati previsti dall'art. 473, chiunque introduce nel territorio dello stato, al fine di trarne profitto, prodotti industriali con marchio o altri segni distintivi, nazionali o esteri, contraffatti o alterati è punito con la reclusione da uno a quattro anni e con la multa da € 3.500 a € 35.000.
[II]. fuori dei casi di concorso nella contraffazione, alterazione, introduzione nel territorio dello stato, chiunque detiene per la vendita, pone in vendita o mette in altrimenti in circolazione, al fine di trarne profitto, i prodotti di cui al primo comma è punito con la reclusione fino a due anni e con la multa fino a € 20.000.
[III]. i delitti previsti dai commi primo e secondo sono punibili a condizione che siano state osservate le norme delle leggi interne, dei regolamenti comunitari e delle convenzioni internazionali sulla tutela della proprietà intellettuale o industriale.
(1) Articolo riformulato dalla L 23 luglio 2009, n. 99.
- Sanzioni interdittive (D.Lgs 231/01 9, Art. 9, comma 2, lettere a), b), c), d) ed e)):
a) l'interdizione dall'esercizio dell'attività;
b) la sospensione o la revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell'illecito;
c) il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio;
d) l'esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l'eventuale revoca di quelli già concessi;
e) il divieto di pubblicizzare beni o servizi.
Art. 25-Bis.1
Delitti contro l'industria e il commercio (1)
* * *
1. In relazione alla commissione dei delitti contro l'industria e il commercio previsti dal codice penale, si applicano all'ente le seguenti sanzioni pecuniarie:
a) per i delitti di cui agli articoli 513, 515, 516, 517, 517-ter e 517-quater la sanzione pecuniaria fino a cinquecento quote;
b) per i delitti di cui agli articoli 513-bis e 514 la sanzione pecuniaria fino a ottocento quote.
2. Nel caso di condanna per i delitti di cui alla lettera b) del comma 1 si applicano all'ente le sanzioni interdittive previste dall'articolo 9, comma 2.
(1) Articolo inserito dall'articolo 17, comma 7, lettera b), della legge 23 luglio 2009, n. 99
- Riferimenti normativi:
513 c.p. Turbata libertà dell'industria o del commercio.
[I]. Chiunque adopera violenza sulle cose ovvero mezzi fraudolenti per impedire o turbare l'esercizio di un'industria o di un commercio è punito, a querela della persona offesa, se il fatto non costituisce un più grave reato, con la reclusione fino a due anni e con la multa da 103 euro a 1.032 euro.
513-Bis Illecita concorrenza con minaccia o violenza
[I]. Chiunque nell'esercizio di un'attività commerciale, industriale o comunque produttiva, compie atti di concorrenza con violenza o minaccia è punito con la reclusione da due a sei anni.
[II]. La pena è aumentata se gli atti di concorrenza riguardano un'attività finanziata in tutto o in parte ed in qualsiasi modo dallo Stato o da altri enti pubblici.
514 c.p. Frodi contro le industrie nazionali.
[I]. Chiunque, ponendo in vendita o mettendo altrimenti in circolazione, sui mercati nazionali o esteri, prodotti industriali, con nomi, marchi o segni distintivi contraffatti o alterati, cagiona un nocumento all'industria nazionale, è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa non inferiore a 516 euro.
[II]. Se per i marchi o segni distintivi sono state osservate le norme delle leggi interne o delle convenzioni internazionali sulla tutela della proprietà industriale, la pena è aumentata e non si applicano le disposizioni degli articoli 473 e 474.
515 c.p. Frode nell'esercizio del commercio.
[I]. Chiunque, nell'esercizio di una attività commerciale, ovvero in uno spaccio aperto al pubblico, consegna all'acquirente una cosa mobile per un'altra, ovvero una cosa mobile, per origine, provenienza, qualità o quantità, diversa da quella dichiarata o pattuita, è punito, qualora il fatto non costituisca un più grave delitto, con la reclusione fino a due anni o con la multa fino a 2.065 euro (1).
[II]. Se si tratta di oggetti preziosi, la pena è della reclusione fino a tre anni o della multa non inferiore a 103 euro.
(1) Per un'ipotesi particolare, v. art. 4 d.l. 17 gennaio 1977, n. 3, conv., con modif., nella l. 18 marzo 1977, n. 63.
516 c.p. Vendita di sostanze alimentari non genuine come genuine.
[I]. Chiunque pone in vendita o mette altrimenti in commercio come genuine sostanze alimentari non genuine è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa fino a 1.032 euro.
517 c.p. Vendita di prodotti industriali con segni mendaci.
[I]. Chiunque pone in vendita o mette altrimenti in circolazione opere dell'ingegno o prodotti industriali, con nomi, marchi o segni distintivi nazionali o esteri, atti a indurre in inganno il compratore sull'origine, provenienza o qualità dell'opera o del prodotto, è punito, se il fatto non è preveduto come reato da altra disposizione di legge, con la reclusione fino a due anni e con la multa fino a ventimila euro(1).
(1) Importo così elevato dall'art. 110d.l. 14 marzo 2005, n. 35, conv., con modif., in l. 14 maggio 2005, n. 80. L'art. 15, comma 1, della l. 23 luglio 2009, n. 99, ha sostituito le parole "fino a un anno o", con le parole "fino a due anni e".
517-Ter c.p. Fabbricazione e commercio di beni realizzati usurpando titoli di proprietà industriale (1).
[I]. Salva l'applicazione degli articoli 473 e 474 chiunque, potendo conoscere dell'esistenza del titolo di proprietà industriale, fabbrica o adopera industrialmente oggetti o altri beni realizzati usurpando un titolo di proprietà industriale o in violazione dello stesso è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione fino a due anni e con la multa fino a euro 20.000.
[II]. Alla stessa pena soggiace chi, al fine di trarne profitto, introduce nel territorio dello Stato, detiene per la vendita, pone in vendita con offerta diretta ai consumatori o mette comunque in circolazione i beni di cui al primo comma.
[III]. Si applicano le disposizioni di cui agli articoli 474-bis, 474-ter, secondo comma, e 517-bis, secondo comma.
[IV]. I delitti previsti dai commi primo e secondo sono punibili sempre che siano state osservate le norme delle leggi interne, dei regolamenti comunitari e delle convenzioni internazionali sulla tutela della proprietà intellettuale o industriale.
(1) Articolo inserito dall'art. 15, comma 1, della l. 23 luglio 2009, n. 99.
517-Quater c.p. Contraffazione di indicazioni geografiche o denominazioni di origine dei prodotti agroalimentari (1).
[I]. Chiunque contraffà o comunque altera indicazioni geografiche o denominazioni di origine di prodotti agroalimentari è punito con la reclusione fino a due anni e con la multa fino a euro 20.000.
[II]. Alla stessa pena soggiace chi, al fine di trarne profitto, introduce nel territorio dello Stato, detiene per la vendita, pone in vendita con offerta diretta ai consumatori o mette comunque in circolazione i medesimi prodotti con le indicazioni o denominazioni contraffatte.
[III]. Si applicano le disposizioni di cui agli articoli 474-bis, 474-ter, secondo comma, e 517-bis, secondo comma.
[IV]. I delitti previsti dai commi primo e secondo sono punibili a condizione che siano state osservate le norme delle leggi interne, dei regolamenti comunitari e delle convenzioni internazionali in materia di tutela delle indicazioni geografiche e delle denominazioni di origine dei prodotti agroalimentari.
(1) Articolo inserito dall'art. 15, comma 1, della l. 23 luglio 2009, n. 99.
- Sanzioni interdittive (D.Lgs 231/01 9, Art. 9, comma 2, lettere a), b), c), d) ed e)):
a) l'interdizione dall'esercizio dell'attività;
b) la sospensione o la revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell'illecito;
c) il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio;
d) l'esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l'eventuale revoca di quelli già concessi;
e) il divieto di pubblicizzare beni o servizi.
Art. 25-Ter
Reati societari (1)
* * *
1. In relazione ai reati in materia societaria previsti dal codice civile, si applicano all'ente le seguenti sanzioni pecuniarie (6):
a) per il delitto di false comunicazioni sociali previsto dall'articolo 2621 del codice civile, la sanzione pecuniaria da duecento a quattrocento quote; (6)
a-bis) per il delitto di false comunicazioni sociali previsto dall'articolo 2621-bis del codice civile, la sanzione pecuniaria da cento a duecento quote; (6)
b) per il delitto di false comunicazioni sociali previsto dall'articolo 2622 del codice civile, la sanzione pecuniaria da quattrocento a seicento quote; (6)
[c) per il delitto di false comunicazioni sociali in danno dei socie o dei creditori, previsto dall'articolo 2622, terzo comma, del codice civile, la sanzione pecuniaria da quattrocento a seicento quote;] (7)
d) per la contravvenzione di falso in prospetto, prevista dall'articolo 2623, primo comma, del codice civile, la sanzione pecuniaria da duecento a duecentosessanta quote (2);
e) per il delitto di falso in prospetto, previsto dall'articolo 2623, secondo comma, del codice civile, la sanzione pecuniaria da quattrocento a seicentosessanta quote (2);
f) per la contravvenzione di falsità nelle relazioni o nelle comunicazioni delle società di revisione, prevista dall'articolo 2624, primo comma, del codice civile, la sanzione pecuniaria da duecento a duecentosessanta quote (2);
g) per il delitto di falsità nelle relazioni o nelle comunicazioni delle società di revisione, previsto dall'articolo 2624, secondo comma, del codice civile, la sanzione pecuniaria da quattrocento a ottocento quote (2);
h) per il delitto di impedito controllo, previsto dall'articolo 2625, secondo comma, del codice civile, la sanzione pecuniaria da duecento a trecentosessanta quote (2);
i) per il delitto di formazione fittizia del capitale, previsto dall'articolo 2632 del codice civile, la sanzione pecuniaria da duecento a trecentosessanta quote (2);
l) per il delitto di indebita restituzione dei conferimenti, previsto dall'articolo 2626 del codice civile, la sanzione pecuniaria da duecento a trecentosessanta quote (2);
m) per la contravvenzione di illegale ripartizione degli utili e delle riserve, prevista dall'articolo 2627 del codice civile, la sanzione pecuniaria da duecento a duecentosessanta quote (2);
n) per il delitto di illecite operazioni sulle azioni o quote sociali o della società controllante, previsto dall'articolo 2628 del codice civile, la sanzione pecuniaria da duecento a trecentosessanta quote (2);
o) per il delitto di operazioni in pregiudizio dei creditori, previsto dall'articolo 2629 del codice civile, la sanzione pecuniaria da trecento a seicentosessanta quote (2);
p) per il delitto di indebita ripartizione dei beni sociali da parte dei liquidatori, previsto dall'articolo 2633 del codice civile, la sanzione pecuniaria da trecento a seicentosessanta quote (2);
q) per il delitto di illecita influenza sull'assemblea, previsto dall'articolo 2636 del codice civile, la sanzione pecuniaria da trecento a seicentosessanta quote (2);
r) per il delitto di aggiotaggio, previsto dall'articolo 2637 del codice civile e per il delitto di omessa comunicazione del conflitto d'interessi previsto dall'articolo 2629-bis del codice civile, la sanzione pecuniaria da quattrocento a mille quote (2) (3);
s) per i delitti di ostacolo all'esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza, previsti dall'articolo 2638, primo e secondo comma, del codice civile, la sanzione pecuniaria da quattrocento a ottocento quote (2);
s-bis) per il delitto di corruzione tra privati, nei casi previsti dal terzo comma dell'articolo 2635 del codice civile, la sanzione pecuniaria da duecento a quattrocento quote. (4)
3. Se, in seguito alla commissione dei reati di cui al comma 1, l'ente ha conseguito un profitto di rilevante entità, la sanzione pecuniaria è aumentata di un terzo. (5)
(1) Articolo inserito dall'art. 3 del D.Lgs. 11 aprile 2002, n. 61.
(2) A norma dell'articolo 39, comma 5 della legge 28 dicembre 2005, n. 262 le pene pecuniarie previste dal presente articolo sono state raddoppiate e, quindi, qui indicate già raddoppiate.
(3) Lettera modificata dall'articolo 31 della legge 28 dicembre 2005, n. 262.
(4) Comma inserito ex Lege n. 6 novembre 2012, n. 190, recante "Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione", (in GU n. 265 del 13/11/2012; in vigore dal 28/11/2012).
(5) Comma inserito ex art. 3, D.Lgs. 11 aprile 2002, n. 61. La numerazione dei commi del presente articolo è così riportata nella Gazzetta Ufficiale ed appare priva del riferimento al comma 2.
(5) Articolo inserito o novellato ex L. 68/2015 (in vigore dal 29 maggio 2015).
(7) Lettera abrogata ex L. 68/2015 (in vigore dal 29 maggio 2015).
- Riferimenti normativi:
2621 c.c. False comunicazioni sociali
[I]. Salvo quanto previsto dall'articolo 2622, gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori, i quali, con l'intenzione di ingannare i soci o il pubblico e al fine di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto, nei bilanci, nelle relazioni o nelle altre comunicazioni sociali previste dalla legge, dirette ai soci o al pubblico, espongono fatti materiali non rispondenti al vero ancorché oggetto di valutazioni ovvero omettono informazioni la cui comunicazione è imposta dalla legge sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale essa appartiene, in modo idoneo ad indurre in errore i destinatari sulla predetta situazione, sono puniti con l'arresto fino a due anni.
[II]. La punibilità è estesa anche al caso in cui le informazioni riguardino beni posseduti o amministrati dalla società per conto di terzi.
[III]. La punibilità è esclusa se le falsità o le omissioni non alterano in modo sensibile la rappresentazione della situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale essa appartiene. La punibilità è comunque esclusa se le falsità o le omissioni determinano una variazione del risultato economico di esercizio, al lordo delle imposte, non superiore al 5 per cento o una variazione del patrimonio netto non superiore all'1 per cento.
[IV]. In ogni caso il fatto non è punibile se conseguenza di valutazioni estimative che, singolarmente considerate, differiscono in misura non superiore al 10 per cento da quella corretta.
[V]. Nei casi previsti dai commi terzo e quarto, ai soggetti di cui al primo comma sono irrogate la sanzione amministrativa da dieci a cento quote e l'interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese da sei mesi a tre anni, dall'esercizio dell'ufficio di amministratore, sindaco, liquidatore, direttore generale e dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili societari, nonché da ogni altro ufficio con potere di rappresentanza della persona giuridica o dell'impresa.
art. 2621-bis c.c. Fatti di lieve entità.
[I]. Salvo che costituiscano più grave reato, si applica la pena da sei mesi a tre anni di reclusione se i fatti di cui all'articolo 2621 sono di lieve entità, tenuto conto della natura e delle dimensioni della società e delle modalità o degli effetti della condotta.
[II]. Salvo che costituiscano più grave reato, si applica la stessa pena di cui al comma precedente quando i fatti di cui all'articolo 2621 riguardano società che non superano i limiti indicati dal secondo comma dell'articolo 1 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267. In tale caso, il delitto è procedibile a querela della società, dei soci, dei creditori o degli altri destinatari della comunicazione sociale.
art. 2622 c.c. False comunicazioni sociali delle società quotate.
[I] Gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori di società emittenti strumenti finanziari ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato italiano o di altro Paese dell'Unione europea, i quali, al fine di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto, nei bilanci, nelle relazioni o nelle altre comunicazioni sociali dirette ai soci o al pubblico consapevolmente espongono fatti materiali non rispondenti al vero ovvero omettono fatti materiali rilevanti la cui comunicazione è imposta dalla legge sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale la stessa appartiene, in modo concretamente idoneo ad indurre altri in errore, sono puniti con la pena della reclusione da tre a otto anni.
[II] Alle società indicate nel comma precedente sono equiparate:
1) le società emittenti strumenti finanziari per i quali è stata presentata una richiesta di ammissione alla negoziazione in un mercato regolamentato italiano o di altro Paese dell'Unione europea;
2) le società emittenti strumenti finanziari ammessi alla negoziazione in un sistema multilaterale di negoziazione italiano;
3) le società che controllano società emittenti strumenti finanziari ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato italiano o di altro Paese dell'Unione europea;
4) le società che fanno appello al pubblico risparmio o che comunque lo gestiscono.
[III] Le disposizioni di cui ai commi precedenti si applicano anche se le falsità o le omissioni riguardano beni posseduti o amministrati dalla società per conto di terzi .
2623 c.c. Falso in prospetto
Articolo abrogato dall'art. 34, co. II, L 28 dicembre 2005, n. 262.
in merito al mancato espresso richiamo all'art. 173-Bis TUIF (art. 173-Bis: "Falso in prospetto" introdotto con L. 262/05 nel Testo Unico delle disposizioni in materia di Intermediazione Finanziaria -D.Lgs 24.02.1998, n. 58), Cfr. Juris sub art. 25-Ter, lett. g): Cass. sez.un. n.34476 del 23 giugno 2011: "Il delitto di cui all'art. 174-bis non è incluso nell'elenco dei reati previsti dall'art. 25 ter d. lgs. n. 231 del 2001". CED Cass. Pen. 2011.
2624 c.c. Falsità nelle relazioni o nelle comunicazioni delle società di revisione
Articolo abrogato dall'art. 37, p.to XXXIV, del d.lgs. 27 gennaio 2010, n. 39 (Attuazione della direttiva 2006/43/CE, relativa alle revisioni legali dei conti annuali e dei conti consolidati).
In merito al mancato espresso richiamo all'art. 174-Bis TUIF (art. 174-Bis: "Falsità nelle relazioni o nelle comunicaizoni delle società di revisione" Testo Unico delle disposizioni in materia di Intermediazione Finanziaria -D.Lgs 24.02.1998, n. 58 - formalmente abrogato ex art. 40, D.Lgs n. 39/2010), ed alla presunta sostituzione del medesimo con l'art. 27 D.Lgs n. 39/2010, rubricato: "Falsità nelle relazioni o nelle comunicaizoni dei responsabili della revisione legale", vedasi:
· Cass. sez. un. n.34476 del 23 giugno 2011: "Il delitto di cui all'art. 174-bis non è incluso nell'elenco dei reati previsti dall'art. 25 ter d. lgs. n. 231 del 2001". CED Cass. Pen. 2011.
2625 c.c. Impedito controllo
[I]. Gli amministratori che, occultando documenti o con altri idonei artifici, impediscono o comunque ostacolano lo svolgimento delle attività di controllo legalmente attribuite ai soci, o ad altri organi sociali, sono puniti con la sanzione amministrativa pecuniaria fino a 10.329 euro.
[comma II]. Se la condotta ha cagionato un danno ai soci, si applica la reclusione fino ad un anno e si procede a querela della persona offesa.
[III]. La pena è raddoppiata se si tratta di società con titoli quotati in mercati regolamentati italiani o di altri Stati dell'Unione europea o diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'articolo 116 del testo unico di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58.
2626 c.c. Indebita restituzione dei conferimenti
[I]. Gli amministratori che, fuori dei casi di legittima riduzione del capitale sociale, restituiscono, anche simulatamente, i conferimenti ai soci o li liberano dall'obbligo di eseguirli, sono puniti con la reclusione fino ad un anno.
2627 c.c. Illegale ripartizione degli utili e delle riserve
[I]. Salvo che il fatto non costituisca più grave reato, gli amministratori che ripartiscono utili o acconti su utili non effettivamente conseguiti o destinati per legge a riserva, ovvero che ripartiscono riserve, anche non costituite con utili, che non possono per legge essere distribuite, sono puniti con l'arresto fino ad un anno.
[II]. La restituzione degli utili o la ricostituzione delle riserve prima del termine previsto per l'approvazione del bilancio estingue il reato.
2628 c.c. Illecite operazioni sulle azioni o quote sociali o della società controllante
[I]. Gli amministratori che, fuori dei casi consentiti dalla legge, acquistano o sottoscrivono azioni o quote sociali, cagionando una lesione all'integrità del capitale sociale o delle riserve non distribuibili per legge, sono puniti con la reclusione fino ad un anno.
[II]. La stessa pena si applica agli amministratori che, fuori dei casi consentiti dalla legge, acquistano o sottoscrivono azioni o quote emesse dalla società controllante, cagionando una lesione del capitale sociale o delle riserve non distribuibili per legge.
[III]. Se il capitale sociale o le riserve sono ricostituiti prima del termine previsto per l'approvazione del bilancio relativo all'esercizio in relazione al quale è stata posta in essere la condotta, il reato è estinto.
2629 c.c. operazioni in pregiudizio dei creditori
[I]. Gli amministratori che, in violazione delle disposizioni di legge a tutela dei creditori, effettuano riduzioni del capitale sociale o fusioni con altra società o scissioni, cagionando danno ai creditori, sono puniti, a querela della persona offesa, con la reclusione da sei mesi a tre anni.
[II]. Il risarcimento del danno ai creditori prima del giudizio estingue il reato.
2629-Bis c.c. Omessa comunicazione del conflitto d'interessi
[I]. L'amministratore o il componente del consiglio di gestione di una società con titoli quotati in mercati regolamentati italiani o di altro Stato dell'Unione europea o diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'articolo 116 del testo unico di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, e successive modificazioni, ovvero di un soggetto sottoposto a vigilanza ai sensi del testo unico di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, del citato testo unico di cui al decreto legislativo n. 58 del 1998, del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209 (2), o del decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124, che vìola gli obblighi previsti dall'articolo 2391, primo comma, è punito con la reclusione da uno a tre anni, se dalla violazione siano derivati danni alla società o a terzi.
2633 c.c. Indebita ripartizione dei beni sociali da parte dei liquidatori
[I] I liquidatori che, ripartendo i beni sociali tra i soci prima del pagamento dei creditori sociali o dell'accantonamento delle somme necessario a soddisfarli, cagionano danno ai creditori, sono puniti, a querela della persona offesa, con la reclusione da sei mesi a tre anni.
[II]. Il risarcimento del danno ai creditori prima del giudizio estingue il reato.
Art. 2635 c.c. - Corruzione tra privati (*)
[I]. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori, che, a seguito della dazione o della promessa di denaro o altra utilità, per sé o per altri, compiono od omettono atti, in violazione degli obblighi inerenti al loro ufficio o degli obblighi di fedeltà, cagionando nocumento alla società, sono puniti con la reclusione da uno a tre anni.
[II]. Si applica la pena della reclusione fino a un anno e sei mesi se il fatto è commesso da chi è sottoposto alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti indicati al primo comma.
[III]. Chi dà o promette denaro o altra utilità alle persone indicate nel primo e nel secondo comma è punito con le pene ivi previste.
[IV]. Le pene stabilite nei commi precedenti sono raddoppiate se si tratta di società con titoli quotati in mercati regolamentati italiani o di altri Stati dell'Unione europea o diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'articolo 116 del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, e successive modificazioni
[V]. Si procede a querela della persona offesa, salvo che dal fatto derivi una distorsione della concorrenza nella acquisizione di beni o servizi (*)
(*) Rubrica e articolo novellati ex Lege n. 6 novembre 2012, n. 190, recante "Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione", (in GU n. 265 del 13/11/2012; in vigore dal 28/11/2012).
2636 c.c. Illecita influenza sull'assemblea
[I]. Chiunque, con atti simulati o fraudolenti, determina la maggioranza in assemblea, allo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.
2637 c.c. Aggiotaggio
[I]. Chiunque diffonde notizie false, ovvero pone in essere operazioni simulate o altri artifici concretamente idonei a provocare una sensibile alterazione del prezzo di strumenti finanziari non quotati o per i quali non è stata presentata una richiesta di ammissione alle negoziazioni in un mercato regolamentato, ovvero ad incidere in modo significativo sull'affidamento che il pubblico ripone nella stabilità patrimoniale di banche o di gruppi bancari, è punito con la pena della reclusione da uno a cinque anni.
2638 Ostacolo all'esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza
[comma I]. Gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari (2), i sindaci e i liquidatori di società o enti e gli altri soggetti sottoposti per legge alle autorità pubbliche di vigilanza, o tenuti ad obblighi nei loro confronti, i quali nelle comunicazioni alle predette autorità previste in base alla legge, al fine di ostacolare l'esercizio delle funzioni di vigilanza, espongono fatti materiali non rispondenti al vero, ancorché oggetto di valutazioni, sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria dei sottoposti alla vigilanza ovvero, allo stesso fine, occultano con altri mezzi fraudolenti, in tutto o in parte fatti che avrebbero dovuto comunicare, concernenti la situazione medesima, sono puniti con la reclusione da uno a quattro anni. La punibilità è estesa anche al caso in cui le informazioni riguardino beni posseduti o amministrati dalla società per conto di terzi.
[comma II]. Sono puniti con la stessa pena gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari (2), i sindaci e i liquidatori di società, o enti e gli altri soggetti sottoposti per legge alle autorità pubbliche di vigilanza o tenuti ad obblighi nei loro confronti, i quali, in qualsiasi forma, anche omettendo le comunicazioni dovute alle predette autorità, consapevolmente ne ostacolano le funzioni.
[III]. La pena è raddoppiata se si tratta di società con titoli quotati in mercati regolamentati italiani o di altri Stati dell'Unione europea o diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'articolo 116 del testo unico di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58.
- Giurisprudenza
· La formulazione normativa dell' art. 25-ter del D.Lgs. 231/01 ("Reati societari"), che menziona solo l'interesse dell'ente, opera più apparentemente che sostanzialmente un allontanamento dai criteri di imputazione generale previsti dall' art. 5 del D.Lgs. 231/01 (interesse o vantaggio), criteri che pertanto trovano applicazione anche in ambito societario nonostante la dubbia tecnica di redazione del testo di legge. Cass. pen. Sez. V, 04-03-2014, n. 10265; Rivista231.it.
· Nel caso di reato presupposto di formazione fittizia del capitale la misura dell'incremento fittizio del patrimonio individua non solo l'interesse dell'ente, concorrente con quello proprio della persona fisica, quale criterio di ascrizione della responsabilità amministrativa da reato, ma anche il vantaggio o meglio la misura del profitto confiscabile. Cass. pen. Sez. II, 12-03-2014, n. 16359; Rivista231.it
· In tema di responsabilità da reato dell'ente, i criteri di imputazione oggettiva previsti in generale dall' art.5, comma primo, D.Lgs 231/2001 trovano applicazione anche con riferimento ai reati societari elencati nel successivo art. 25 ter del decreto. (Annulla in parte senza rinvio, App. Milano, 25/01/2012) Cass. pen. Sez. V, 28-11-2013, n. 10265 (rv. 258576); Rivista231.it.
· In tema di responsabilità degli enti per il delitto di false comunicazioni sociali, qualora l'appostazione nel bilancio di una società di dati infedeli è finalizzata a far conseguire alla medesima illeciti risparmi fiscali il reato deve ritenersi commesso nell'interesse della persona giuridica. (Annulla con rinvio, App. Roma, 04 febbraio 2011). Cass. pen. Sez. V, 26-04-2012, n. 40380 (rv. 253355). Rivista231.it.
· Costituisce profitto confiscabile ex art. 19, D.Lgs 231/01 anche l'incremento del "patrimonio disponibile" conseguente alla scelta di sottostimare, nella rappresentazione contabile della situazione economica della società, lo stanziamento a copertura del rischio di credito, in quanto in questo modo si pone a disposizione dell'ente bancario una maggiore dotazione di mezzi patrimoniali da impiegare nell'attività corrente. La disponibilità economica artificiosamente procurata per quella via non costituisce una mera aspettativa ma un cespite immediatamente e concretamente utilizzabile e pertanto rientrabile nel complesso dei vantaggi economici rispetto ai quali è possibile disporre la confisca. App. Milano Sez. II, 25.01.2012; Rivista231.it.
· In caso di pluralità di reati presupposto della responsabilità della persona giuridica, ciascun fatto è indipendente ai fini della valutazione dell'interesse dell'ente, con la conseguenza che i benefici immediatamente conseguenti alla commissione di illeciti societari e finanziari non vengono meno in ragione del danno finale derivante dalla commissione, solo occasionale, di ulteriori illeciti. App. Milano Sez. II, 25.01.2012; Rivista231.it.
· L'interesse o il vantaggio cui fa riferimento l' art. 5 D.Lgs 231/01 devono essere valutati alla stregua della complessa organizzazione che secondo dati di comune esperienza hanno oramai assunto i gruppi economico- finanziari. Da ciò discende che la loro incidenza non può essere rapportata esclusivamente con riferimento ad una singola società appartenente ad un gruppo ma deve essere considerata anche con riguardo alla ricadute di utilità che in una struttura articolata si verificano anche nei confronti delle altre società collegate. Trib. Milano, 28.10.2011 in Rivista231.it
· Il delitto di falsità nelle relazioni e nelle comunicazioni delle società di revisione, già previsto dall'abrogato art. 174-bis D.Lgs. n. 58 del 1998 ed ora configurato dall'art. 27 D.Lgs. n. 39 del 2010, non è richiamato nei cataloghi dei reati presupposto della responsabilità da reato degli enti che non menzionano le surrichiamate disposizioni e conseguentemente non può costituire il fondamento della suddetta responsabilità. (In motivazione la Corte ha altresì precisato che anche l'analoga fattispecie prevista dall'art. 2624 cod. civ., norma già inserita nei suddetti cataloghi, non può essere più considerata fonte della menzionata responsabilità atteso che il D.Lgs. n. 39 del 2010 ha provveduto ad abrogare anche il citato articolo). Leggasi altresì in parte motiva: "Il delitto di cui all'art. 174-bis non è incluso nell'elenco dei reati previsti dall'art. 25 ter d. lgs. n. 231 del 2001". Cass. Sez. Un., n. 34476 del 23/06/2011 Cc. (dep. 22/09/2011 ) Rv. 250347. in Ced Cass. Pen.
· Nell'ipotesi di reato prevista dall'art. 10 d.lg. n. 74/00 (occultamento di documenti contabili), il reato è sì addebitabile all'indagato, ma le conseguenze patrimoniali ricadono sulla società a favore della quale la persona fisica ha agito, salvo che si dimostri che vi è stata una rottura del rapporto organico; sicchè il sequestro per equivalente dei beni dell'ente può essere disposto anche per tale illecito, seppur non previsto dal d.lg. n. 231/01. Cass.Pen., sez. III, n. 28731 del 7 giugno 2011, in Diritto & Giustizia 2011, 22 luglio.
· In tema di responsabilità da reato degli enti, la società deve essere dichiarata non punibile ex art. 6, D.Lgs 231/01, per l'illecito amministrativo dipendente dai reati di cui all'art. 2367 c.c. (art. 25-ter, lett. r) commessi dal presidente del consiglio di amministrazione e dall'amministratore delegato qualora i comportamenti illeciti oggetto di imputazione non siano frutto di un errato modello organizzativo, ma siano da addebitare al comportamento dei vertici della società, in contrasto con le regole interne del modello organizzativo regolarmente adottato, modello che appare dunque eluso da detti vertici. Uff. indagini preliminari Milano, 08.01.2010; Rivista231.it.
Art. 25-Quater
Delitti con finalità di terrorismo o di eversione dell'ordine democratico (1)
* * *
1. In relazione alla commissione dei delitti aventi finalità di terrorismo o di eversione dell'ordine democratico, previsti dal codice penale e dalle leggi speciali, si applicano all'ente le seguenti sanzioni pecuniarie:
a) se il delitto è punito con la pena della reclusione inferiore a dieci anni, la sanzione pecuniaria da duecento a settecento quote;
b) se il delitto è punito con la pena della reclusione non inferiore a dieci anni o con l'ergastolo, la sanzione pecuniaria da quattrocento a mille quote.
2. Nei casi di condanna per uno dei delitti indicati nel comma 1, si applicano le sanzioni interdittive previste dall' articolo 9 , comma 2, per una durata non inferiore ad un anno.
3. Se l'ente o una sua unità organizzativa viene stabilmente utilizzato allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione dei reati indicati nel comma 1, si applica la sanzione dell'interdizione definitiva dall'esercizio dell'attività ai sensi dell' articolo 16 , comma 3.
4. Le disposizioni dei commi 1, 2 e 3 si applicano altresì in relazione alla commissione di delitti, diversi da quelli indicati nel comma 1, che siano comunque stati posti in essere in violazione di quanto previsto dall'articolo 2 della Convenzione internazionale per la repressione del finanziamento del terrorismo fatta a New York il 9 dicembre 1999.
(1) Articolo inserito dall'articolo 3 della legge 14 gennaio 2003, n. 7.
- Riferimenti normativi:
Articolo 2 della Convenzione internazionale per la repressione del finanziamento del terrorismo - New York il 9 dicembre 1999
[I]. Commette reato ai sensi della presente Convenzione ogni persona che, con qualsiasi mezzo, direttamente o indirettamente, illecitamente e deliberatamente fornisce o raccoglie fondi nell'intento di vederli utilizzati, o sapendo che saranno utilizzati, in tutto o in parte, al fine di commettere:
a) un atto che costituisce reato ai sensi e secondo la definizione di uno dei trattati enumerati nell'allegato;
b) ogni altro atto destinato ad uccidere o a ferire gravemente un civile o ogni altra persona che non partecipa direttamente alle ostilità in una situazione di conflitto armato quando, per sua natura o contesto, tale atto sia finalizzato ad intimidire una popolazione o a costringere un governo o un'organizzazione internazionale a compiere o ad astenersi dal compiere, un atto qualsiasi.
[II]. a) Nel depositare il suo strumento di ratifica, di accettazione, di approvazione o di adesione, lo Stato Parte che non ha aderito ad un trattato elencato nell'allegato di cui al comma a) del paragrafo 1 del presente articolo può dichiarare che, qualora la presente Convenzione gli sia applicata, tale trattato è considerato non figurare in detto allegato. Tale dichiarazione si annulla non appena il trattato entra in vigore per lo Stato Parte, che ne fa notifica al depositario.
b) Lo Stato Parte che cessa di essere parte ad un trattato elencato nell'allegato, può fare, riguardo a tale trattato, la dichiarazione prevista nel presente articolo.
[III]. Affinché un atto costituisca reato ai sensi del paragrafo 1 del presente articolo, non occorre che i fondi siano stati effettivamente utilizzati per commettere un reato di cui ai commi a) o b) del medesimo paragrafo 1.
[IV]. Commette altresì reato chiunque tenti di commettere reato ai sensi del paragrafo 1 del presente articolo.
[V]. Commette altresì reato chiunque:
a) partecipa in quanto complice ad un reato ai sensi dei paragrafi 1 o 4 del presente articolo;
b) organizza la perpetrazione di un reato ai sensi dei paragrafi 1 o 4 del presente articolo o dà ordine ad altre persone di commetterlo;
c) contribuisce alla perpetrazione di uno o più dei reati di cui ai paragrafi 1 o 4 del presente articolo, ad opera di un gruppo che agisce di comune accordo. Tale contributo deve essere deliberato e deve:
i) sia mirare ad agevolare l'attività criminale del gruppo o servire ai suoi scopi, se tale attività o tali scopi presuppongono la perpetrazione di un reato ai sensi del paragrafo 1 del presente articolo;
ii) sia essere fornito sapendo che il gruppo ha intenzione di commettere un reato ai sensi del paragrafo 1 del presente articolo.
- Sanzioni interdittive (D.Lgs 231/01 9, Art. 9, comma 2, lettere a), b), c), d) ed e)):
a) l'interdizione dall'esercizio dell'attività;
b) la sospensione o la revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell'illecito;
c) il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio;
d) l'esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l'eventuale revoca di quelli già concessi;
e) il divieto di pubblicizzare beni o servizi.
- Sanzioni interdittive applicate in via definitiva - estratto dell' Art. 16 D.Lgs 231/01 -
[comma 3]. Se l'ente o una sua unità organizzativa viene stabilmente utilizzato allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione di reati in relazione ai quali è prevista la sua responsabilità è sempre disposta l'interdizione definitiva dall'esercizio dell'attività e non si applicano le disposizioni previste dall'articolo 17.
Art. 25-Quater.1
Pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili (1)
*
1. In relazione alla commissione dei delitti di cui all'articolo 583-bis del codice penale si applicano all'ente, nella cui struttura è commesso il delitto, la sanzione pecuniaria da 300 a 700 quote e le sanzioni interdittive previste dall'articolo 9, comma 2, per una durata non inferiore ad un anno. Nel caso in cui si tratti di un ente privato accreditato è altresì revocato l'accreditamento.
2. Se l'ente o una sua unità organizzativa viene stabilmente utilizzato allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione dei delitti indicati al comma 1, si applica la sanzione dell'interdizione definitiva dall'esercizio dell'attività ai sensi dell'articolo 16, comma 3.
(1) Articolo inserito dall'articolo 3 della legge 9 gennaio 2006, n. 7.
- Riferimenti normativi:
583-Bis c.p. Pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili
[I]. Chiunque, in assenza di esigenze terapeutiche, cagiona una mutilazione degli organi genitali femminili è punito con la reclusione da quattro a dodici anni. Ai fini del presente articolo, si intendono come pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili la clitoridectomia, l'escissione e l'infibulazione e qualsiasi altra pratica che cagioni effetti dello stesso tipo.
[II]. Chiunque, in assenza di esigenze terapeutiche, provoca, al fine di menomare le funzioni sessuali, lesioni agli organi genitali femminili diverse da quelle indicate al primo comma, da cui derivi una malattia nel corpo o nella mente, è punito con la reclusione da tre a sette anni. La pena è diminuita fino a due terzi se la lesione è di lieve entità.
[III]. La pena è aumentata di un terzo quando le pratiche di cui al primo e al secondo comma sono commesse a danno di un minore ovvero se il fatto è commesso per fini di lucro.
[IV]. La condanna ovvero l'applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell'articolo 444 del codice di procedura penale per il reato di cui al presente articolo comporta, qualora il fatto sia commesso dal genitore o dal tutore, rispettivamente:
1) la decadenza dall'esercizio della responsabilità genitoriale;
2) l'interdizione perpetua da qualsiasi ufficio attinente alla tutela, alla curatela e all'amministrazione di sostegno.
[V]. Le disposizioni del presente articolo si applicano altresì quando il fatto è commesso all'estero da cittadino italiano o da straniero residente in Italia, ovvero in danno di cittadino italiano o di straniero residente in Italia. In tal caso, il colpevole è punito a richiesta del Ministro della giustizia.
- Sanzioni interdittive (D.Lgs 231/01 9, Art. 9, comma 2, lettere a), b), c), d) ed e)):
a) l'interdizione dall'esercizio dell'attività;
b) la sospensione o la revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell'illecito;
c) il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio;
d) l'esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l'eventuale revoca di quelli già concessi;
e) il divieto di pubblicizzare beni o servizi.
- Sanzioni interdittive applicate in via definitiva - estratto dell' Art. 16 D.Lgs 231/01 -
[comma 3]. Se l'ente o una sua unità organizzativa viene stabilmente utilizzato allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione di reati in relazione ai quali è prevista la sua responsabilità è sempre disposta l'interdizione definitiva dall'esercizio dell'attività e non si applicano le disposizioni previste dall'articolo 17.
Art. 25-Quinquies
Delitti contro la personalità individuale. (1)
* * *
1. In relazione alla commissione dei delitti previsti dalla sezione I del capo III del titolo XII del libro II del codice penale si applicano all'ente le seguenti sanzioni pecuniarie:
a) per i delitti di cui agli articoli 600, 601 e 602 , la sanzione pecuniaria da quattrocento a mille quote;
b) per i delitti di cui agli articoli 600-bis, primo comma, 600-ter, primo e secondo comma, anche se relativi al materiale pornografico di cui all'articolo 600-quater.1, e 600-quinquies , la sanzione pecuniaria da trecento a ottocento quote (2);
c) per i delitti di cui agli articoli 600-bis , secondo comma, 600-ter , terzo e quarto comma, e 600-quater, anche se relativi al materiale pornografico di cui all'articolo 600-quater.1,nonché per il delitto di cui all'articolo 609-undecies la sanzione pecuniaria da duecento a settecento quote (2).
2. Nei casi di condanna per uno dei delitti indicati nel comma 1, lettere a) e b), si applicano le sanzioni interdittive previste dall' articolo 9, comma 2, per una durata non inferiore ad un anno.
3. Se l'ente o una sua unità organizzativa viene stabilmente utilizzato allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione dei reati indicati nel comma 1, si applica la sanzione dell'interdizione definitiva dall'esercizio dell'attività ai sensi dell' articolo 16, comma 3.
(1) Articolo inserito dall'articolo 5 della legge 11 agosto 2003, n. 228.
(2) Lettera modificata dall'articolo 10 della legge 6 febbraio 2006, n. 38.
- Riferimenti normativi:
Titolo XII
Dei delitti contro la persona
Capo III
Dei delitti contro la libertà individuale
Sezione I
Dei delitti contro la personalità individuale
600 c.p. Riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù
[I]. Chiunque esercita su una persona poteri corrispondenti a quelli del diritto di proprietà ovvero chiunque riduce o mantiene una persona in uno stato di soggezione continuativa, costringendola a prestazioni lavorative o sessuali ovvero all'accattonaggio o comunque al compimento di attività illecite che ne comportino lo sfruttamento ovvero a sottoporsi al prelievo di organi, è punito con la reclusione da otto a venti anni.
[II]. La riduzione o il mantenimento nello stato di soggezione ha luogo quando la condotta è attuata mediante violenza, minaccia, inganno, abuso di autorità o approfittamentodi una situazione di vulnerabilità, di una situazione di inferiorità fisica o psichica o di una situazione di necessità, o mediante la promessa o la dazione di somme di denaro o di altri vantaggi a chi ha autorità sulla persona.
[III]. Comma abrogato ex art. 3 L. 108/2010 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d'Europa sulla lotta contro la tratta di esseri umani), ove si enunciava: "La pena è aumentata da un terzo alla metà se i fatti di cui al primo comma sono commessi in danno di minore degli anni diciotto o sono diretti allo sfruttamento della prostituzione o al fine di sottoporre la persona offesa al prelievo di organi".
600-Bis c.p. Prostituzione minorile
[comma I]. È punito con la reclusione da sei a dodici anni e con la multa da euro 15.000 a euro 150.000 chiunque:
1) recluta o induce alla prostituzione una persona di età inferiore agli anni diciotto;
2) favorisce, sfrutta, gestisce, organizza o controlla la prostituzione di una persona di età inferiore agli anni diciotto, ovvero altrimenti ne trae profitto.
[comma II]. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque compie atti sessuali con un minore di età compresa tra i quattordici e i diciotto anni, in cambio di un corrispettivo in denaro o altra utilità, anche solo promessi, è punito con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da euro 1.500 a euro 6.000
600-Ter c.p. Pornografia minorile
[I]. È punito con la reclusione da sei a dodici anni e con la multa da euro 24.000 a euro 240.000 chiunque:
1) utilizzando minori di anni diciotto, realizza esibizioni o spettacoli pornografici ovvero produce materiale pornografico;
2) recluta o induce minori di anni diciotto a partecipare a esibizioni o spettacoli pornografici ovvero dai suddetti spettacoli trae altrimenti profitto.
[II]. Alla stessa pena soggiace chi fa commercio del materiale pornografico di cui al primo comma.
[III]. Chiunque, al di fuori delle ipotesi di cui al primo e al secondo comma, con qualsiasi mezzo, anche per via telematica, distribuisce, divulga, diffonde o pubblicizza il materiale pornografico di cui al primo comma, ovvero distribuisce, divulga o diffonde notizie o informazioni finalizzate all'adescamento o allo sfruttamento sessuale di minori degli anni diciotto, è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da 2.582 euro a 51.645 euro.
[IV]. Chiunque al di fuori delle ipotesi di cui ai commi primo, secondo e terzo, offre o cede ad altri, anche a titolo gratuito, il materiale pornografico di cui al primo comma, è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa da euro 1.549 a euro 5.164.
[V]. Nei casi previsti dal terzo e dal quarto comma la pena è aumentata in misura non eccedente i due terzi ove il materiale sia di ingente quantità.
[VI]. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque assiste a esibizioni o spettacoli pornografici in cui siano coinvolti minori di anni diciotto è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa da euro 1.500 a euro 6.000.
600-Quater c.p. Detenzione di materiale pornografico
[I]. Chiunque, al di fuori delle ipotesi previste dall'articolo 600-ter, consapevolmente si procura o detiene materiale pornografico realizzato utilizzando minori degli anni diciotto, è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa non inferiore a euro 1.549
[II]. La pena è aumentata in misura non eccedente i due terzi ove il materiale detenuto sia di ingente quantità.
600-Quater.1 c.p. Pornografia virtuale.
[I]. Le disposizioni di cui agli articoli 600-ter e 600-quater si applicano anche quando il materiale pornografico rappresenta immagini virtuali realizzate utilizzando immagini di minori degli anni diciotto o parti di esse, ma la pena è diminuita di un terzo.
[II]. Per immagini virtuali si intendono immagini realizzate con tecniche di elaborazione grafica non associate in tutto o in parte a situazioni reali, la cui qualità di rappresentazione fa apparire come vere situazioni non reali.
600-Quinquies c.p. Iniziative turistiche volte allo sfruttamento della prostituzione minorile
[I]. Chiunque organizza o propaganda viaggi finalizzati alla fruizione di attività di prostituzione a danno di minori o comunque comprendenti tale attività è punito con la reclusione da sei a dodici anni e con la multa da 15.493 euro a 154.937 euro.
601 c.p. Tratta di persone
[I]. È punito con la reclusione da otto a venti anni chiunque recluta, introduce nel territorio dello Stato, trasferisce anche al di fuori di esso, trasporta, cede l'autorità sulla persona, ospita una o più persone che si trovano nelle condizioni di cui all'articolo 600 , ovvero, realizza le stesse condotte su una o più persone, mediante inganno, violenza, minaccia, abuso di autorità o approfittamento di una situazione di vulnerabilità, di inferiorità fisica, psichica o di necessità, o mediante promessa o dazione di denaro o di altri vantaggi alla persona che su di essa ha autorità, al fine di indurle o costringerle a prestazioni lavorative, sessuali ovvero all'accattonaggio o comunque al compimento di attività illecite che ne comportano lo sfruttamento o a sottoporsi al prelievo di organi.
[II]. Alla stessa pena soggiace chiunque, anche al di fuori delle modalità di cui al primo comma, realizza le condotte ivi previste nei confronti di persona minore di età
602 c.p. Acquisto e alienazione di schiavi
[I]. Chiunque, fuori dei casi indicati nell'articolo 601, acquista o aliena o cede una persona che si trova in una delle condizioni di cui all'articolo 600 è punito con la reclusione da otto a venti anni.
[II]. Comma abrogato ex art. 3 L. 108/2010 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d'Europa sulla lotta contro la tratta di esseri umani), ove si enunciava: "La pena è aumentata da un terzo alla metà se la persona offesa è minore degli anni diciotto ovvero se i fatti di cui al primo comma sono diretti allo sfruttamento della prostituzione o al fine di sottoporre la persona offesa al prelievo di organi"
602-ter c.p. Circostanze aggravanti (1)
[I]. La pena per i reati previsti dagli articoli 600, 601 e 602 e' aumentata da un terzo alla meta':
a) se la persona offesa e' minore degli anni diciotto;
b) se i fatti sono diretti allo sfruttamento della prostituzione o al fine di sottoporre la persona offesa al prelievo di organi;
c) se dal fatto deriva un grave pericolo per la vita o l'integrita' fisica o psichica della persona offesa.
[II]. Se i fatti previsti dal titolo VII, capo III, del presente libro sono commessi al fine di realizzare od agevolare i delitti di cui agli articoli 600, 601 e 602, le pene ivi previste sono aumentate da un terzo alla metà.
[III]. Nei casi previsti dagli articoli 600-bis, primo comma, e 600-ter , la pena è aumentata da un terzo alla metà se il fatto è commesso con violenza o minaccia.
[IV]. Nei casi previsti dagli articoli 600-bis , primo e secondo comma, 600-ter, primo comma, e 600-quinquies, la pena è aumentata da un terzo alla metà se il fatto è commesso approfittando della situazione di necessità del minore.
[V]. Nei casi previsti dagli articoli 600-bis , primo e secondo comma, 600-ter e 600-quinquies, nonché dagli articoli 600, 601 e 602 , la pena è aumentata dalla metà ai due terzi se il fatto è commesso in danno di un minore degli anni sedici.
[VI]. Nei casi previsti dagli articoli 600-bis, primo comma, e 600-ter , nonché, se il fatto è commesso in danno di un minore degli anni diciotto, dagli articoli 600, 601 e 602 , la pena è aumentata dalla metà ai due terzi se il fatto è commesso da un ascendente, dal genitore adottivo, o dal loro coniuge o convivente, dal coniuge o da affini entro il secondo grado, da parenti fino al quarto grado collaterale, dal tutore o da persona a cui il minore è stato affidato per ragioni di cura, educazione, istruzione, vigilanza, custodia, lavoro, ovvero da pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio nell'esercizio delle loro funzioni ovvero ancora se è commesso in danno di un minore in stato di infermità o minorazione psichica, naturale o provocata.
[VII]. Nei casi previsti dagli articoli 600-bis, primo comma, e 600-ter , nonché dagli articoli 600, 601 e 602 , la pena è aumentata dalla metà ai due terzi se il fatto è commesso mediante somministrazione di sostanze alcoliche, narcotiche, stupefacenti o comunque pregiudizievoli per la salute fisica o psichica del minore, ovvero se è commesso nei confronti di tre o più persone (6) .
[IIX]. Nei casi previsti dagli articoli 600-bis, 600-ter, 600-quater, 600-quater.1. e 600-quinquies , la pena è aumentata
a) se il reato è commesso da più persone riunite;
b) se il reato è commesso da persona che fa parte di un'associazione per delinquere e al fine di agevolarne l'attività;
c) se il reato è commesso con violenze gravi o se dal fatto deriva al minore, a causa della reiterazione delle condotte, un pregiudizio grave.
[IX]. Le pene previste per i reati di cui al comma precedente sono aumentate in misura non eccedente i due terzi nei casi in cui gli stessi siano compiuti con l'utilizzo di mezzi atti ad impedire l'identificazione dei dati di accesso alle reti telematiche.
[X]. Le circostanze attenuanti, diverse da quelle previste dagli articoli 98 e 114 , concorrenti con le circostanze aggravanti di cui alla presente sezione, non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto a queste e le diminuzioni di pena si operano sulla quantità della stessa risultante dall'aumento conseguente alle predette aggravanti.
(1) Articolo inserito ex art.3 L. 2 luglio 2010, n. 108 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d'Europa sulla lotta contro la tratta di esseri umani).
609-undecies c.p. Adescamento di minorenni
[I]. Chiunque, allo scopo di commettere i reati di cui agli articoli 600, 600-bis, 600-ter e 600-quater, anche se relativi al materiale pornografico di cui all'articolo 600-quater.1, 600-quinquies, 609-bis, 600-quater, 609-quinquies e 609-octies, adesca un minore di anni sedici, è punito, se il fatto non costituisce più grave reato, con la reclusione da uno a tre anni. Per adescamento si intende qualsiasi atto volto a carpire la fiducia del minore attraverso artifici, lusinghe o minacce posti in essere anche mediante l'utilizzo della rete internet o di altre reti o mezzi di comunicazione.
- Sanzioni interdittive (D.Lgs 231/01 9, Art. 9, comma 2, lettere a), b), c), d) ed e)):
a) l'interdizione dall'esercizio dell'attività;
b) la sospensione o la revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell'illecito;
c) il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio;
d) l'esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l'eventuale revoca di quelli già concessi;
e) il divieto di pubblicizzare beni o servizi.
- Sanzioni interdittive applicate in via definitiva - estratto dell' Art. 16 D.Lgs 231/01 -
[comma 3]. Se l'ente o una sua unità organizzativa viene stabilmente utilizzato allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione di reati in relazione ai quali è prevista la sua responsabilità è sempre disposta l'interdizione definitiva dall'esercizio dell'attività e non si applicano le disposizioni previste dall'articolo 17
Art. 25-Sexies
Abusi di mercato (1)
* * *
1. In relazione ai reati di abuso di informazioni privilegiate e di manipolazione del mercato previsti dalla parte V, titolo I-bis, capo II, del testo unico di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, si applica all'ente la sanzione pecuniaria da quattrocento a mille quote.
2. Se, in seguito alla commissione dei reati di cui al comma 1, il prodotto o il profitto conseguito dall'ente e' di rilevante entita', la sanzione e' aumentata fino a dieci volte tale prodotto o profitto.
(1) Articolo inserito dall'articolo 9 della legge 18 aprile 2005, n. 62.
- Riferimenti normativi:
"Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria" - D. Lgs 24 febbraio 1998, n. 58:
Parte V - Sanzioni
Titolo I-Bis - abuso di informazioni privilegiate e manipolazioni del mercato
Capo II - Sanzioni penali (1)
Art. 184 - Abuso di informazioni privilegiate
[I]. È punito con la reclusione da due a dodici anni e con la multa da euro ventimila a euro tre milioni chiunque, essendo in possesso di informazioni privilegiate in ragione della sua qualità di membro di organi di amministrazione, direzione o controllo dell'emittente, della partecipazione al capitale dell'emittente, ovvero dell'esercizio di un' attività lavorativa, di una professione o di una funzione, anche pubblica, o di un ufficio:
a) acquista, vende o compie altre operazioni, direttamente o indirettamente, per conto proprio o per conto di terzi, su strumenti finanziari utilizzando le informazioni medesime;
b) comunica tali informazioni ad altri, al di fuori del normale esercizio del lavoro, della professione, della funzione o dell'ufficio;
c) raccomanda o induce altri, sulla base di esse, al compimento di taluna delle operazioni indicate nella lettera a).
[II]. La stessa pena di cui al comma 1 si applica a chiunque essendo in possesso di informazioni privilegiate a motivo della preparazione o esecuzione di attività delittuose compie taluna delle azioni di cui al medesimo comma 1.
[III]. Il giudice può aumentare la multa fino al triplo o fino al maggiore importo di dieci volte il prodotto o il profitto conseguito dal reato quando, per la rilevante offensività del fatto, per le qualità personali del colpevole o per l'entità del prodotto o del profitto conseguito dal reato, essa appare inadeguata anche se applicata nel massimo.
[III-Bis]. Nel caso di operazioni relative agli strumenti finanziari di cui all'articolo 180, comma 1, lettera a), numero 2), la sanzione penale è quella dell'ammenda fino a euro centotremila e duecentonovantuno e dell'arresto fino a tre anni. (2)
[IV]. Ai fini del presente articolo per strumenti finanziari si intendono anche gli strumenti finanziari di cui all'articolo 1, comma 2, il cui valore dipende da uno strumento finanziario di cui all'articolo 180, comma 1, lettera a). (1)
Art. 185 - Manipolazione del mercato
[I]. Chiunque diffonde notizie false o pone in essere operazioni simulate o altri artifizi concretamente idonei a provocare una sensibile alterazione del prezzo di strumenti finanziari, è punito con la reclusione da due a dodici anni e con la multa da euro ventimila a euro cinque milioni.
[II]. Il giudice può aumentare la multa fino al triplo o fino al maggiore importo di dieci volte il prodotto o il profitto conseguito dal reato quando, per la rilevante offensività del fatto, per le qualità personali del colpevole o per l'entità del prodotto o del profitto conseguito dal reato, essa appare inadeguata anche se applicata nel massimo.
[II-Bis]. Nel caso di operazioni relative agli strumenti finanziari di cui all'articolo 180, comma 1, lettera a), numero 2), la sanzione penale è quella dell'ammenda fino a euro centotremila e duecentonovantuno e dell'arresto fino a tre anni. (3)
Art. 186 - Pene accessorie
[I]. La condanna per taluno dei delitti previsti dal presente capo importa l' applicazione delle pene accessorie previste dagli articoli 28, 30, 32-bis e 32-ter del codice penale per una durata non inferiore a sei mesi e non superiore a due anni, nonché la pubblicazione della sentenza su almeno due quotidiani, di cui uno economico, a diffusione nazionale. (1)
Art. 187 - Confisca
[I]. In caso di condanna per uno dei reati previsti dal presente capo è disposta la confisca del prodotto o del profitto conseguito dal reato e dei beni utilizzati per commetterlo.
[II]. Qualora non sia possibile eseguire la confisca a norma del comma 1, la stessa può avere ad oggetto una somma di denaro o beni di valore equivalente.
[III]. Per quanto non stabilito nei commi 1 e 2 si applicano le disposizioni dell'articolo 240 del codice penale. (1)
(1) Ai sensi dell'art. 39, co. 1, della l. n. 262 del 28.12.2005, le pene previste nel presente Capo sono raddoppiate entro i limiti posti a ciascun tipo di pena dal Libro I, Titolo II, Capo II del codice penale.
(2) Comma aggiunto dall'art. 1, comma 17 del d.lgs. n. 101 del 17.7.2009.
(3) Comma aggiunto dall'art. 1, comma 18 del d.lgs. n. 101 del 17.7.2009. V. ndr al Titolo I-bis e al Capo II - Sanzioni penali.
· Giurisprudenza
· La natura di reato di pericolo e di mera condotta del reato di manipolazione di mercato - per la cui consumazione non è necessario che si verifichi una sensibile alterazione del prezzo degli strumenti finanziari - non è di ostacolo alla individuazione di un profitto confiscabile. Cassazione penale, sez. V, 3.04.2014, n. 25450, Rivista231.it.
· In tema di responsabilità da reato delle persone giuridiche, la nozione di profitto confiscabile derivante dal delitto di manipolazione del mercato si qualifica per i connotati della immediata derivazione e della concreta effettività, ma non coincide necessariamente, quanto alla posizione dell'ente collettivo, con il solo profitto conseguito dall'autore del reato, potendo consistere anche in altri vantaggi di tipo economico che l'ente abbia consolidato e che siano dimostrati. (Nella specie, la Corte ha ritenuto che il profitto, così come individuato nel provvedimento di sequestro e consistente nel consolidamento dell'immagine della società nel mercato azionario, non fosse stato provato nè fosse riferibile a fatti dimostrativi di una utilità economica conseguita dalla società indagata). Cassazione penale, sez. V, 3.04.2014, n. 25450, Rivista231.it.
Art. 25-Septies
Omicidio colposo o lesioni gravi o gravissime commesse con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro (1)
* * *
1. In relazione al delitto di cui all'articolo 589 del codice penale, commesso con violazione dell'articolo 55, comma 2, del decreto legislativo attuativo della delega di cui alla legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di salute e sicurezza sul lavoro, si applica una sanzione pecuniaria in misura pari a 1.000 quote. Nel caso di condanna per il delitto di cui al precedente periodo si applicano le sanzioni interdittive di cui all'articolo 9, comma 2, per una durata non inferiore a tre mesi e non superiore ad un anno.
2. Salvo quanto previsto dal comma 1, in relazione al delitto di cui all'articolo 589 del codice penale, commesso con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro, si applica una sanzione pecuniaria in misura non inferiore a 250 quote e non superiore a 500 quote. Nel caso di condanna per il delitto di cui al precedente periodo si applicano le sanzioni interdittive di cui all'articolo 9, comma 2, per una durata non inferiore a tre mesi e non superiore ad un anno.
3. In relazione al delitto di cui all'articolo 590, terzo comma, del codice penale, commesso con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro, si applica una sanzione pecuniaria in misura non superiore a 250 quote. Nel caso di condanna per il delitto di cui al precedente periodo si applicano le sanzioni interdittive di cui all'articolo 9, comma 2, per una durata non superiore a sei mesi.
(1) Articolo inserito dall'articolo 9 della legge 3 agosto 2007, n. 123 e successivamente sostituito dall'articolo 300 del D.Lgs. 9 aprile 2008 n.81.
- Riferimenti normativi:
589 c.p. Omicidio colposo
[I]. Chiunque cagiona per colpa la morte di una persona è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni.
[II]. Se il fatto è commesso con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale o di quelle per la prevenzione degli infortuni sul lavoro la pena è della reclusione da due a sette anni.
[II-Bis]. Si applica la pena della reclusione da tre a dieci anni se il fatto è commesso con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale da:
1) soggetto in stato di ebbrezza alcolica ai sensi dell'articolo 186, comma 2, lettera c), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni;
2) soggetto sotto l'effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope.
[III]. Nel caso di morte di più persone, ovvero di morte di una o più persone e di lesioni di una o più persone, si applica la pena che dovrebbe infliggersi per la più grave delle violazioni commesse aumentata fino al triplo, ma la pena non può superare gli anni quindici.
Art. 55 D.Lgs 9 aprile 2008 , n. 81
Sanzioni per il datore di lavoro e il dirigente (1)
[I]. E' punito con l'arresto da tre a sei mesi o con l'ammenda da 2.740 a 7.014,40 euro il datore di lavoro:
a) per la violazione dell' articolo 29, comma 1;
b) che non provvede alla nomina del responsabile del servizio di prevenzione e protezione ai sensi dell'articolo 17, comma 1, lettera b), o per la violazione dell'articolo 34, comma 2;
[comma II]. Nei casi previsti al comma 1, lettera a), si applica la pena dell'arresto da quattro a otto mesi se la violazione è commessa:
a) nelle aziende di cui all'articolo 31, comma 6, lettere a), b), c), d), f) e g);
b) in aziende in cui si svolgono attività che espongono i lavoratori a rischi biologici di cui all'articolo 268, comma 1, lettere c) e d), da atmosfere esplosive, cancerogeni mutageni, e da attività di manutenzione, rimozione smaltimento e bonifica di amianto;
c) per le attività disciplinate dal Titolo IV caratterizzate dalla compresenza di più imprese e la cui entità presunta di lavoro non sia inferiore a 200 uomini-giorno.
(1) Articolo modificato dall'articolo 39, comma 12, del D.L. 25 giugno 2008, n. 112 e successivamente sostituito dall'articolo 32, comma 1, del D.Lgs 3 agosto 2009, n. 106.
590 c.p. Lesioni personali colpose.
[I]. Chiunque cagiona ad altri per colpa una lesione personale è punito con la reclusione fino a tre mesi o con la multa fino a 309 euro.
[II]. Se la lesione è grave la pena è della reclusione da uno a sei mesi o della multa da 123 euro a 619 euro; se è gravissima, della reclusione da tre mesi a due anni o della multa da 309 euro a 1.239 euro.
[comma III]. Se i fatti di cui al secondo comma sono commessi con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale o di quelle per la prevenzione degli infortuni sul lavoro la pena per le lesioni gravi è della reclusione da tre mesi a un anno o della multa da euro 500 a euro 2.000 e la pena per le lesioni gravissime è della reclusione da uno a tre anni. Nei casi di violazione delle norme sulla circolazione stradale, se il fatto è commesso da soggetto in stato di ebbrezza alcolica ai sensi dell'art. 186, co. II, lett. c), D.Lgs 30 aprile 1992 n. 285, e successive modificazioni, ovvero da soggetto sotto l'effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope, la pena per le lesioni gravi è della reclusione da sei mesi a due anni e la pena per le lesioni gravissime è della reclusione da un anno e sei mesi a quattro anni.
[IV]. Nel caso di lesioni di più persone si applica la pena che dovrebbe infliggersi per la più grave delle violazioni commesse, aumentata fino al triplo; ma la pena della reclusione non può superare gli anni cinque.
[V]. Il delitto è punibile a querela della persona offesa, salvo nei casi previsti nel primo e secondo capoverso, limitatamente ai fatti commessi con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro o relative all'igiene del lavoro o che abbiano determinato una malattia professionale.
- Sanzioni interdittive (D.Lgs 231/01 9, Art. 9, comma 2, lettere a), b), c), d) ed e)):
a) l'interdizione dall'esercizio dell'attività;
b) la sospensione o la revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell'illecito;
c) il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio;
d) l'esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l'eventuale revoca di quelli già concessi;
e) il divieto di pubblicizzare beni o servizi.
· Giurisprudenza:
· In caso di commissione del delitto di lesioni aggravate dalla violazione delle norme sulla sicurezza del lavoro, le sanzioni interdittive devono essere applicate obbligatoriamente. Cass. pen. Sez. IV, 25-06-2013, n. 42503
· In tema di responsabilità da reato degli enti derivante da reati colposi di evento, i criteri di imputazione oggettiva, rappresentati dal riferimento contenuto nell'art. 5 d.lg. n. 231 del 2001 all'"interesse o al vantaggio", devono essere riferiti alla condotta e non all'evento. Cassazione penale, SS.UU., 24.04.2014, n. 38343, Rivista231.it.
· In tema di responsabilità da reato degli enti, i criteri di imputazione oggettiva, rappresentati dal riferimento contenuto nell'art. 5 del d.lg. 231 del 2001 all'"interesse o al vantaggio", sono alternativi e concorrenti tra loro, in quanto il criterio dell'interesse esprime una valutazione teleologica del reato, apprezzabile "ex ante", cioè al momento della commissione del fatto e secondo un metro di giudizio marcatamente soggettivo, mentre quello del vantaggio ha una connotazione essenzialmente oggettiva, come tale valutabile "ex post", sulla base degli effetti concretamente derivati dalla realizzazione dell'illecito. Cassazione penale, SS.UU., 24.04.2014, n. 38343, Rivista231.it
· In tema di responsabilità da reato degli enti, la colpa di organizzazione, da intendersi in senso normativo, è fondata sul rimprovero derivante dall'inottemperanza da parte dell'ente dell'obbligo di adottare le cautele, organizzative e gestionali, necessarie a prevenire la commissione dei reati previsti tra quelli idonei a fondare la responsabilità del soggetto collettivo, dovendo tali accorgimenti essere consacrati in un documento che individua i rischi e delinea le misure atte a contrastarli. Cassazione penale, SS.UU., 24.04.2014, n. 38343, Rivista231.it.
· Datore di lavoro, dirigente e impresa appaltante rispondono della morte del dipendente della cooperativa appaltatrice che, durante la pausa per la cena, cade accidentalmente su un nastro mobile non adeguatamente protetto e muore. Nel caso di specie nonostante l'attività del lavoratore non avesse niente a che fare con il nastro stesso, secondo la Suprema Corte, i profili di colpa contestati ai due imputati attengono alla mancanza di misure di sicurezza blocchi e ripari delle parti mobili del nastro, all'omessa predisposizione di un documento di valutazione dei rischi da interferenze, nonché alla carenza di formazione dei lavoratori. Cass. pen. Sez. IV, 19.02.2015, n. 18073
· In tema di responsabilità di ente societario ex art. 5 d.lg. n. 231 del 2001 per lesioni colpose di un dipendente in seguito ad infortunio sul lavoro, la condotta colposa ma occasionale della vittima non può fondare la responsabilità dell'ente stesso, né arrecargli un vantaggio in termini di risparmio di costi o incremento nella velocità di esecuzione delle prestazioni o di aumento della produttività. Tribunale Torino, sez. I, 22, 04, 2013, in Rivista penale 2013, 6, 695.
· Nel caso di commissione di un reato colposo, il requisito dell'interesse o vantaggio deve essere riferito non all'intera fattispecie di reato, comprensiva dell'evento lesivo, ma alla sola condotta violativa delle norme antinfortunistiche. Trib. Torino Sez. I, 10.01.2013. Rivista231.it.
· Il risparmio di spese derivante dall'omessa adozione di un modello di organizzazione e gestione idoneo a prevenire il reato non integra il requisito dell'interesse o del vantaggio per l'ascrizione di responsabilità all'ente, non essendo obbligatoria l'adozione del "compliance program" da parte della "corporation" stessa. Trib. Tolmezzo, 23.01.2012. Rivista231.it
· Quando gravissime violazioni della normativa antinfortunistica ed antincendio e colpevoli omissioni sono caratterizzate da un contenuto economico rispetto al quale l'azienda non solo ha interesse, ma se ne è anche sicuramente avvantaggiata, sotto il profilo del considerevole risparmio economico che ha tratto omettendo qualsiasi intervento, oltre che dell'utile contemporaneamente ritratto dalla continuità della produzione, in caso di omicidio colposo da infortunio sul lavoro collegare il requisito dell'interesse o del vantaggio dell'ente non all'evento bensì alla condotta penalmente rilevante della persona fisica corrisponde ad una corretta applicazione dell'art. 25-septies D.Lgs 231/01. Ass. Torino Sez. II, 14 novembre 2011. Giur. It., 2012, 4, 907 nota di Limone.
· Il requisito dell'interesse o vantaggio dell'ente richiesto dal Decreto Legislativo 231 del 2001 nei casi di cui all'art. 25 septies è da riferirsi non all'evento bensì alla condotta che lo ha determinato. Il concetto di interesse attiene ad una valutazione antecedente alla commissione del reato presupposto, mentre la nozione di vantaggio implica una valutazione "ex post" e per l'effettivo conseguimento della consumazione del reato. Tribunale di Monza, 3 settembre 2012.
· Al fine di ascrivere all'ente il reato di lesioni colpose commesse in violazione delle norme a tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori è necessaria la prova che la condotta del soggetto apicale fosse soggettivamente diretta ad avvantaggiare l'ente o abbia comunque oggettivamente comportato un beneficio per lo stesso, ad esempio in termini di risparmio dei costi o dei tempi di lavorazione. App. Brescia Sez. II, 14.12.2011. Rivista231.it.
· Perché la condotta colposa possa essere nell'interesse della persona giuridica si deve trattare anzitutto di un'azione o omissione consapevole e volontaria; ciò esclude, ad esempio, tutte le ipotesi di imperizia, ma può - a seconda del caso concreto - comprendere diverse ipotesi di negligenza, di imprudenza e anche di colpa specifica. In secondo luogo, la volontarietà della condotta non deve derivare da una semplice sottovalutazione dei rischi o da una cattiva considerazione delle misure di prevenzione necessarie, ma deve - oggettivamente - rivelare anche una tensione finalistica verso un obiettivo di risparmio di costi aziendali che può o meno essere effettivamente conseguito. Trib. Cagliari, 04.07.2011. Rivista231.it
· Nei reati colposi d'evento, in particolare, l'interesse dell'ente non può essere connesso ad una qualsiasi condotta dell'agente, ma deve determinare la direzione finalistica della condotta colposa che ha cagionato l'evento. Trib. Cagliari, 04.07.2011. Rivista231.it
· I concetti di "interesse" e "vantaggio" di cui all' art. 5 D.lgs 231/01 appaiono rispettivamente riferibili alla condotta e all'evento del reato: l'interesse, ponendosi in una prospettiva soggettiva ed ex ante, esprime infatti la direzione finalistica della condotta, mentre il vantaggio, essendo il risultato materiale dell'azione delittuosa, presuppone la verificazione dell'evento. Tuttavia, i due termini non devono essere necessariamente compresenti (in particolare è eventuale che l'ente ricavi un vantaggio) ed è sistematicamente accettabile che in relazione ad una determinata tipologia di reati [come quella dei reati colposi d'evento] il profitto non sia configurabile e che quindi si debba prendere come unico termine di riferimento la condotta e la sua direzione finalistica (considerata oggettivamente). Trib. Cagliari, 04.07.2011. Rivista231.it
· In tema di responsabilità da reato degli enti, il criterio di imputazione di cui all'art. 5, D.Lgs. n. 231/2001 può essere correlato anche ai reati colposi previsti dall'art. 25-Septies, rapportando l'interesse o il vantaggio non all'evento delittuoso, ma alla condotta violativa di regole cautelari che ha reso possibile la consumazione del reato. Non è possibile ravvisare l'interesse o vantaggio in re ipsa nello stesso ciclo produttivo in cui si è realizzata la condotta causalmente connessa all'infortunio, con conseguente sussistenza automatica dei presupposti della responsabilità amministrativa dell'ente, solo perché il reato è stato commesso nello svolgimento della sua attività, ma è sempre necessario procedere a una verifica in concreto. Trib. Novara, 1 ottobre 2010, in Corriere del Merito, 2011, 4, 403.
· Le fattispecie colpose di omicidio e lesioni personali conseguenti a violazioni di norme antinfortunistiche sono perfettamente compatibili con la struttura della responsabilità degli enti forgiata dal d.lg. n. 231 del 2001 sul paradigma di una responsabilità, in limine mista penale-amministrativa, per c.d. colpa d'organizzazione che si realizza nella mancata previsione e/o prevenzione di tali fattispecie al pari di quelle dolose di cui agli artt. 24 ss. medesimo decreto. Ufficio Indagini preliminari Milano, 08 marzo 2012, in Giur. merito 2012, 9, 1899.
· L'art. 25 septies del d.lg. n.231/2001 prevede che in relazione al delitto di cui all'art.590, terzo comma, c.p., commesso con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro, si applica una sanzione pecuniaria in misura non superiore a 250 quote (accolto il ricorso del legale rappresentate di una società avverso l'applicazione di una sanzione di 300 quote per la contestazione del reato di lesioni personali colpose gravi occorse ad un dipendente in seguito ad infortunio sul lavoro). Cass. Pen., sez. IV, n. 40070 del 28 settembre 2012, in Diritto & Giustizia 2012, 12 ottobre 2012.
· In tema di responsabilità da reato degli enti collettivi derivante da reati colposi di evento commessi in violazione di una disciplina prevenzionistica, il profitto oggetto della confisca diretta di cui all'art. 19 d.lg. n. 231 del 2001 si identifica nel risparmio di spesa che si concreta nella mancata adozione di qualche oneroso accorgimento di natura cautelare o nello svolgimento di una attività in una condizione che risulta economicamente favorevole, anche se meno sicura di quanto dovuto. Cassazione penale, SS.UU., 24.04.2014, n. 38343, Rivista231.it. Cfr. altresì: Cass. Pen. 26747/2003; Cass. Pen. 3615/2005; Cass. Pen. 9829/2006; Cass. Pen. 307/29/2006; Cass. Pen. 30790/2006; Cas. Pen. 32627/2006; Cass. Pen. 316/2006; Cass. Pen. 37556/2007; Cass. Pen. 3635/2013; Cass. Pen. 10265/2013; Cass. Pen. 27523/2014; Cass. Pen. SS.UU. 9149/96; Cass. Pen. SS.UU. 46780/2003.
· In caso di commissione del delitto di lesioni aggravate dalla violazione delle norme sulla sicurezza del lavoro, le sanzioni interdittive devono essere applicate obbligatoriamente. Cass. pen. Sez. IV, 25.06.2013, n. 42503. Rivista231.it
· E' evidente che il sistema introdotto dal D.Lgs 231/01 impone alle imprese di adottare un modello organizzativo diverso e ulteriore rispetto a quello previsto dalla normativa antinfortunistica, onde evitare in tal modo la responsabilità amministrativa. Non a caso, mentre i documenti antinfortunistici sono redatti a mente degli artt. 26 e 28, D.Lgs n. 81/2008, il modello di organizzazione e gestione del D.Lgs 231/01 è contemplato dall' art. 30, D.Lgs. n. 81/2008, segnando così una distinzione non solo nominale ma anche funzionale. Non è possibile che una semplice analisi dei rischi valga anche per gli obiettivi del D.Lgs 231/01. Anche se sono ovviamente possibili parziali sovrapposizioni, è chiaro che il modello teso ad escludere la responsabilità societaria è caratterizzato anche dal sistema di vigilanza che, pure attraverso obblighi diretti ad incanalare le informazioni verso la struttura deputata al controllo sul funzionamento e sull'osservanza, culmina nella previsione di sanzioni per le inottemperanze e nell'affidamento di poteri disciplinari al medesimo organismo dotato di piena autonomia. Trib. Molfetta, 11.01.2010. Società, 2010, 9, 1116 nota di SCOLETTA.
Art. 25-Octies
Ricettazione, riciclaggio e impiego di denaro, beni o utilita' di provenienza illecita, nonché autoriciclaggio (*)
1. In relazione ai reati di cui agli articoli 648, 648-bis, 648-ter e 648-ter.1 (1) del codice penale, si applica all'ente la sanzione pecuniaria da 200 a 800 quote. Nel caso in cui il denaro, i beni o le altre utilita' provengono da delitto per il quale e' stabilita la pena della reclusione superiore nel massimo a cinque anni si applica la sanzione pecuniaria da 400 a 1000 quote.
2. Nei casi di condanna per uno dei delitti di cui al comma 1 si applicano all'ente le sanzioni interdittive previste dall'articolo 9, comma 2, per una durata non superiore a due anni.
3. In relazione agli illeciti di cui ai commi 1 e 2, il Ministero della giustizia, sentito il parere dell'UIF, formula le osservazioni di cui all'articolo 6 del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231 (2).
(*) Rubrica così sostituita dall'art. 3, comma V, lett. B, Legge 15 dicembre 2014, n. 186 (in vigore dall'1.01.2015)
(1) Articolo inserito dall'art. 3, comma V, lett. B, Legge 15 dicembre 2014, n. 186 (in vigore dall'1.01.2015)
(2) Articolo inserito dall' articolo 63 del D.Lgs. 21 novembre 2007, n. 231.
- Riferimenti normativi:
648 c.p. Ricettazione
[I]. Fuori dei casi di concorso nel reato, chi, al fine di procurare a sé o ad altri un profitto, acquista, riceve od occulta denaro o cose provenienti da un qualsiasi delitto, o comunque si intromette nel farle acquistare, ricevere od occultare, è punito con la reclusione da due ad otto anni e con la multa da 516 euro a 10.329 euroLa pena è aumentata quanto il fatto riguarda denaro o cose provenienti da delitti di rapina aggravata ai sensi dell'articolo 629, secondo comma, ovvero di furto aggravato ai sensi dell'articolo 625, primo comma, n. 7-bis.
[II]. La pena è della reclusione sino a sei anni e della multa sino a 516 euro, se il fatto è di particolare tenuità.
[III]. Le disposizioni di questo articolo si applicano anche quando l'autore del delitto, da cui il denaro o le cose provengono, non è imputabile o non è punibile ovvero quando manchi una condizione di procedibilità riferita a tale delitto
648-Bis Riciclaggio.
[I]. Fuori dei casi di concorso nel reato, chiunque sostituisce o trasferisce denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto non colposo, ovvero compie in relazione ad essi altre operazioni, in modo da ostacolare l'identificazione della loro provenienza delittuosa, è punito con la reclusione da quattro a dodici anni e con la multa da 5.000 euro a 25.000 euro.
[II]. La pena è aumentata quando il fatto è commesso nell'esercizio di un'attività professionale.
[III]. La pena è diminuita se il denaro, i beni o le altre utilità provengono da delitto per il quale è stabilita la pena della reclusione inferiore nel massimo a cinque anni.
[IV]. Si applica l'ultimo comma dell'articolo 648.
648-Ter Impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita.
[I]. Chiunque, fuori dei casi di concorso nel reato e dei casi previsti dagli articoli 648 e 648-bis, impiega in attività economiche o finanziarie denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto, è punito con la reclusione da quattro a dodici anni e con la multa da 5.000 euro a 25.000 euro.
[II]. La pena è aumentata quando il fatto è commesso nell'esercizio di un'attività professionale.
[III]. La pena è diminuita nell'ipotesi di cui al secondo comma dell'art. 648.
[IV]. Si applica l'ultimo comma dell'articolo 648.
Art. 648-ter.1. - Autoriciclaggio
[I]. Si applica la pena della reclusione da due a otto anni e della multa da euro 5.000 a euro 25.000 a chiunque, avendo commesso o concorso a commettere un delitto non colposo, impiega, sostituisce, trasferisce, in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative, il denaro, i beni o le altre utilità provenienti dalla commissione di tale delitto, in modo da ostacolare concretamente l'identificazione della loro provenienza delittuosa.
[II]. Si applica la pena della reclusione da uno a quattro anni e della multa da euro 2.500 a euro 12.500 se il denaro, i beni o le altre utilità provengono dalla commissione di un delitto non colposo punito con la reclusione inferiore nel massimo a cinque anni.
[III]. Si applicano comunque le pene previste dal primo comma se il denaro, i beni o le altre utilità provengono da un delitto commesso con le condizioni o le finalità di cui all'articolo 7 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, e successive modificazioni.
[IV]. Fuori dei casi di cui ai commi precedenti, non sono punibili le condotte per cui il denaro, i beni o le altre utilità vengono destinate alla mera utilizzazione o al godimento personale.
[V]. La pena è aumentata quando i fatti sono commessi nell'esercizio di un'attività bancaria o finanziaria o di altra attività professionale.
[VI]. La pena è diminuita fino alla metà per chi si sia efficacemente adoperato per evitare che le condotte siano portate a conseguenze ulteriori o per assicurare le prove del reato e l'individuazione dei beni, del denaro e delle altre utilità provenienti dal delitto.
[VII]. Si applica l'ultimo comma dell'articolo 648.
- Sanzioni interdittive (D.Lgs 231/01 9, Art. 9, comma 2, lettere a), b), c), d) ed e)):
a) l'interdizione dall'esercizio dell'attività;
b) la sospensione o la revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell'illecito;
c) il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio;
d) l'esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l'eventuale revoca di quelli già concessi;
e) il divieto di pubblicizzare beni o servizi.
Art. 25-Novies
Delitti in materia di violazione del diritto d'autore
* * *
1. In relazione alla commissione dei delitti previsti dagli articoli 171, primo comma, lettera abis), e terzo comma, 171-bis, 171-ter, 171- septies e 171-octies della legge 22 aprile 1941, n. 633, si applica all'ente la sanzione pecuniaria fino a cinquecento quote.
2. Nel caso di condanna per i delitti di cui al comma 1 si applicano all'ente le sanzioni interdittive previste dall'articolo 9, comma 2, per una durata non superiore ad un anno. Resta fermo quanto previsto dall'articolo 174- quinquies della citata legge n. 633 del 1941.
- Riferimenti normativi:
Protezione del diritto d'autore e di altri diritti connessi al suo esercizio
Art. 171 Legge 22 aprile 1941, n. 633
[comma I]. Salvo quanto previsto dall'art. 171-bis e dall'articolo 171-ter, è punito con la multa da euro 51 [lire 100.000] a euro 2.065 [lire 4.000.000] chiunque, senza averne diritto, a qualsiasi scopo e in qualsiasi forma:
a) riproduce, trascrive, recita in pubblico, diffonde, vende o mette in vendita o pone altrimenti in commercio un'opera altrui o ne rivela il contenuto prima che sia reso pubblico, o introduce e mette in circolazione nel territorio dello Stato esemplari prodotti all'estero contrariamente alla legge italiana;
A-Bis) mette a disposizione del pubblico, immettendola in un sistema di reti telematiche, mediante connessioni di qualsiasi genere, un'opera dell'ingegno protetta, o parte di essa;
b) rappresenta, esegue o recita in pubblico o diffonde con o senza variazioni od aggiunte, una opera altrui adatta a pubblico spettacolo od una composizione musicale. La rappresentazione o esecuzione comprende la proiezione pubblica dell'opera cinematografica, l'esecuzione in pubblico delle composizioni musicali inserite nelle opere cinematografiche e la radiodiffusione mediante altoparlante azionato in pubblico;
c) compie i fatti indicati nelle precedenti lettere mediante una delle forme di elaborazione previste da questa legge;
d) riproduce un numero di esemplari o esegue o rappresenta un numero di esecuzioni o di rappresentazioni maggiore di quello che aveva il diritto rispettivamente di produrre o di rappresentare;
e) (Omissis);
f) in violazione dell'art. 79 ritrasmette su filo o per radio o registra in dischi fonografici o altri apparecchi analoghi le trasmissioni o ritrasmissioni radiofoniche o smercia i dischi fonografici o altri apparecchi indebitamente registrati.
[II]. Chiunque commette la violazione di cui al primo comma, lettera a-bis), e' ammesso a pagare, prima dell'apertura del dibattimento, ovvero prima dell'emissione del decreto penale di condanna, una somma corrispondente alla meta' del massimo della pena stabilita dal primo comma per il reato commesso, oltre le spese del procedimento. Il pagamento estingue il reato.
[comma III]. La pena è della reclusione fino ad un anno o della multa non inferiore a euro 516 [lire 1.000.000] se i reati di cui sopra sono commessi sopra un'opera altrui non destinata alla pubblicazione, ovvero con usurpazione della paternità dell'opera, ovvero con deformazione, mutilazione o altra modificazione dell'opera medesima, qualora ne risulti offesa all'onore od alla reputazione dell'autore.
[IV]. La violazione delle disposizioni di cui al terzo ed al quarto comma dell'articolo 68 comporta la sospensione della attività di fotocopia, xerocopia o analogo sistema di riproduzione da sei mesi ad un anno nonché la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 1.032 a euro 5.164 [due a dieci milioni di lire].
Art. 171-Bis Legge 22 aprile 1941, n. 633
[I]. Chiunque abusivamente duplica, per trarne profitto, programmi per elaboratore o ai medesimi fini importa, distribuisce, vende, detiene a scopo commerciale o imprenditoriale o concede in locazione programmi contenuti in supporti non contrassegnati dalla Società italiana degli autori ed editori (SIAE), è soggetto alla pena della reclusione da sei mesi a tre anni e della multa da lire cinque milioni a lire trenta milioni. La stessa pena si applica se il fatto concerne qualsiasi mezzo inteso unicamente a consentire o facilitare la rimozione arbitraria o l'elusione funzionale di dispositivi applicati a protezione di un programma per elaboratori. La pena non è inferiore nel minimo a due anni di reclusione e la multa a lire trenta milioni se il fatto è di rilevante gravità.
[II]. Chiunque, al fine di trarne profitto, su supporti non contrassegnati SIAE riproduce, trasferisce su altro supporto, distribuisce, comunica, presenta o dimostra in pubblico il contenuto di una banca di dati in violazione delle disposizioni di cui agli articoli 64-quinquies e 64-sexies, ovvero esegue l'estrazione o il reimpiego della banca di dati in violazione delle disposizioni di cui agli articoli 102-bis e 102-ter, ovvero distribuisce, vende o concede in locazione una banca di dati, è soggetto alla pena della reclusione da sei mesi a tre anni e della multa da lire cinque milioni a lire trenta milioni. La pena non è inferiore nel minimo a due anni di reclusione e la multa a lire trenta milioni se il fatto è di rilevante gravità.
Art. 171-Ter Legge 22 aprile 1941, n. 633
[I]. È punito, se il fatto è commesso per uso non personale, con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da cinque a trenta milioni di lire chiunque a fini di lucro:
a) abusivamente duplica, riproduce, trasmette o diffonde in pubblico con qualsiasi procedimento, in tutto o in parte, un'opera dell'ingegno destinata al circuito televisivo, cinematografico, della vendita o del noleggio, dischi, nastri o supporti analoghi ovvero ogni altro supporto contenente fonogrammi o videogrammi di opere musicali, cinematografiche o audiovisive assimilate o sequenze di immagini in movimento;
b) abusivamente riproduce, trasmette o diffonde in pubblico, con qualsiasi procedimento, opere o parti di opere letterarie, drammatiche, scientifiche o didattiche, musicali o drammatico-musicali, ovvero multimediali, anche se inserite in opere collettive o composite o banche dati;
c) pur non avendo concorso alla duplicazione o riproduzione, introduce nel territorio dello Stato, detiene per la vendita o la distribuzione, distribuisce, pone in commercio, concede in noleggio o comunque cede a qualsiasi titolo, proietta in pubblico, trasmette a mezzo della televisione con qualsiasi procedimento, trasmette a mezzo della radio, fa ascoltare in pubblico le duplicazioni o riproduzioni abusive di cui alle lettere a) e b);
d) detiene per la vendita o la distribuzione, pone in commercio, vende, noleggia, cede a qualsiasi titolo, proietta in pubblico, trasmette a mezzo della radio o della televisione con qualsiasi procedimento, videocassette, musicassette, qualsiasi supporto contenente fonogrammi o videogrammi di opere musicali, cinematografiche o audiovisive o sequenze di immagini in movimento, od altro supporto per il quale è prescritta, ai sensi della presente legge, l'apposizione di contrassegno da parte della Società italiana degli autori ed editori (S.I.A.E.), privi del contrassegno medesimo o dotati di contrassegno contraffatto o alterato ;
e) in assenza di accordo con il legittimo distributore, ritrasmette o diffonde con qualsiasi mezzo un servizio criptato ricevuto per mezzo di apparati o parti di apparati atti alla decodificazione di trasmissioni ad accesso condizionato;
f) introduce nel territorio dello Stato, detiene per la vendita o la distribuzione, distribuisce, vende, concede in noleggio, cede a qualsiasi titolo, promuove commercialmente, installa dispositivi o elementi di decodificazione speciale che consentono l'accesso ad un servizio criptato senza il pagamento del canone dovuto.
f-bis) fabbrica, importa, distribuisce, vende, noleggia, cede a qualsiasi titolo, pubblicizza per la vendita o il noleggio, o detiene per scopi commerciali, attrezzature, prodotti o componenti ovvero presta servizi che abbiano la prevalente finalità o l'uso commerciale di eludere efficaci misure tecnologiche di cui all' art. 102-quater ovvero siano principalmente progettati, prodotti, adattati o realizzati con la finalità di rendere possibile o facilitare l'elusione di predette misure. Fra le misure tecnoÌogiche sono comprese quelle applicate, o che residuano, a seguito della rimozione delle misure medesime conseguentemente a iniziativa volontaria dei titolari dei diritti o ad accordi tra questi ultimi e i beneficiari di eccezioni, ovvero a seguito di esecuzione di provvedimenti dell' autorità amministrativa o giurisdizionale;
h) abusivamente rimuove o altera le informazioni elettroniche di cui all' articolo 102- quinquies , ovvero distribuisce, importa a fini di distribuzione, diffonde per radio o per televisione, comunica o mette a disposizione del pubblico opere o altri materiali protetti dai quali siano state rimosse o alterate le informazioni elettroniche stesse.
[II]. È punito con la reclusione da uno a quattro anni e con la multa da cinque a trenta milioni di lire chiunque:
a) riproduce, duplica, trasmette o diffonde abusivamente, vende o pone altrimenti in commercio, cede a qualsiasi titolo o importa abusivamente oltre cinquanta copie o esemplari di opere tutelate dal diritto d'autore e da diritti connessi;
a-bis) in violazione dell'articolo 16, a fini di lucro, comunica al pubblico immettendola in un sistema di reti telematiche, mediante connessioni di qualsiasi genere, un'opera dell'ingegno protetta dal diritto d'autore, o parte di essa;
b) esercitando in forma imprenditoriale attività di riproduzione, distribuzione, vendita o commercializzazione, importazione di opere tutelate dal diritto d'autore e da diritti connessi, si rende colpevole dei fatti previsti dal comma 1;
c) promuove o organizza le attività illecite di cui al comma 1 .
[III]. La pena è diminuita se il fatto è di particolare tenuità.
[IV]. La condanna per uno dei reati previsti nel comma 1 comporta:
a) l'applicazione delle pene accessorie di cui agli articoli 30 e 32-bis del codice penale;
b) la pubblicazione della sentenza ai sensi dell'art. 36 del codice penale;
c) la sospensione per un periodo di un anno della concessione o autorizzazione di diffusione radiotelevisiva per l'esercizio dell'attività produttiva o commerciale.
[V]. Gli importi derivanti dall'applicazione delle sanzioni pecuniarie previste dai precedenti commi sono versati all'Ente nazionale di previdenza ed assistenza per i pittori e scultori, musicisti, scrittori ed autori drammatici.
Art. 171-Septies Legge 22 aprile 1941, n. 633
[I]. La pena di cui all'articolo 171-ter, comma 1, si applica anche:
a) ai produttori o importatori dei supporti non soggetti al contrassegno di cui all'articolo 181-bis, i quali non comunicano alla SIAE entro trenta giorni dalla data di immissione in commercio sul territorio nazionale o di importazione i dati necessari alla univoca identificazione dei supporti medesimi;
b) salvo che il fatto non costituisca più grave reato, a chiunque dichiari falsamente l'avvenuto assolvimento degli obblighi di cui all'articolo 181-bis, comma 2, della presente legge (1).
(1) Articolo aggiunto dall'art. 17, l. 18 agosto 2000, n. 248.
Art. 171-Octies Legge 22 aprile 1941, n. 633
[I]. Qualora il fatto non costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da lire cinque milioni a lire cinquanta milioni chiunque a fini fraudolenti produce, pone in vendita, importa, promuove, installa, modifica, utilizza per uso pubblico e privato apparati o parti di apparati atti alla decodificazione di trasmissioni audiovisive ad accesso condizionato effettuate via etere, via satellite, via cavo, in forma sia analogica sia digitale. Si intendono ad accesso condizionato tutti i segnali audiovisivi trasmessi da emittenti italiane o estere in forma tale da rendere gli stessi visibili esclusivamente a gruppi chiusi di utenti selezionati dal soggetto che effettua l'emissione del segnale, indipendentemente dalla imposizione di un canone per la fruizione di tale servizio.
[II]. La pena non è inferiore a due anni di reclusione e la multa a lire trenta milioni se il fatto è di rilevante gravità (1) (2).
(1) Articolo aggiunto dall'art. 17, legge 18 agosto 2000, n. 248.
(2) La Corte costituzionale, con sentenza 29 dicembre 2004, n. 426, ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale del presente articolo , nella parte in cui, limitatamente ai fatti commessi dall'entrata in vigore del presente articolo fino all'entrata in vigore della legge 7 febbraio 2003, n. 22 (Modifica al decreto legislativo 15 novembre 2000, n. 373, in tema di tutela del diritto d'autore), punisce con sanzione penale, anziche' con la sanzione amministrativa prevista dall'art. 6 del decreto legislativo 15 novembre 2000, n. 373 (Attuazione della direttiva 98/84/CE sulla tutela dei servizi ad accesso condizionato e dei servizi di accesso condizionato), l'utilizzazione per uso privato di apparati o parti di apparati atti alla decodificazione di trasmissioni audiovisive ad accesso condizionato effettuate via etere, via satellite, via cavo, in forma sia analogica sia digitale.
Art. 174-Quinquies Legge 22 aprile 1941, n.633
[I] Quando esercita l' azione penale per tal uno dei reati non colposi previsti dalla presente sezione commessi nell'ambito di un esercizio commerciale o di un'attività soggetta ad autorizzazione, il pubblico ministero ne dà comunicazione al questore, indicando gli elementi utili per l' adozione del provvedimento di cui al comma 2.
[II]. Valutati gli elementi indicati nella comunicazione di cui al comma 1, il questore, sentiti gi interessati, può disporre, con provvedimento motivato, la sospensione dell'esercizio o dell'attività per un periodo non inferiore a quindici giorni e non superiore a tre mesi, senza pregiudizio del sequestro penale eventualmente adottato.
[III]. In caso di condanna per taluno dei reati di cui al comma 1, è sempre disposta,a titolo di sanzione amministrativa accessoria, la cessazione temporanea dell' esercizio o dell'attività per un periodo da tre mesi ad un anno, computata la durata della sospensione disposta a norma del comma 2. Si applica l' articolo 24 della legge 24 novembre 1981, n. 689 . In caso di recidiva specifica è disposta la revoca della licenza di esercizio o dell' autorizzazione allo svolgimento dell' attività.
[IV]. Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano anche nei confronti degli stabilimenti di sviluppo e di stampa, di sincronizzazione e postproduzione, nonché di masterizzazione, tipografia e che comunque esercitino attività di produzione industriale connesse alla realizzazione dei supporti contraffatti e nei confronti dei centri di emissione o ricezione di programmi televisivi. Le agevolazioni di cui all' art. 45 della legge 4 novembre 1965, n. 1213 , e successive modificazioni, sono sospese in caso di esercizio dell'azione penale; se vi è condanna, sono revocate e non possono essere nuovamente concesse per almeno un biennio (1) .
(1) Articolo inserito dall'articolo 30 del D.Lgs. 9 aprile 2003, n. 68.
- Sanzioni interdittive (D.Lgs 231/01 9, Art. 9, comma 2, lettere a), b), c), d) ed e)):
a) l'interdizione dall'esercizio dell'attività;
b) la sospensione o la revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell'illecito;
c) il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio;
d) l'esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l'eventuale revoca di quelli già concessi;
e) il divieto di pubblicizzare beni o servizi.
Art. 25-Decies
Induzione a non rendere dichiarazioni o a rendere dichiarazioni mendaci all'autorita' giudiziaria
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1. In relazione alla commissione del delitto di cui all'articolo 377-bis del codice civile [rectius: "codice penale"] (1), si applica all'ente la sanzione pecuniaria fino a cinquecento quote.
(1) Il presente articolo è stato rinumerato quale art. 25-decies, dall'art. 2, D.Lgs n. 121/2011 e risulta ivi indicato (erroneamente) il riferimento al codice civile.
- Riferimenti normativi:
377-Bis c.p. Induzione a non rendere dichiarazioni o a rendere dichiarazioni mendaci all'autorità giudiziaria.
[I]. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, con violenza o minaccia, o con offerta o promessa di denaro o di altra utilità, induce a non rendere dichiarazioni o a rendere dichiarazioni mendaci la persona chiamata a rendere davanti alla autorità giudiziaria dichiarazioni utilizzabili in un procedimento penale, quando questa ha la facoltà di non rispondere, è punito con la reclusione da due a sei anni.
Art. 25-Undecies
Reati ambientali (*)
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1. In relazione alla commissione dei reati previsti dal codice penale, si applicano all'ente le seguenti sanzioni pecuniarie:
a) per la violazione dell'articolo 452-bis, la sanzione pecuniaria da duecentocinquanta a seicento quote; (**)
b) per la violazione dell'articolo 452-quater, la sanzione pecuniaria da quattrocento a ottocento quote; (**)
c) per la violazione dell'articolo 452-quinquies, la sanzione pecuniaria da duecento a cinquecento quote; (**)
d) per i delitti associativi aggravati ai sensi dell'articolo 452-octies, la sanzione pecuniaria da trecento a mille quote; (**)
e) per il delitto di traffico e abbandono di materiale ad alta radioattività ai sensi dell'articolo 452-sexies, la sanzione pecuniaria da duecentocinquanta a seicento quote; (**)
f) per la violazione dell'articolo 727-bis, la sanzione pecuniaria fino a duecentocinquanta quote; (**)
g) per la violazione dell'articolo 733-bis, la sanzione pecuniaria da centocinquanta a duecentocinquanta quote; (**)
1-bis. Nei casi di condanna per i delitti indicati al comma 1, lettere a) e b), del presente articolo, si applicano, oltre alle sanzioni pecuniarie ivi previste, le sanzioni interdittive previste dall'articolo 9, per un periodo non superiore a un anno per il delitto di cui alla citata lettera a). (**)
2. In relazione alla commissione dei reati previsti dal decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, si applicano all'ente le seguenti sanzioni pecuniarie:
a) per i reati di cui all'articolo 137:
1) per la violazione dei commi 3, 5, primo periodo, e 13, la sanzione pecuniaria da centocinquanta a duecentocinquanta quote;
2) per la violazione dei commi 2, 5, secondo periodo, e 11, la sanzione pecuniaria da duecento a trecento quote.
b) per i reati di cui all'articolo 256:
1) per la violazione dei commi 1, lettera a), e 6, primo periodo, la sanzione pecuniaria fino a duecentocinquanta quote;
2) per la violazione dei commi 1, lettera b), 3, primo periodo, e 5, la sanzione pecuniaria da centocinquanta a duecentocinquanta quote;
3) per la violazione del comma 3, secondo periodo, la sanzione pecuniaria da duecento a trecento quote;
c) per i reati di cui all'articolo 257:
1) per la violazione del comma 1, la sanzione pecuniaria fino a duecentocinquanta quote;
2) per la violazione del comma 2, la sanzione pecuniaria da centocinquanta a duecentocinquanta quote;
d) per la violazione dell'articolo 258, comma 4, secondo periodo, la sanzione pecuniaria da centocinquanta a duecentocinquanta quote;
e) per la violazione dell'articolo 259, comma 1, la sanzione pecuniaria da centocinquanta a duecentocinquanta quote;
f) per il delitto di cui all'articolo 260, la sanzione pecuniaria da trecento a cinquecento quote, nel caso previsto dal comma 1 e da quattrocento a ottocento quote nel caso previsto dal comma 2;
g) per la violazione dell'articolo 260-bis, la sanzione pecuniaria da centocinquanta a duecentocinquanta quote nel caso previsto dai commi 6, 7, secondo e terzo periodo, e 8, primo periodo, e la sanzione pecuniaria da duecento a trecento quote nel caso previsto dal comma 8, secondo periodo;
h) per la violazione dell'articolo 279, comma 5, la sanzione pecuniaria fino a duecentocinquanta quote.
3. In relazione alla commissione dei reati previsti dalla legge 7 febbraio 1992, n. 150, si applicano all'ente le seguenti sanzioni pecuniarie:
a) per la violazione degli articoli 1, comma 1, 2, commi 1 e 2, e 6, comma 4, la sanzione pecuniaria fino a duecentocinquanta quote;
b) per la violazione dell'articolo 1, comma 2, la sanzione pecuniaria da centocinquanta a duecentocinquanta quote;
c) per i reati del codice penale richiamati dall'articolo 3-bis, comma 1, della medesima legge n. 150 del 1992, rispettivamente:
1) la sanzione pecuniaria fino a duecentocinquanta quote, in caso di commissione di reati per cui è prevista la pena non superiore nel massimo ad un anno di reclusione;
2) la sanzione pecuniaria da centocinquanta a duecentocinquanta quote, in caso di commissione di reati per cui è prevista la pena non superiore nel massimo a due anni di reclusione;
3) la sanzione pecuniaria da duecento a trecento quote, in caso di commissione di reati per cui è prevista la pena non superiore nel massimo a tre anni di reclusione;
4) la sanzione pecuniaria da trecento a cinquecento quote, in caso di commissione di reati per cui è prevista la pena superiore nel massimo a tre anni di reclusione.
4. In relazione alla commissione dei reati previsti dall'articolo 3, comma 6, della legge 28 dicembre 1993, n. 549, si applica all'ente la sanzione pecuniaria da centocinquanta a duecentocinquanta quote.
5. In relazione alla commissione dei reati previsti dal decreto legislativo 6 novembre 2007, n. 202, si applicano all'ente le seguenti sanzioni pecuniarie:
a) per il reato di cui all'articolo 9, comma 1, la sanzione pecuniaria fino a duecentocinquanta quote;
b) per i reati di cui agli articoli 8, comma 1, e 9, comma 2, la sanzione pecuniaria da centocinquanta a duecentocinquanta quote;
c) per il reato di cui all'articolo 8, comma 2, la sanzione pecuniaria da duecento a trecento quote.
6. Le sanzioni previste dal comma 2, lettera b), sono ridotte della metà nel caso di commissione del reato previsto dall'articolo 256, comma 4, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152.
7. Nei casi di condanna per i delitti indicati al comma 2, lettere a), n. 2), b), n. 3), e f), e al comma 5, lettere b) e c), si applicano le sanzioni interdittive previste dall'articolo 9, comma 2, del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, per una durata non superiore a sei mesi.
8. Se l'ente o una sua unità organizzativa vengono stabilmente utilizzati allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione dei reati di cui all'articolo 260 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e all'articolo 8 del decreto legislativo 6 novembre 2007, n. 202, si applica la sanzione dell'interdizione definitiva dall'esercizio dell'attività ai sensi dell'art. 16, comma 3, del decreto legislativo 8 giugno 2001 n. 231.
(*) Articolo aggiunto dall'art. 2, comma II, D.lgs 7.04.2011, n. 121.
(**) Così come inserito o novellato dalla L. n. 68 del 22.05.2015 (G.U. Serie Generale n. 122 del 28.5.2015), in vigore dal 29.05.2015.
- Riferimenti normativi:
Art. 32-Quater c.p. - Casi nei quali alla condanna consegue l'incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione.
[I] Ogni condanna per i delitti previsti dagli articoli316-bis, 316-ter, 317, 318, 319, 319-bis, 319-quater, 320, 321, 322, 322-bis, 353, 355, 356, 416, 416-bis, 437, 452, 452-quater, 452-sexies, 452-septies, 501, 501-bis, 640, numero 1) del secondo comma, 640-bis, 644, nonché dall'articolo 260 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 e successive modificazioni, commessi in danno o in vantaggio di un'attività imprenditoriale o comunque in relazione ad essa, importa l'incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione.
Art. 434 c.p. Crollo di costruzioni o altri disastri dolosi.
[I] Chiunque, fuori dei casi preveduti dagli articoli precedenti, commette un fatto diretto a cagionare il crollo di una costruzione o di una parte di essa ovvero un altro disastro è punito, se dal fatto deriva pericolo per la pubblica incolumità, con la reclusione da uno a cinque anni.
[II] La pena è della reclusione da tre a dodici anni se il crollo o il disastro avviene.
Art. 452-Bis c.p. - Inquinamento ambientale. (*) (**)
[I] È punito con la reclusione da due a sei anni e con la multa da euro 10.000 a euro 100.000 chiunque abusivamente cagiona una compromissione o un deterioramento significativi e misurabili:
1) delle acque o dell'aria, o di porzioni estese o significative del suolo o del sottosuolo;
2) di un ecosistema, della biodiversità, anche agraria, della flora o della fauna. Quando l'inquinamento è prodotto in un'area naturale protetta o sottoposta a vincolo paesaggistico, ambientale, storico, artistico, architettonico o archeologico, ovvero in danno di specie animali o vegetali protette, la pena è aumentata.
(*) Articolo inserito ex L. 68/2015 (in vigore dal 29 maggio 2015).
(**) leggasi l'art. 452-bis c.p. in combinato disposto con l'art. 32-quater c.p. ut supra riportato.
art. 452-Quater c.p. - Disastro ambientale. (*) (**)
[I] Fuori dai casi previsti dall'articolo 434, chiunque abusivamente cagiona un disastro ambientale è punito con la reclusione da cinque a quindici anni. Costituiscono disastro ambientale alternativamente:
1) l'alterazione irreversibile dell'equilibrio di un ecosistema;
2) l'alterazione dell'equilibrio di un ecosistema la cui eliminazione risulti particolarmente onerosa e conseguibile solo con provvedimenti eccezionali;
3) l'offesa alla pubblica incolumità in ragione della rilevanza del fatto per l'estensione della compromissione o dei suoi effetti lesivi ovvero per il numero delle persone offese o esposte a pericolo.
[II] Quando il disastro è prodotto in un'area naturale protetta o sottoposta a vincolo paesaggistico, ambientale, storico, artistico, architettonico o archeologico, ovvero in danno di specie animali o vegetali protette, la pena è aumentata.
(*) Articolo inserito ex L. 68/2015 (in vigore dal 29 maggio 2015).
(**) leggasi l'articolo de quo in combinato disposto con l'art. 32-quater c.p. ut supra riportato.
art. 452-Quinquies c.p. - Delitti colposi contro l'ambiente. (*)
[I] Se taluno dei fatti di cui agli articoli 452-bis e 452-quater è commesso per colpa, le pene previste dai medesimi articoli sono diminuite da un terzo a due terzi.
[II] Se dalla commissione dei fatti di cui al comma precedente deriva il pericolo di inquinamento ambientale o di disastro ambientale le pene sono ulteriormente diminuite di un terzo.
(*) Articolo inserito ex L. 68/2015 (in vigore dal 29 maggio 2015).
art. 452-sexies c.p. - Traffico e abbandono di materiale ad alta radioattività. (*)
[I] Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da due a sei anni e con la multa da euro 10.000 a euro 50.000 chiunque abusivamente cede, acquista, riceve, trasporta, importa, esporta, procura ad altri, detiene, trasferisce, abbandona o si disfa illegittimamente di materiale ad alta radioattività.
[II] La pena di cui al primo comma è aumentata se dal fatto deriva il pericolo di compromissione o deterioramento:
1) delle acque o dell'aria, o di porzioni estese o significative del suolo o del sottosuolo;
2) di un ecosistema, della biodiversità, anche agraria, della flora o della fauna.
[III] Se dal fatto deriva pericolo per la vita o per l'incolumità delle persone, la pena è aumentata fino alla metà.
(*) Articolo inserito ex L. 68/2015 (in vigore dal 29 maggio 2015).
art. 452-Octies c.p. - Circostanze aggravanti (*)
[I] Quando l'associazione di cui all'articolo 416 è diretta, in via esclusiva o concorrente, allo scopo di commettere taluno dei delitti previsti dal presente titolo, le pene previste dal medesimo articolo 416 sono aumentate.
[II] Quando l'associazione di cui all'articolo 416-bis è finalizzata a commettere taluno dei delitti previsti dal presente titolo ovvero all'acquisizione della gestione o comunque del controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, di appalti o di servizi pubblici in materia ambientale, le pene previste dal medesimo articolo 416-bis sono aumentate.
[III] Le pene di cui ai commi primo e secondo sono aumentate da un terzo alla metà se dell'associazione fanno parte pubblici ufficiali o incaricati di un pubblico servizio che esercitano funzioni o svolgono servizi in materia ambientale.
(*) Articolo inserito ex L. 68/2015 (in vigore dal 29 maggio 2015).
Art. 727-Bis c.p. - Uccisione, distruzione, cattura, prelievo, detenzione di esemplari di specie animali o vegetali selvatiche protette. (*)
[I] Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, fuori dai casi consentiti, uccide, cattura o detiene esemplari appartenenti ad una specie animale selvatica protetta è punito con l'arresto da uno a sei mesi o con l'ammenda fino a 4. 000 euro, salvo i casi in cui l'azione riguardi una quantità trascurabile di tali esemplari e abbia un impatto trascurabile sullo stato di conservazione della specie.
[II] Chiunque, fuori dai casi consentiti, distrugge, preleva o detiene esemplari appartenenti ad una specie vegetale selvatica protetta è punito con l'ammenda fino a 4. 000 euro, salvo i casi in cui l'azione riguardi una quantità trascurabile di tali esemplari e abbia un impatto trascurabile sullo stato di conservazione della specie.
(*) Articolo aggiunto dalla lettera b) del comma 1 dell'art. 1, D.Lgs 7.07.2011, n. 121.
Art. 733-Bis c.p. - Distruzione o deterioramento di habitat all'interno di un sito protetto (*)
[I] Chiunque, fuori dai casi consentiti, distrugge un habitat all'interno di un sito protetto o comunque lo deteriora compromettendone lo stato di conservazione, è punito con l'arresto fino a diciotto mesi e con l'ammenda non inferiore a 3. 000 euro.
[II] Ai fini dell'applicazione dell'articolo 727-bis del codice penale, per specie animali o vegetali selvatiche protette si intendono quelle indicate nell'allegato IV della direttiva 92/43/CE e nell'allegato I della direttiva 2009/147/CE.
[III] Ai fini dell'applicazione dell'articolo 733-bis del codice penale per 'habitat all'interno di un sito protetto si intende qualsiasi habitat di specie per le quali una zona sia classificata come zona a tutela speciale a norma dell'articolo 4, paragrafi 1 o 2, della direttiva 2009/147/CE, o qualsiasi habitat naturale o un habitat di specie per cui un sito sia designato come zona speciale di conservazione a norma dell'art. 4, paragrafo 4, della direttiva 92/43/CE.
(*) Articolo aggiunto dalla lettera b) del comma 1 dell'art. 1, D.Lgs 7.07.2011, n. 121.
Codice dell'Ambiente - D.Lgs 152/06
Art. 103 C. Amb. - Scarichi sul suolo
[I] È vietato lo scarico sul suolo o negli strati superficiali del sottosuolo, fatta eccezione:
a) per i casi previsti dall'articolo 100, comma 3;
b) per gli scaricatori di piena a servizio delle reti fognarie;
c) per gli scarichi di acque reflue urbane e industriali per i quali sia accertata l'impossibilità tecnica o l'eccessiva onerosità, a fronte dei benefici ambientali conseguibili, a recapitare in corpi idrici superficiali, purché gli stessi siano conformi ai criteri ed ai valori-limite di emissione fissati a tal fine dalle regioni ai sensi dell'articolo 101, comma 2. Sino all'emanazione di nuove norme regionali si applicano i valori limite di emissione della Tabella 4 dell'Allegato 5 alla parte terza del presente decreto;
d) per gli scarichi di acque provenienti dalla lavorazione di rocce naturali nonché dagli impianti di lavaggio delle sostanze minerali, purché i relativi fanghi siano costituiti esclusivamente da acqua e inerti naturali e non comportino danneggiamento delle falde acquifere o instabilità dei suoli;
e) per gli scarichi di acque meteoriche convogliate in reti fognarie separate;
f) per le acque derivanti dallo sfioro dei serbatoi idrici, dalle operazioni di manutenzione delle reti idropotabili e dalla manutenzione dei pozzi di acquedotto.
[II] Al di fuori delle ipotesi previste al comma 1, gli scarichi sul suolo esistenti devono essere convogliati in corpi idrici superficiali, in reti fognarie ovvero destinati al riutilizzo in conformità alle prescrizioni fissate con il decreto di cui all'articolo 99, comma 1. In caso di mancata ottemperanza agli obblighi indicati, l'autorizzazione allo scarico si considera a tutti gli effetti revocata.
[III] Gli scarichi di cui alla lettera c) del comma 1 devono essere conformi ai limiti della Tabella 4 dell'Allegato 5 alla parte terza del presente decreto. Resta comunque fermo il divieto di scarico sul suolo delle sostanze indicate al punto 2.1 dell'Allegato 5 alla parte terza del presente decreto.
Art. 104 C. Amb. - Scarichi nel sottosuolo e nelle acque sotterranee
[I] È vietato lo scarico diretto nelle acque sotterranee e nel sottosuolo.
[II] In deroga a quanto previsto al comma 1, l'autorità competente, dopo indagine preventiva, può autorizzare gli scarichi nella stessa falda delle acque utilizzate per scopi geotermici, delle acque di infiltrazione di miniere o cave o delle acque pompate nel corso di determinati lavori di ingegneria civile, ivi comprese quelle degli impianti di scambio termico.
[III] In deroga a quanto previsto al comma 1, per i giacimenti a mare, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, d'intesa con il Ministero dello sviluppo economico e, per i giacimenti a terra, ferme restando le competenze del Ministero dello sviluppo economico in materia di ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi, le regioni possono autorizzare lo scarico di acque risultanti dall'estrazione di idrocarburi nelle unita' geologiche profonde da cui gli stessi idrocarburi sono stati estratti ovvero in unita' dotate delle stesse caratteristiche che contengano, o abbiano contenuto, idrocarburi, indicando le modalita' dello scarico. Lo scarico non deve contenere altre acque di scarico o altre sostanze pericolose diverse, per qualita' e quantita', da quelle derivanti dalla separazione degli idrocarburi. Le relative autorizzazioni sono rilasciate con la prescrizione delle precauzioni tecniche necessarie a garantire che le acque di scarico non possano raggiungere altri sistemi idrici o nuocere ad altri ecosistemi (1).
[IV] In deroga a quanto previsto al comma 1, l'autorità competente, dopo indagine preventiva anche finalizzata alla verifica dell'assenza di sostanze estranee, può autorizzare gli scarichi nella stessa falda delle acque utilizzate per il lavaggio e la lavorazione degli inerti, purché i relativi fanghi siano costituiti esclusivamente da acqua ed inerti naturali ed il loro scarico non comporti danneggiamento alla falda acquifera. A tal fine, l'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente (ARPA) competente per territorio, a spese del soggetto richiedente l'autorizzazione, accerta le caratteristiche quantitative e qualitative dei fanghi e l'assenza di possibili danni per la falda, esprimendosi con parere vincolante sulla richiesta di autorizzazione allo scarico.
[IV-bis] Fermo restando il divieto di cui al comma 1, l'autorità competente, al fine del raggiungimento dell'obiettivo di qualità dei corpi idrici sotterranei, può autorizzare il ravvenamento o l'accrescimento artificiale dei corpi sotterranei, nel rispetto dei criteri stabiliti con decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. L'acqua impiegata può essere di provenienza superficiale o sotterranea, a condizione che l'impiego della fonte non comprometta la realizzazione degli obiettivi ambientali fissati per la fonte o per il corpo idrico sotterraneo oggetto di ravvenamento o accrescimento. Tali misure sono riesaminate periodicamente e aggiornate quando occorre nell'ambito del Piano di tutela e del Piano di gestione.
[V] Per le attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi o gassosi in mare, lo scarico delle acque diretto in mare avviene secondo le modalità previste dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio con proprio decreto, purché la concentrazione di olii minerali sia inferiore a 40 mg/1. Lo scarico diretto a mare è progressivamente sostituito dalla iniezione o reiniezione in unità geologiche profonde, non appena disponibili pozzi non più produttivi ed idonei all'iniezione o reiniezione, e deve avvenire comunque nel rispetto di quanto previsto dai commi 2 e 3.
[V-bis] In deroga a quanto previsto al comma 1 è consentita l'iniezione, a fini di stoccaggio, di flussi di biossido di carbonio in formazioni geologiche prive di scambio di fluidi con altre formazioni che per motivi naturali sono definitivamente inadatte ad altri scopi, a condizione che l'iniezione sia effettuata a norma del decreto legislativo di recepimento della direttiva 2009/31/CE in materia di stoccaggio geologico di biossido di carbonio.
[VI] Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, in sede di autorizzazione allo scarico in unità geologiche profonde di cui al comma 3, autorizza anche lo scarico diretto a mare, secondo le modalità previste dai commi 5 e 7, per i seguenti casi:
a) per la frazione di acqua eccedente, qualora la capacità del pozzo iniettore o reiniettore non sia sufficiente a garantire la ricezione di tutta l'acqua risultante dall'estrazione di idrocarburi;
b) per il tempo necessario allo svolgimento della manutenzione, ordinaria e straordinaria, volta a garantire la corretta funzionalità e sicurezza del sistema costituito dal pozzo e dall'impianto di iniezione o di reiniezione.
[VII] Lo scarico diretto in mare delle acque di cui ai commi 5 e 6 è autorizzato previa presentazione di un piano di monitoraggio volto a verificare l'assenza di pericoli per le acquee per gli ecosistemi acquatici.
[IIX] Al di fuori delle ipotesi previste dai commi 2, 3, 5 e 7, gli scarichi nel sottosuolo e nelle acque sotterranee, esistenti e debitamente autorizzati, devono essere convogliati in corpi idrici superficiali ovvero destinati, ove possibile, al riciclo, al riutilizzo o all'utilizzazione agronomica. In caso di mancata ottemperanza agli obblighi indicati, l'autorizzazione allo scarico è revocata.
Art. 107 C. Amb. - Scarichi in reti fognarie
[I] Ferma restando l'inderogabilità dei valori-limite di emissione di cui alla tabella 3/A dell'Allegato 5 alla parte terza del presente decreto e, limitatamente ai parametri di cui alla nota 2 della Tabella 5 del medesimo Allegato 5, alla Tabella 3, gli scarichi di acque reflue industriali che recapitano in reti fognarie sono sottoposti alle norme tecniche, alle prescrizioni regolamentari e ai valori-limite adottati dall'ente di governo dell'ambito competente in base alle caratteristiche dell'impianto, e in modo che sia assicurata la tutela del corpo idrico ricettore nonché il rispetto della disciplina degli scarichi di acque reflue urbane definita ai sensi dell'articolo 101, commi 1 e 2.
108 C.Amb. - Scarichi di sostanze pericolose
... [comma IV] Per le sostanze di cui alla Tabella 3/A dell'Allegato 5 alla parte terza del presente decreto, derivanti dai cicli produttivi indicati nella medesima tabella, le autorizzazioni stabiliscono altresì la quantità massima della sostanza espressa in unità di peso per unità di elemento caratteristico dell'attività inquinante e cioè per materia prima o per unità di prodotto, in conformità con quanto indicato nella stessa Tabella. Gli scarichi contenenti le sostanze pericolose di cui al comma 1 sono assoggettati alle prescrizioni di cui al punto 1.2.3. dell'Allegato 5 alla parte terza del presente decreto.
Art. 137 C. Amb. - Sanzioni penali
[I] Fuori dai casi sanzionati ai sensi dell'articolo 29-quattuordecies, comma 1, chiunque apra o comunque effettui nuovi scarichi di acque reflue industriali, senza autorizzazione, oppure continui ad effettuare o mantenere detti scarichi dopo che l'autorizzazione sia stata sospesa o revocata, è punito con l'arresto da due mesi a due anni o con l'ammenda da millecinquecento euro a diecimila euro.
[II] Quando le condotte descritte al comma 1 riguardano gli scarichi di acque reflue industriali contenenti le sostanze pericolose comprese nelle famiglie e nei gruppi di sostanze indicate nelle tabelle 5 e 3/A dell'Allegato 5 alla parte terza del presente decreto, la pena è dell'arresto da tre mesi a tre anni e dell'ammenda da 5.000 euro a 52.000 euro.
[III] Chiunque, al di fuori delle ipotesi di cui al comma 5 o di cui all'articolo 29-quattuordecies, comma 3, effettui uno scarico di acque reflue industriali contenenti le sostanze pericolose comprese nelle famiglie e nei gruppi di sostanze indicate nelle tabelle 5 e 3/A dell'Allegato 5 alla parte terza del presente decreto senza osservare le prescrizioni dell'autorizzazione, o le altre prescrizioni dell'autorità competente a norma degli articoli 107, comma 1, e 108, comma 4, è punito con l'arresto fino a due anni.
...[V] Salvo che il fatto costituisca più grave reato chiunque, in relazione alle sostanze indicate nella tabella 5 dell'Allegato 5 alla parte terza del presente decreto, nell'effettuazione di uno scarico di acque reflue industriali, superi i valori limite fissati nella tabella 3 o, nel caso di scarico sul suolo, nella tabella 4 dell'Allegato 5 alla parte terza del presente decreto, oppure i limiti più restrittivi fissati dalle regioni o dalle province autonome o dall'Autorità competente a norma dell'articolo 107, comma 1, e' punito con l'arresto fino a due anni e con l'ammenda da tremila euro a trentamila euro. Se sono superati anche i valori limite fissati per le sostanze contenute nella tabella 3/A del medesimo Allegato 5, si applica l'arresto da sei mesi a tre anni e l'ammenda da seimila euro a centoventimila euro.
...[XI] Chiunque non osservi i divieti di scarico previsti dagli articoli 103 e articolo 104 è punito con l'arresto sino a tre anni.
...[XIII] Si applica sempre la pena dell'arresto da due mesi a due anni se lo scarico nelle acque del mare da parte di navi od aeromobili contiene sostanze o materiali per i quali è imposto il divieto assoluto di sversamento ai sensi delle disposizioni contenute nelle convenzioni internazionali vigenti in materia e ratificate dall'Italia, salvo che siano in quantità tali da essere resi rapidamente innocui dai processi fisici, chimici e biologici, che si verificano naturalmente in mare e purché in presenza di preventiva autorizzazione da parte dell'autorità competente.
Art. 187 C. Amb. - Divieto di miscelazione di rifiuti pericolosi
[I] E' vietato miscelare rifiuti pericolosi aventi differenti caratteristiche di pericolosità ovvero rifiuti pericolosi con rifiuti non pericolosi. La miscelazione comprende la diluizione di sostanze pericolose.
[II] In deroga al comma 1, la miscelazione dei rifiuti pericolosi che non presentino la stessa caratteristica di pericolosita', tra loro o con altri rifiuti, sostanze o materiali, può essere autorizzata ai sensi degli articoli 208, 209 e 211 a condizione che:
a) siano rispettate le condizioni di cui all'articolo 177, comma 4, e l'impatto negativo della gestione dei rifiuti sulla salute umana e sull'ambiente non risulti accresciuto;
b) l'operazione di miscelazione sia effettuata da un ente o da un'impresa che ha ottenuto un'autorizzazione ai sensi degli articoli 208, 209 e 211;
c) l'operazione di miscelazione sia conforme alle migliori tecniche disponibili di cui all'articoli 183, comma 1, lettera nn).
[II-bis] Gli effetti delle autorizzazioni in essere relative all'esercizio degli impianti di recupero o di smaltimento di rifiuti che prevedono la miscelazione di rifiuti speciali, consentita ai sensi del presente articolo e dell'allegato G alla parte quarta del presente decreto, nei testi vigenti prima della data di entrata in vigore del decreto legislativo 3 dicembre 2010, n. 205, restano in vigore fino alla revisione delle autorizzazioni medesime.
[III] Fatta salva l'applicazione delle sanzioni specifiche ed in particolare di quelle di cui all'articolo 256, comma 5, chiunque viola il divieto di cui al comma 1 e' tenuto a procedere a proprie spese alla separazione dei rifiuti miscelati, qualora sia tecnicamente ed economicamente possibile e nel rispetto di quanto previsto dall'articolo 177, comma 4
Art. 192 C.Amb.- Divieto di abbandono [di rifiuti]
[I] L'abbandono e il deposito incontrollati di rifiuti sul suolo e nel suolo sono vietati.
[II] È altresì vietata l'immissione di rifiuti di qualsiasi genere, allo stato solido o liquido, nelle acque superficiali e sotterranee.
[III] Fatta salva l'applicazione della sanzioni di cui agli articoli 255 e 256, chiunque viola i divieti di cui ai commi 1 e 2 è tenuto a procedere alla rimozione, all'avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti ed al ripristino dello stato dei luoghi in solido con il proprietario e con i titolari di diritti reali o personali di godimento sull'area, ai quali tale violazione sia imputabile a titolo di dolo o colpa, in base agli accertamenti effettuati, in contraddittorio con i soggetti interessati, dai soggetti preposti al controllo. Il Sindaco dispone con ordinanza le operazioni a tal fine necessarie ed il termine entro cui provvedere, decorso il quale procede all'esecuzione in danno dei soggetti obbligati ed al recupero delle somme anticipate.
[IV] Qualora la responsabilità del fatto illecito sia imputabile ad amministratori o rappresentanti di persona giuridica ai sensi e per gli effetti del comma 3, sono tenuti in solido la persona giuridica ed i soggetti che siano subentrati nei diritti della persona stessa, secondo le previsioni del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, in materia di responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni.
Art. 256 C. Amb. - Attività di gestione di rifiuti non autorizzata
[I] Fuori dai casi sanzionati ai sensi dell'articolo 29-quattuordecies, comma 1, chiunque effettua una attività di raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio ed intermediazione di rifiuti in mancanza della prescritta autorizzazione, iscrizione o comunicazione di cui agli articoli 208, 209, 210, 211, 212, 214, 215, e 216 è punito:
a) con la pena dell'arresto da tre mesi a un anno o con l'ammenda da duemilaseicento euro a ventiseimila euro se si tratta di rifiuti non pericolosi;
b) con la pena dell'arresto da sei mesi a due anni e con l'ammenda da duemilaseicento euro a ventiseimila euro se si tratta di rifiuti pericolosi.
...[III] Fuori dai casi sanzionati ai sensi dell'articolo 29-quattuordecies, comma 1, chiunque realizza o gestisce una discarica non autorizzata è punito con la pena dell'arresto da sei mesi a due anni e con l'ammenda da duemilaseicento euro a ventiseimila euro. Si applica la pena dell'arresto da uno a tre anni e dell'ammenda da euro cinquemiladuecento a euro cinquantaduemila se la discarica è destinata, anche in parte, allo smaltimento di rifiuti pericolosi. Alla sentenza di condanna o alla sentenza emessa ai sensi dell'articolo 444 c.p.p., consegue la confisca dell'area sulla quale è realizzata la discarica abusiva se di proprietà dell'autore o del compartecipe al reato, fatti salvi gli obblighi di bonifica o di ripristino dello stato dei luoghi.
...[V] Chiunque, in violazione del divieto di cui all'articolo 187, effettua attività non consentite di miscelazione di rifiuti, è punito con la pena di cui al comma 1, lettera b).
[VI] Chiunque effettua il deposito temporaneo presso il luogo di produzione di rifiuti sanitari pericolosi, con violazione delle disposizioni di cui all'articolo 227, comma 1, lettera b), è punito con la pena dell'arresto da tre mesi ad un anno o con la pena dell'ammenda da duemilaseicento euro a ventiseimila euro. Si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da duemilaseicento euro a quindicimilacinquecento euro per i quantitativi non superiori a duecento litri o quantità equivalenti.
Art. 257 C.Amb. - Bonifica dei siti
[I] Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque cagiona l'inquinamento del suolo, del sottosuolo, delle acque superficiali o delle acque sotterranee con il superamento delle concentrazioni soglia di rischio è punito con la pena dell'arresto da sei mesi a un anno o con l'ammenda da duemilaseicento euro a ventiseimila euro, se non provvede alla bonifica in conformità al progetto approvato dall'autorità competente nell'ambito del procedimento di cui agli articoli 242 e seguenti. In caso di mancata effettuazione della comunicazione di cui all' articolo 242, il trasgressore è punito con la pena dell'arresto da tre mesi a un anno o con l'ammenda da mille euro a ventiseimila euro. (*)
[II] Si applica la pena dell'arresto da un anno a due anni e la pena dell'ammenda da cinquemiladuecento euro a cinquantaduemila euro se l'inquinamento è provocato da sostanze pericolose.
[III] Nella sentenza di condanna per la contravvenzione di cui ai commi 1 e 2, o nella sentenza emessa ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale, il beneficio della sospensione condizionale della pena può essere subordinato alla esecuzione degli interventi di emergenza, bonifica e ripristino ambientale.
[IV] L'osservanza dei progetti approvati ai sensi degli articoli 242 e seguenti costituisce condizione di non punibilità per le contravvenzioni ambientali contemplate da altre leggi per il medesimo evento e per la stessa condotta di inquinamento di cui al comma 1. (*)
(*) Articolo novellato ex L. 68/2015 (in vigore dal 29 maggio 2015).
258 C.Amb - Violazione degli obblighi di comunicazione, di tenuta dei registri obbligatori e dei formulari
...[comma IV] Le imprese che raccolgono e trasportano i propri rifiuti non pericolosi di cui all'articolo 212, comma 8, che non aderiscono, su base volontaria, al sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti (SISTRI) di cui all'articolo 188-bis, comma 2, lettera a), ed effettuano il trasporto di rifiuti senza il formulario di cui all'articolo 193 ovvero indicano nel formulario stesso dati incompleti o inesatti sono puniti con la sanzione amministrativa pecuniaria da milleseicento euro a novemilatrecento euro. Si applica la pena di cui all'articolo 483 del codice penale a chi, nella predisposizione di un certificato di analisi di rifiuti, fornisce false indicazioni sulla natura, sulla composizione e sulle caratteristiche chimico-fisiche dei rifiuti e a chi fa uso di un certificato falso durante il trasporto.
Art. 259 C.Amb. -Traffico illecito di rifiuti
[I] Chiunque effettua una spedizione di rifiuti costituente traffico illecito ai sensi dell'articolo 26 del regolamento (CEE) 1° febbraio 1993, n. 259, o effettua una spedizione di rifiuti elencati nell'Allegato II del citato regolamento in violazione dell'articolo 1, comma 3, lettere a), b), c) e d), del regolamento stesso è punito con la pena dell'ammenda da millecinquecentocinquanta euro a ventiseimila euro e con l'arresto fino a due anni. La pena è aumentata in caso di spedizione di rifiuti pericolosi.
Art. 260 C. Amb. - Attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti (*)
[I] Chiunque, al fine di conseguire un ingiusto profitto, con più operazioni e attraverso l'allestimento di mezzi e attività continuative organizzate, cede, riceve, trasporta, esporta, importa, o comunque gestisce abusivamente ingenti quantitativi di rifiuti è punito con la reclusione da uno a sei anni,
[II] Se si tratta di rifiuti ad alta radioattività si applica la pena della reclusione da tre a otto anni.
[III] Alla condanna conseguono le pene accessorie di cui agli articoli 28, 30, 32-bis e 32-ter del codice penale, con la limitazione di cui all'articolo 33 del medesimo codice.
[IV] Il giudice, con la sentenza di condanna o con quella emessa ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale, ordina il ripristino dello stato dell'ambiente e può subordinare la concessione della sospensione condizionale della pena all'eliminazione del danno o del pericolo per l'ambiente.
[IV-Bis] È sempre ordinata la confisca delle cose che servirono a commettere il reato o che costituiscono il prodotto o il profitto del reato, salvo che appartengano a persone estranee al reato. Quando essa non sia possibile, il giudice individua beni di valore equivalente di cui il condannato abbia anche indirettamente o per interposta persona la disponibilità e ne ordina la confisca. (**)
(*) leggasi l'articolo de quo in combinato disposto con l'art. 32-quater c.p. ut supra riportato.
(**) Articolo inserito ex L. 68/2015 (in vigore dal 29 maggio 2015).
260-bis C. Amb. - Sistema informatico di controllo della tracciabilita' dei rifiuti
(Il presente articolo era stato abrogato dall' art. 6, co. II, lett. d), D:L. 13.08.2011, n. 138; successivamente, tale abrogazione non è stata confermata dalla legge di conversione ex L. 14.09.2011 n. 148)
...[comma VI] Si applica la pena di cui all' articolo 483 c.p. a colui che, nella predisposizione di un certificato di analisi di rifiuti, utilizzato nell'ambito del sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti fornisce false indicazioni sulla natura, sulla composizione e sulle caratteristiche chimico-fisiche dei rifiuti e a chi inserisce un certificato falso nei dati da fornire ai fini della tracciabilità dei rifiuti.
[VII] Il trasportatore che omette di accompagnare il trasporto dei rifiuti con la copia cartacea della scheda SISTRI - AREA MOVIMENTAZIONE e, ove necessario sulla base della normativa vigente, con la copia del certificato analitico che identifica le caratteristiche dei rifiuti e' punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 1.600 euro a 9.300 euro. Si applica la pena di cui all' art. 483 del codice penale in caso di trasporto di rifiuti pericolosi. Tale ultima pena si applica anche a colui che, durante il trasporto fa uso di un certificato di analisi di rifiuti contenente false indicazioni sulla natura, sulla composizione e sulle caratteristiche chimico-fisiche dei rifiuti trasportati.
[IIX] Il trasportatore che accompagna il trasporto di rifiuti con una copia cartacea della scheda SISTRI - AREA Movimentazione fraudolentemente alterata e' punito con la pena prevista dal combinato disposto degli articoli 477 e 482 del codice penale. La pena e' aumentata fino ad un terzo nel caso di rifiuti pericolosi.
...[IXbis] Chi con un'azione od omissione viola diverse disposizioni di cui al presente articolo ovvero commette più violazioni della stessa disposizione soggiace alla sanzione amministrativa prevista per la violazione più grave, aumentata sino al doppio. La stessa sanzione si applica a chi con più azioni od omissioni, esecutive di un medesimo disegno, commette anche in tempi diversi più violazioni della stessa o di diverse disposizioni di cui al presente articolo.
[IXter] Non risponde delle violazioni amministrative di cui al presente articolo chi, entro trenta giorni dalla commissione del fatto, adempie agli obblighi previsti dalla normativa relativa al sistema informatico di controllo di cui al comma 1. Nel termine di sessanta giorni dalla contestazione immediata o dalla notificazione della violazione, il trasgressore può definire la controversia, previo adempimento degli obblighi di cui sopra, con il pagamento di un quarto della sanzione prevista. La definizione agevolata impedisce l'irrogazione delle sanzioni accessorie.
Art. 279 C. Amb. - Sanzioni
...[comma V] Nei casi previsti dal comma 2 si applica sempre la pena dell'arresto fino ad un anno se il superamento dei valori limite di emissione determina anche il superamento dei valori limite di qualità dell'aria previsti dalla vigente normativa.
D.Lgs 152/06 - Cod. Ambiente - Parte terza
Allegato 5 - LIMITI DI EMISSIONE DEGLI SCARICHI IDRICI
Tabella 3. Valori limiti di emissione in acque superficiali e in fognatura.
Numero unità Scarico in acque Scarico in rete fognaria (*)
|
|
unità |
Scarico in acque |
Scarico in rete fognaria (*) |
parametro |
PARAMETRI |
di |
superficiali |
|
1 |
pH |
|
5,5-9,5 |
5,5-9,5 |
2 |
Temperatura |
°C |
[1] |
[1] |
3 |
colore |
|
non percettibile con |
non percettibile con |
|
|
|
diluizione 1:20 |
diluizione 1:40 |
4 |
odore |
|
non deve essere |
non deve essere causa di |
|
|
|
causa di molestie |
molestie |
5 |
materiali |
|
assenti |
assenti |
|
grossolani |
|
|
|
6 |
Solidi |
mg/L |
≤80 |
≤200 |
|
speciali |
|
|
|
|
totali [2; 2bis] |
|
|
|
7 |
BOD5 (come O2) |
mg/L |
≤40 |
≤250 |
|
[2] |
|
|
|
8 |
COD (come O2) |
mg/L |
≤160 |
≤500 |
|
[2] |
|
|
|
9 |
Alluminio |
mg/L |
≤1 |
≤2,0 |
10 |
Arsenico |
mg/L |
≤0,5 |
≤0,5 |
11 |
Bario |
mg/L |
≤20 |
- |
12 |
Boro |
mg/L |
≤2 |
≤4 |
13 |
Cadmio |
mg/L |
≤0,02 |
≤0,02 |
14 |
Cromo |
mg/L |
≤2 |
≤4 |
|
totale |
|
|
|
15 |
Cromo VI |
mg/L |
≤0,2 |
≤0,20 |
16 |
Ferro |
mg/L |
≤2 |
≤4 |
17 |
Manganese |
mg/L |
≤2 |
≤4 |
18 |
Mercurio |
mg/L |
≤0,005 |
≤0,005 |
19 |
Nichel |
mg/L |
≤2 |
≤4 |
20 |
Piombo |
mg/L |
≤0,2 |
≤0,3 |
21 |
Rame |
mg/L |
≤0,1 |
≤0,4 |
22 |
Selenio |
mg/L |
≤0,03 |
≤0,03 |
23 |
Stagno |
mg/L |
≤10 |
|
24 |
Zinco |
mg/L |
≤0,5 |
≤1,0 |
25 |
Cianuri |
mg/L |
≤0,5 |
≤1,0 |
|
totali |
|
|
|
|
(CN) |
mg/L |
|
|
26 |
Cloro |
mg/L |
≤0,2 |
≤0,3 |
|
attivo |
|
|
|
|
libero |
|
|
|
27 |
Solfuri |
mg/L |
≤1 |
≤2 |
|
(come H2S) |
|
|
|
28 |
Solfiti |
mg/L |
≤1 |
≤2 |
|
(come SO3) |
|
|
|
29 |
Solfati |
mg/L |
≤1000 |
≤1000 |
|
(come SO4) [3] |
|
|
|
30 |
Cloruri [3] |
mg/L |
≤1200 |
≤1200 |
31 |
Fluoruri |
mg/L |
≤6 |
≤12 |
32 |
Fosforo |
mg/L |
≤10 |
≤10 |
|
totale |
|
|
|
|
(come P) [2] |
|
|
|
33 |
Azoto |
mg/L |
≤15 |
≤30 |
|
ammoniacale |
|
|
|
|
(come NH4) [2] |
|
|
|
34 |
Azoto |
mg/L |
≤0,6 |
≤0,6 |
|
nitroso |
|
|
|
|
(come N) [2] |
|
|
|
35 |
Azoto |
mg/L |
≤20 |
≤30 |
|
nitrico |
|
|
|
|
(come N) [2] |
|
|
|
36 |
Grassi e olii |
mg/L |
≤20 |
≤40 |
|
animali/vegetali |
|
|
|
37 |
Idrocarburi |
mg/L |
≤5 |
≤10 |
|
totali |
|
|
|
38 |
Fenoli |
mg/L |
≤0,5 |
≤1 |
39 |
Aldeidi |
mg/L |
≤1 |
≤2 |
40 |
Solventi |
mg/L |
≤0,2 |
≤0,4 |
|
organici |
|
|
|
|
aromatici |
|
|
|
41 |
Solventi |
mg/L |
≤0,1 |
≤0,2 |
|
organici |
|
|
|
|
azotati [4] |
|
|
|
42 |
Tensioattivi |
mg/L |
≤2 |
≤4 |
|
totali |
|
|
|
43 |
Pesticidi |
mg/L |
≤0,10 |
≤0,10 |
|
fosforati |
|
|
|
44 |
Pesticidi totali |
mg/L |
≤0,05 |
≤0,05 |
|
(esclusi i fosforati) |
|
|
|
|
[5] |
|
|
|
|
tra cui: |
|
|
|
45 |
- aldrin |
mg/L |
≤0,01 |
≤0,01 |
46 |
- dieldrin |
mg/L |
≤0,01 |
≤0,01 |
47 |
- endrin |
mg/L |
≤0,002 |
≤0,002 |
48 |
- isodrin |
mg/L |
≤0,002 |
≤0,002 |
49 |
Solventi |
mg/L |
≤1 |
≤2 |
|
clorurati [5] |
|
|
|
50 |
Escherichia |
UFC/ 1 |
nota |
|
|
coli [4] |
00mL |
|
|
51 |
Saggio di |
|
il campione non é |
il campione non e accettabile |
|
tossicità |
|
accettabile quando |
quando dopo 24 ore il |
|
acuta [5] |
|
dopo 24 ore il |
numero degli organismi |
|
|
|
numero degli |
immobili è uguale o maggiore: |
|
|
|
organismi immobili |
è del 80% del totale |
|
|
|
uguale o maggiore |
|
|
|
|
del 50% del totale |
|
[*] I limiti per lo scarico in rete fognaria sono obbligatori in assenza di limiti stabiliti dall'autorità competente o in mancanza di un impianto finale di trattamento in grado di rispettare i limiti di emissione dello scarico finale. Limiti diversi devono essere resi conformi a quanto indicato alla nota 2 della tabella 5 relativa a sostanze pericolose.
[1] Per i corsi d'acqua la variazione massima tra temperature medie di qualsiasi sezione del corso d'acqua a monte e a valle del punto di immissione non deve superare i 3 °C. Su almeno metà di qualsiasi sezione a valle tale variazione non deve superare 1 °C. Per i laghi la temperatura dello scarico non deve superare i 30 °C e l'incremento di temperatura del corpo recipiente non deve in nessun caso superare i 3 °C oltre 50 metri di distanza dal punto di immissione. Per i canali artificiali, il massimo valore medio della temperatura dell'acqua di qualsiasi sezione non deve superare i 35 °C, la condizione suddetta è subordinata all'assenso del soggetto che gestisce il canale. Per il mare e per le zone di foce di corsi d'acqua non significativi, la temperatura dello scarico non deve superare i 35 °C e l'incremento di temperatura del corpo recipiente non deve in nessun caso superare i 3 °C oltre i 1000 metri di distanza dal punto di immissione. Deve inoltre essere assicurata la compatibilità ambientale dello scarico con il corpo recipiente ed evitata la formazione di barriere termiche alla foce dei fiumi.[2] Per quanto riguarda gli scarichi di acque reflue urbane valgono i limiti indicati in tabella 1 e, per le zone sensibili anche quelli di tabella 2. Per quanto riguarda gli scarichi di acque reflue industriali recapitanti in zone sensibili la concentrazione di fosforo totale e di azoto totale deve essere rispettivamente di 1 e 10 mg/L.
[2-bis] Tali limiti non valgono per gli scarichi in mare delle installazioni di cui all'allegato VIII alla parte seconda, per i quali i rispettivi documenti di riferimento sulle migliori tecniche disponibili di cui all'articolo 5, lettera l-ter.2), prevedano livelli di prestazione non compatibili con il medesimo valore limite. In tal caso, le Autorizzazioni Integrate Ambientali rilasciate per l'esercizio di dette installazioni possono prevedere valori limite di emissione anche più elevati e proporzionati ai livelli di produzione, fermo restando l'obbligo di rispettare le direttive e i regolamenti dell'Unione europea, nonché i valori limite stabiliti dalle Best Available Technologies Conclusion e le prestazioni ambientali fissate dai documenti BREF dell'Unione europea per i singoli settori di attività.
[3] Tali limiti non valgono per lo scarico in mare, in tal senso le zone di foce sono equiparate alle acque marine costiere, purché almeno sulla metà di una qualsiasi sezione a valle dello scarico non vengono disturbate le naturali variazioni della concentrazione di solfati o di cloruri.
[4] In sede di autorizzazione allo scarico dell'impianto per il trattamento di acque reflue urbane, da parte dell'autorità competente andrà fissato il limite più opportuno in relazione alla situazione ambientale e igienico sanitaria del corpo idrico recettore e agli usi esistenti. Si consiglia un limite non superiore ai 5000 UFC/ 100 m L.
[5] Il saggio di tossicità è obbligatorio. Oltre al saggio su Daphnia magna, possono essere eseguiti saggi di tossicità acuta su Ceriodaphnia dubia, Selenastrum capricornutum, batteri bioluminescenti o organismi quali Artemia salina, per scarichi di acqua salata o altri organismi tra quelli che saranno indicati ai sensi del punto 4 del presente allegato. In caso di esecuzione di più test di tossicità si consideri il risultato peggiore. Il risultato positivo della prova di tossicità non determina l'applicazione diretta delle sanzioni di cui al titolo V, determina altresì l'obbligo di approfondimento delle indagini analitiche, la ricerca delle cause di tossicità e la loro rimozione.
Tabella 3/A. Limiti di emissione per unità di prodotto riferiti a specifici cicli produttivi [**]
Settore produttivo |
Quantità scaricata per |
media |
media |
|
|
unità di prodotto (o |
mensile |
giorno [*] |
|
|
capacità di produzione) |
|
|
|
Cadmio |
|
|
|
|
Estrazione dello zinco, |
|
|
|
|
raffinazione del piombo e |
|
|
|
|
dello zinco, industria dei |
|
|
|
|
metalli non ferrosi e del |
|
|
|
|
cadmio metallico |
|
|
|
|
Fabbricazione dei composti |
|
0,5 |
|
|
del cadmio |
g/kg grammi di Cd |
|
|
|
|
scaricato per |
|
|
|
|
chilogrammo di Cd |
|
|
|
|
trattato |
|
|
|
Produzione di pigmenti |
g/kg (grammi di Cd |
0,3 |
|
|
|
scaricato per |
|
|
|
|
chilogrammo di Cd |
|
|
|
|
trattato) |
|
|
|
Fabbricazione di |
g/kg al (grammi di Cd |
0,5 |
|
|
stabilizzanti |
scaricato per |
|
|
|
|
chilogrammo di Cd |
|
|
|
|
trattato) |
|
|
|
Fabbricazione di batterie |
g/kg al (grammi di Cd |
1,5 |
|
|
primarie e secondarie |
scaricato per |
|
|
|
|
chilogrammo di Cd |
|
|
|
|
trattato) |
|
|
|
Galvanostegia |
g/kg al (grammi di Cd |
0,3 |
|
|
|
scaricato per |
|
|
|
|
chilogrammo di Cd |
|
|
|
|
trattato) |
|
|
|
Mercurio (settore dell'elettrolisi dei cloruri alcalini) |
||||
Salamoia riciclata - da |
g Hg/t di capacità di |
0,5 |
|
|
applicare all'Hg presente |
produzione di cloro, |
|
|
|
negli effluenti provenienti |
installata |
|
|
|
dall'unità di produzione del |
|
|
|
|
cloro |
|
|
|
|
Salamoia riciclata - da |
g Hg/t di capacità di |
1 |
|
|
applicare al totale del Hg |
produzione di cloro, |
|
|
|
presente in tutte le acque di |
installata |
|
|
|
scarico contenenti Hg |
|
|
|
|
provenienti dall'area dello |
|
|
|
|
stabilimento industriale |
|
|
|
|
Salamoia a perdere - da |
g Hg/t di capacità di |
5 |
|
|
applicare al totale del Hg |
produzione di cloro, |
|
|
|
presente in tutte le acque di |
installata |
|
|
|
scarico contenenti Hg |
|
|
|
|
provenienti dall'area dello |
|
|
|
|
stabilimento industriale. |
|
|
|
|
Mercurio (settori diversi da quello dell'elettrolisi dei cloruri alcalini) |
||||
Aziende che impiegano |
g/t capacità di |
0,1 |
|
|
catalizzatori all'Hg per la |
produzione di CVM |
|
|
|
produzione di cloruro di |
|
|
|
|
vinile |
|
|
|
|
Aziende che impiegano |
g/kg mercurio trattato |
5 |
|
|
catalizzatori all'Hg per altre |
|
|
|
|
produzioni |
|
|
|
|
Fabbricazione dei |
g/kg al mese mercurio |
0,7 |
|
|
catalizzatori contenenti Hg |
trattato |
|
|
|
utilizzati per la produzione |
|
|
|
|
di CVM |
|
|
|
|
Fabbricazione dei composti |
g/kg al mese mercurio |
0,05 |
|
|
organici ed inorganici del |
trattato |
|
|
|
mercurio |
|
|
|
|
Fabbricazione di batterie |
g/kg al mese mercurio |
0,03 |
|
|
primarie contenenti Hg |
trattato |
|
|
|
Industrie dei metalli non |
|
|
|
|
ferrosi |
|
|
|
|
- Stabilimenti di ricupero |
|
|
|
|
del mercurio [1] |
|
|
|
|
- Estrazione e raffinazione |
|
|
|
|
di metalli non ferrosi [1] |
|
|
|
|
Stabilimenti di trattamento |
|
|
|
|
dei rifiuti tossici contenenti |
|
|
|
|
mercurio |
|
|
|
|
Esaclorocicloesano (HCH) |
||||
Produzione HCH |
g HCH/t HCH prodotte |
2 |
|
|
Estrazione lindano |
g HCH/t HCH trattato |
4 |
|
|
Produzione ed estrazione |
|
|
|
|
lindano |
g HCH/t HCH prodotto |
5 |
|
|
DDT |
||||
Produzione DDT compresa |
g/t di sostanze |
4 |
8 |
|
la formulazione sul posto di |
prodotte, trattate o |
|
|
|
DDT |
utilizzate - valore |
|
|
|
|
mensile |
|
|
|
Pentaclorofenolo (PCP) |
||||
Produzione del PCP Na |
g/t di capacità di |
25 |
50 |
|
idrolisi dell'esaclorobenzene |
produzione o capacità |
|
|
|
|
di utilizzazione |
|
|
|
Aldrin, dieldrin, endrin, isodrin |
||||
Produzione e formulazione |
g/t capacità di |
3 |
15 |
|
di: Aldrin e/o dieldrin e/o |
produzione o capacità |
|
|
|
endrin e/o isoldrin |
di utilizzazione |
|
|
|
Produzione e trattamento di |
g HCB/t di capacità di |
10 |
|
|
HCB |
produzione di HCB |
|
|
|
Esaclorobenzene (HCB) |
||||
Produzione di |
g HCB/t di capacità di |
1,5 |
|
|
pereloroctilcne (PER) e di |
produzione totale di |
|
|
|
tetracloruro di carbonio |
PER + CC14 |
|
|
|
(CC14) mediante |
|
|
|
|
perclorurazione |
|
|
|
|
Produzione di tricloroetilene |
|
|
|
|
e/o percloetilene con altri |
|
|
|
|
procedimenti [1] |
|
|
|
|
Esaclorobutadiene |
||||
Produzione di |
g HCBD/t di capacità |
1,5 |
|
|
percloroetilene (PER) e di |
di produzione totale di |
|
|
|
tetracloruro di carbonio |
PER + CC14 |
|
|
|
(CC14) mediante |
|
|
|
|
perclorurazione |
|
|
|
|
Produzione di tricloroetilene |
|
|
|
|
e/o di percloroetilene |
|
|
|
|
mediante altri procedimenti |
|
|
|
|
[1] |
|
|
|
|
Cloroformio |
||||
Produzione clorometani del |
g CHC13/t di capacità |
10 |
|
|
metanolo o da combinazione |
di produzione di |
|
|
|
di metanolo e metano |
clorometani |
|
|
|
Produzione clorometani |
g CHC13/t di capacità |
7,5 |
|
|
mediante clorurazione del |
di produzione di |
|
|
|
metano |
clorometani |
|
|
|
Tetracloruro di carbonio |
||||
Produzione di tetracloruro |
g CC14/ t di capacità di |
30 |
40 |
|
di carbonio mediante |
produzione totale di |
|
|
|
perclorurazione - |
CC14 e di |
|
|
|
procedimento con lavaggio |
percloroetilene |
|
|
|
Produzione di tetracloruro |
g CC14/t di capacità di |
2,5 |
5 |
|
di carbonio mediante |
produzione totale di |
|
|
|
perclorurazione - |
CC14 e di |
|
|
|
procedimento senza lavaggio |
percloroetilene |
|
|
|
Produzione di clorometani |
|
|
|
|
mediante clorurazione del |
|
|
|
|
metano (compresa la |
|
|
|
|
clorolisi sotto pressione a |
|
|
|
|
partire dal metanolo) [1] |
|
|
|
|
Produzione di |
|
|
|
|
clorofluorocarburi ([1] |
|
|
|
|
1,2 dicloroetano (EDC) |
||||
Unicamente produzione 1,2 |
g/t |
2,5 |
5 |
|
dicloroetano |
|
|
|
|
Produzione 1,2 dicloroetano |
g/t |
5 |
10 |
|
e trasformazione e/o |
|
|
|
|
utilizzazione nello stesso |
|
|
|
|
stabilimento tranne che per |
|
|
|
|
l'utilizzazione nella |
|
|
|
|
produzione di scambiatori di |
|
|
|
|
calore |
|
|
|
|
Utilizzazione di EDC per lo |
|
|
|
|
sgrassaggio dei metalli (in |
|
|
|
|
stabilimenti industriali |
|
|
|
|
diversi da quelli del punto |
|
|
|
|
precedente) [2] |
|
|
|
|
Trasformazione di 1,2 |
g/t |
2,5 |
5 |
|
dicloetano in sostanze |
|
|
|
|
diverse dal cloruro di vinile |
|
|
|
|
Tricloroetilene |
||||
Produzione di tricloroetilene |
g/t |
2,5 |
5 |
|
(TRI) e (di pereloroetilene |
|
|
|
|
(PER) ([2] |
|
|
|
|
Utilizzazione TRI per lo |
|
|
|
|
sgrassaggio dei metalli [2] |
g/t |
|
|
|
Triclorobenzene (TCB) |
||||
Produzione di TCB per |
g/t |
10 |
|
|
disidroclorazione e/o |
|
|
|
|
trasformazione di TCB |
|
|
|
|
Produzione e trasformazione |
g/t |
0,5 |
|
|
di clorobenzeni mediante |
|
|
|
|
clorazione ([2] |
|
|
|
|
Percloroetilene (PER) |
||||
Produzione di tricloroetilene |
g/t |
2,5 |
5 |
|
(TRI) e di percloroetilene |
|
|
|
|
(procedimenti TRI-PER) |
|
|
|
|
Produzione di tetracloruro |
g/t |
2,5 |
20 |
|
di carbonio e di |
|
|
|
|
percloroetilene |
|
|
|
|
(procedimenti TETRA-PER) |
|
|
|
|
[2] |
|
|
|
|
Utilizzazione di PER per lo |
|
|
|
|
sgrassaggio metalli [2] |
|
|
|
|
Produzione di |
|
|
|
|
clorofluorocarbonio (1) |
|
|
|
Note alla tabella 3/A [*]
Qualora non diversamente indicato, i valori indicati sono riferiti a medie mensili. Ove non indicato esplicitamente si consideri come valore delle media giornaliera il doppio di quella mensile.
[**] Per i cicli produttivi che hanno uno scarico della sostanza pericolosa in questione, minore al quantitativo annuo indicato nello schema seguente, le autorità competenti all'autorizzazione possono evitare il procedimento autorizzativo. In tal caso valgono solo i limiti di tabella 3.
Sostanza pericolosa |
Quantità annua di sostanza inquinante scaricata |
|
considerata |
Cadmio |
10 Kg/anno di Cd (nel caso di stabilimenti di |
|
galvanostegia si applicano comunque i limiti di tabella |
|
3/A, quando la capacità complessiva delle vasche di |
|
galvanostegia super a 1,5 m3 |
Mercurio (settore |
È sempre richiesto il rispetto della tabella 3/A. |
dell'elettrolisi dei |
|
cloruri alcalini) |
|
Mercurio (settore |
7,5 Kg/anno di Hg |
diverse dell'elettrolisi |
|
dei cloruri alcalini) |
|
Esaclorocicloesano |
3 Kg/anno di HCH |
(HCH) |
|
DDT |
1 Kg/ anno di DDT |
Pentaclorofenolo |
3 Kg/anno di PCP |
(PCP) |
|
Aldrin, dieldrin, |
È sempre richiesto il rispetto della tabella 3/A. |
endrin, isodrin |
|
Esaclorobenzene |
1 Kg/anno di HCB |
(HCB) |
|
Esaclorobutadiene |
1 Kg/anno di HCBB |
(HCBB) |
|
Cloroformio |
30 Kg/anno di CHCL3 |
Tetracloruro di |
30 Kg/anno di TETRA |
carbonio (TETRA) |
|
1,2 dicloroetano |
30 Kg/anno di EDC |
(EDC) |
|
Tricloroetilene (TRI) |
30 Kg/ anno di TR1 |
Triclorobenzene |
È sempre richiesto il rispetto della tabella 3/A. |
(TCB) |
|
Percloroetilene (PER) |
30 Kg/anno di PER |
[1] Per questi cicli produttivi non vi sono limiti di massa per unità di prodotto, devono essere rispettati, solo i limiti di concentrazione indicati in tabella 3 in relazione alla singola sostanza o alla famiglia di sostanze di appartenenza.
[2] Per questi cicli produttivi non vengono indicati i limiti di massa per unità di prodotto, ma devono essere rispettati, oltre ai limiti di concentrazione indicati in tabella 3 per la famiglia di sostanze di appartenenza, i seguenti limiti di concentrazione:
|
Media |
Media |
|
giorno |
mese |
|
mg/L |
mg/L |
1,2 dicloroetano (EDC) Utilizzazione di EDC per lo |
0,2 |
0,1 |
sgrassaggio dei metalli in stabilimenti industriali diversi da |
|
|
quelli che producono, trasformano e/o utilizzano EDC nello |
|
|
stesso stabilimento |
|
|
Tricloroetilene (TRI) Produzione di tricloroetilene (TRI) e di |
0,5 |
1 |
percloroetilene (PER) |
|
|
Utilizzazione TRI per lo sgrassaggio dei metalli |
0,2 |
0,2 |
Triclorobenzene (TCB) Produzione e trasformazione di |
0,1 |
0,05 |
clorobenzeni mediante clorazione |
|
|
Percloroetilene (PER) Produzione di tricloroetilene (TRI) e di |
1 |
0,5 |
percloroetilene (Procedimenti TRI-PER) |
|
|
Utilizzazione di PER per lo sgrassaggio metalli |
0,2 |
0,1 |
Per verificare che gli scarichi soddisfano i limiti indicati nella tabella 3/A deve essere prevista una procedura di controllo che prevede:
• il prelievo quotidiano di un campione rappresentativo degli scarichi effettuati nel giro di 24 ore e la misurazione della concentrazione della sostanza in esame;
• la misurazione del flusso totale degli scarichi nello stesso arco di tempo.
La quantità di sostanza scaricata nel corso di un mese si calcola sommando le quantità scaricate ogni giorno nel corso del mese. Tale quantità va divisa per la quantità totale di prodotto o di materia prima.
Tabella 4. Limiti di emissione per le acque reflue urbane ed industriali che recapitano sul suolo
|
|
unità |
(il valore della concentrazione deve essere |
|
|
di |
minore o uguale a quello indicato) |
|
|
misura |
|
1 |
pH |
|
6-8 |
2 |
SAR |
|
10 |
3 |
Materiali grossolani |
- |
assenti |
4 |
Solidi sospesi totali |
mg/L |
25 |
5 |
BOD5 |
mgO2/L |
20 |
6 |
COD |
mgO2/L |
100 |
7 |
Azoto totale |
mg N/L |
15 |
8 |
Fosforo totale |
mg P/L |
2 |
9 |
Tensioattivi totali |
mg/L |
0,5 |
10 |
Alluminio |
mg/L |
1 |
11 |
Berillio |
mg/L |
0,1 |
12 |
Arsenico |
mg/L |
0,05 |
13 |
Bario |
mg/L |
10 |
14 |
Boro |
mg/L |
0,5 |
15 |
Cromo totale |
mg/L |
1 |
16 |
Ferro |
mg/L |
2 |
17 |
Manganese |
mg/L |
0,2 |
18 |
Nichel |
mg/L |
0,2 |
19 |
Piombo |
mg/L |
0,1 |
20 |
Rame |
mg/L |
0,1 |
21 |
Selenio |
mg/L |
0,002 |
22 |
Stagno |
mg/L |
3 |
23 |
Vanadio |
mg/L |
0,1 |
24 |
Zinco |
mg/L |
0,5 |
25 |
Solfuri |
mgH2S/L |
0,5 |
26 |
Solfiti |
mgSO3/L |
0,5 |
27 |
Solfati |
mgSO4/L |
500 |
28 |
Cloro attivo |
mg/L |
0,2 |
29 |
Cloruri |
mgCl/L |
200 |
30 |
Fluoruri |
mgF/L |
1 |
31 |
Fenoli totali |
mg/L |
0,1 |
32 |
Aldeidi totali |
mg/L |
0,5 |
33 |
Solventi organici |
mg/L |
0,01 |
|
aromatici totali |
|
|
34 |
Solventi organici |
mg/L |
0,01 |
|
azotati totali |
|
|
35 |
Saggio di tossicità su |
LC50 |
il campione non è accettabile quando dopo 24 |
|
Daphnia magna (vedi |
24h |
ore il numero degli organismi immobili è |
|
nota 8 di tabella 3) |
|
uguale o maggiore del 50% del totale |
36 |
Escherichia coli [] |
UFC/ |
|
|
|
100 |
|
|
|
mL |
|
[1] In sede di autorizzazione allo scarico dell'impianto per il trattamento di acque reflue urbane, da parte dell'autorità competente andrà fissato il limite più opportuno in relazione alla situazione ambientale e igienico sanitaria del corpo idrico recettore e agli usi esistenti. Si consiglia un limite non superiore ai 5000 UFC/100 mL.
Tabella 5. Sostanze per le quali non possono essere adottati limiti meno restrittivi di quelli indicati in tabella 3, per lo scarico in acque superficiali [1] e per lo scarico in rete fognaria [2], o in tabella 4 per lo scarico sul suolo
1 |
Arsenico |
2 |
Cadmio |
3 |
Cromo totale |
4 |
Cromo esavalente |
5 |
Mercurio |
6 |
Nichel |
7 |
Piombo |
8 |
Rame |
9 |
Selenio |
10 |
Zinco |
11 |
Fenoli |
12 |
Oli minerali persistenti e idrocarburi di origine petrolifera persistenti |
13 |
Solventi organici aromatici |
14 |
Solventi organici azotati |
15 |
Composti organici alogenati (compresi i pesticidi clorurati) |
16 |
Pesticidi fosforiti |
17 |
Composti organici dello stagno |
18 |
Sostanze classificate contemporaneamente «cancerogene» (R45) e «pericolose per l'ambiente acquatico» (R50 e 51/53) ai sensi del decreto legislativo 3 febbraio 1997, n. 52, e successive modifiche |
[1] Per quanto riguarda gli scarichi in corpo idrico superficiale, nel caso di insediamenti produttivi aventi scarichi con una portata complessiva media giornaliera inferiore a 50 m3, per i parametri della tabella 5, ad eccezione di quelli indicati sotto i numeri 2, 4, 5, 7, 15, 16, 17 e 18 le regioni e le province autonome nell'àmbito dei piani di tutela, possono ammettere valori di concentrazione che superano di non oltre il 50% i valori indicati nella tabella 3, purché sia dimostrato che ciò non comporti un peggioramento della situazione ambientale e non pregiudica il raggiungimento gli obiettivi ambientali.
[2] Per quanto riguarda gli scarichi in fognatura, purché sia garantito che lo scarico finale della fognatura rispetti i limiti di tabella 3, o quelli stabiliti dalle regioni, l'ente gestore può stabilire per i parametri della tabella 5, ad eccezione di quelli indicati sotto i numeri 2, 4, 5, 7, 14, 15, 16 e 17, limiti di accettabilità i cui valori di concentrazione superano quello indicato in tabella 3.
Legge 7 febbraio 1992, n. 150
Disciplina dei reati relativi all'applicazione in Italia della convenzione sul commercio internazionale delle specie animali e vegetali in via di estinzione, firmata a Washington il 3 marzo1973, di cui alla legge 19 dicembre 1975, n. 874, e del regolamento (CEE) n. 3626/82, e successive modificazioni, nonché norme per la commercializzazione e la detenzione di esemplari vivi di mammiferi e rettili che possono costituire pericolo per la salute e l'incolumità pubblica.
Art. 1 - L. 150/92
[I] Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con l'arresto da sei mesi a due anni e con l'ammenda da euro quindicimila a euro centocinquantamila chiunque, in violazione di quanto previsto dal Regolamento (CE) n. 338/97 del Consiglio del 9 dicembre 1996, e successive attuazioni e modificazioni, per gli esemplari appartenenti alle specie elencate nell'allegato A del Regolamento medesimo e successive modificazioni (*):
a) importa, esporta o riesporta esemplari, sotto qualsiasi regime doganale, senza il prescritto certificato o licenza, ovvero con certificato o licenza non validi ai sensi dell'articolo 11, comma 2a, del Regolamento (CE) n. 338/97 del Consiglio, del 9 dicembre 1996, e successive attuazioni e modificazioni;
b) omette di osservare le prescrizioni finalizzate all'incolumità degli esemplari, specificate in una licenza o in un certificato rilasciati in conformità al Regolamento (CE) n. 338/97 del Consiglio, del 9 dicembre 1996, e successive attuazioni e modificazioni e del Regolamento (CE) n. 939/97 della Commissione, del 26 maggio 1997, e successive modificazioni;
c) utilizza i predetti esemplari in modo difforme dalle prescrizioni contenute nei provvedimenti autorizzativi o certificativi rilasciati unitamente alla licenza di importazione o certificati successivamente;
d) trasporta o fa transitare, anche per conto terzi, esemplari senza la licenza o il certificato prescritti, rilasciati in conformità del Regolamento (CE) n. 338/97 del Consiglio, del 9 dicembre 1996, e successive attuazioni e modificazioni e del Regolamento (CE) n. 939/97 della Commissione, del 26 maggio 1997, e successive modificazioni e, nel caso di esportazione o riesportazione da un Paese terzo parte contraente della Convenzione di Washington, rilasciati in conformità della stessa, ovvero senza una prova sufficiente della loro esistenza;
e) commercia piante riprodotte artificialmente in contrasto con le prescrizioni stabilite in base all'articolo 7, paragrafo 1, lettera b), del Regolamento (CE) n. 338/97 del Consiglio, del 9 dicembre 1996, e successive attuazioni e modificazioni e del Regolamento (CE) n. 939/97 della Commissione, del 26 maggio 1997 e successive modificazioni;
f) detiene, utilizza per scopi di lucro, acquista, vende, espone o detiene per la vendita o per fini commerciali, offre in vendita o comunque cede esemplari senza la prescritta documentazione.
[II] In caso di recidiva, si applica la pena dell'arresto da uno a tre anni e dell'ammenda da euro trentamila a euro trecentomila. Qualora il reato suddetto sia commesso nell'esercizio di attività di impresa, alla condanna consegue la sospensione della licenza da un minimo di sei mesi ad un massimo di due anni. (*)
[III] L'importazione, l'esportazione o la riesportazione di oggetti personali o domestici derivati da esemplari di specie indicate nel comma 1, in violazione delle disposizioni del Regolamento (CE) n. 939/97 della Commissione, del 26 maggio 1997, e successive modificazioni, è punita con la sanzione amministrativa da euro seimila a euro trentamila. Gli oggetti introdotti illegalmente sono confiscati dal Corpo forestale dello Stato, ove la confisca non sia disposta dall'Autorità giudiziaria (*).
(*) Articolo inserito o novellato ex L. 68/2015 (in vigore dal 29 maggio 2015).
Art. 2 - L. 150/92
[I] Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con l'ammenda da euro ventimila a euro duecentomila o con l'arresto da sei mesi ad un anno, chiunque, in violazione di quanto previsto dal Regolamento (CE) n. 338/97 del Consiglio, del 9 dicembre 1996, e successive attuazioni e modificazioni, per gli esemplari appartenenti alle specie elencate negli allegati B e C del Regolamento medesimo e successive modificazioni (*):
a) importa, esporta o riesporta esemplari, sotto qualsiasi regime doganale, senza il prescritto certificato o licenza, ovvero con certificato o licenza non validi ai sensi dell'articolo 11, comma 2a, del Regolamento (CE) n. 338/97 del Consiglio, del 9 dicembre 1996, e successive attuazioni e modificazioni;
b) omette di osservare le prescrizioni finalizzate all'incolumità degli esemplari, specificate in una licenza o in un certificato rilasciati in conformità al Regolamento (CE) n. 338/97 del Consiglio, del 9 dicembre 1996, e successive attuazioni e modificazioni, e del Regolamento (CE) n. 939/97 della Commissione, del 26 maggio 1997, e successive modificazioni;
c) utilizza i predetti esemplari in modo difforme dalle prescrizioni contenute nei provvedimenti autorizzativi o certificativi rilasciati unitamente alla licenza di importazione o certificati successivamente;
d) trasporta o fa transitare, anche per conto terzi, esemplari senza licenza o il certificato prescritti, rilasciati in conformità del Regolamento (CE) n. 338/97 del Consiglio, del 9 dicembre 1996, e successive attuazioni e modificazioni, e del Regolamento (CE) n. 939/97 della Commissione, del 26 maggio 1997, e successive modificazioni e, nel caso di esportazione o riesportazione da un Paese terzo parte contraente della Convenzione di Washington, rilasciati in conformità della stessa, ovvero senza una prova sufficiente della loro esistenza;
e) commercia piante riprodotte artificialmente in contrasto con le prescrizioni stabilite in base all'articolo 7, paragrafo 1, lettera b), del Regolamento (CE) n. 338/97 del Consiglio, del 9 dicembre 1996, e successive attuazioni e modificazioni, e del Regolamento (CE) n. 939/97 della Commissione, del 26 maggio 1997, e successive modificazioni;
f) detiene, utilizza per scopi di lucro, acquista, vende, espone o detiene per la vendita o per fini commerciali, offre in vendita o comunque cede esemplari senza la prescritta documentazione, limitatamente alle specie di cui all'allegato B del Regolamento.
[II] In caso di recidiva, si applica la pena dell'arresto da sei mesi a diciotto mesi e dell'ammenda da euro ventimila a euro duecentomila. Qualora il reato suddetto sia commesso nell'esercizio di attività di impresa, alla condanna consegue la sospensione della licenza da un minimo di sei mesi ad un massimo di diciotto mesi (*).
[III] L'introduzione nel territorio nazionale, l'esportazione o la riesportazione dallo stesso di oggetti personali o domestici relativi a specie indicate nel comma 1, in violazione delle disposizioni del Regolamento (CE) n. 939/97 della Commissione, del 26 maggio 1997, e successive modificazioni, è punita con la sanzione amministrativa da euro tremila a euro quindicimila. Gli oggetti introdotti illegalmente sono confiscati dal Corpo forestale dello Stato, ove la confisca non sia disposta dall'Autorità giudiziaria (*).
[IV] Salvo che il fatto costituisca reato, chiunque omette di presentare la notifica di importazione, di cui all'articolo 4, paragrafo 4, del Regolamento (CE) n. 939/97, del Consiglio, del 9 dicembre 1996, e successive attuazioni e modificazioni, ovvero il richiedente che omette di comunicare il rigetto di una domanda di licenza o di certificato in conformità dell'articolo 6, paragrafo 3, del citato Regolamento, è punito con la sanzione amministrativa da euro tremila a euro quindicimila (*).
[V] L'autorità amministrativa che riceve il rapporto previsto dall'articolo 17, primo comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689, per le violazioni previste e punite dalla presente legge, è il servizio CITES del Corpo forestale dello Stato (*).
(*) Articolo inserito o novellato ex L. 68/2015 (in vigore dal 29 maggio 2015).
Art. 3-Bis - L. 150/92
[I] Alle fattispecie previste dall'articolo 16, paragrafo 1, lettere a), c), d), e), ed l), del Regolamento (CE) n. 338/97 del Consiglio, del 9 dicembre 1996 (*), e successive modificazioni, in materia di falsificazione o alterazione di certificati, licenze, notifiche di importazione, dichiarazioni, comunicazioni di informazioni al fine di acquisizione di una licenza o di un certificato, di uso di certificati o licenze falsi o alterati si applicano le pene di cui al libro II, titolo VII, capo III del codice penale.
[II] In caso di violazione delle norme del decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43 , le stesse concorrono con quelle di cui agli articoli 1, 2 e del presente articolo.
(*) Cfr. Regolamento (CE) n. 338/97 del Consiglio, del 9 dicembre 1996 - relativo alla protezione di specie della flora e della fauna selvatiche mediante il controllo del loro commercio; che si riporta in calce al presente articolo.
Art. 6. - L. 150/92
[I] Fatto salvo quanto previsto dalla legge 11 febbraio 1993, n. 157, è vietato a chiunque detenere esemplari vivi di mammiferi e rettili di specie selvatica ed esemplari vivi di mammiferi e rettili provenienti da riproduzioni in cattività che costituiscano pericolo per la salute e per l'incolumità pubblica.
...[comma IV] Chiunque contravviene alle disposizioni di cui al comma 1 è punito con l'arresto fino a sei mesi o con l'ammenda da euro quindicimila a euro trecentomila. (*)
(*) Articolo novellato ex L. 68/2015 (in vigore dal 29 maggio 2015).
Legge 28 dicembre 1993, n. 549 - Misure a tutela dell'ozono stratosferico e dell'ambiente
Art. 3 L.549/93 - Cessazione e riduzione dell'impiego delle sostanze lesive.
[I] La produzione, il consumo, l'importazione, l'esportazione, la detenzione e la commercializzazione delle sostanze lesive di cui alla tabella A allegata alla presente legge sono regolati dalle disposizioni di cui al regolamento (CE) n. 3093/94.
[II] A decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge è vietata l'autorizzazione di impianti che prevedano l'utilizzazione delle sostanze di cui alla tabella A allegata alla presente legge, fatto salvo quanto disposto dal regolamento (CE) n. 3093/94.
[III] Con decreto del Ministro dell'ambiente, di concerto con il Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato, sono stabiliti, in conformità alle disposizioni ed ai tempi del programma di eliminazione progressiva di cui al regolamento (CE) n. 3093/94, la data fino alla quale è consentito l'utilizzo di sostanze di cui alla tabella A, allegata alla presente legge, per la manutenzione e la ricarica di apparecchi e di impianti già venduti ed installati alla data di entrata in vigore della presente legge, ed i tempi e le modalità per la cessazione dell'utilizzazione delle sostanze di cui alla tabella B, allegata alla presente legge, e sono altresì individuati gli usi essenziali delle sostanze di cui alla tabella B, relativamente ai quali possono essere concesse deroghe a quanto previsto dal presente comma. La produzione, l'utilizzazione, la commercializzazione, l'importazione e l'esportazione delle sostanze di cui alle tabelle A e B allegate alla presente legge cessano il 31 dicembre 2008, fatte salve le sostanze, le lavorazioni e le produzioni non comprese nel campo di applicazione del regolamento (CE) n. 3093/94, secondo le definizioni ivi previste. (1)
[IV] L'adozione di termini diversi da quelli di cui al comma 3, derivati dalla revisione in atto del regolamento (CE) n. 3093/94, comporta la sostituzione dei termini indicati nella presente legge ed il contestuale adeguamento ai nuovi termini.
[V] Le imprese che intendono cessare la produzione e la utilizzazione delle sostanze di cui alla tabella B allegata alla presente legge prima dei termini prescritti possono concludere appositi accordi di programma con i Ministeri dell'industria, del commercio e dell'artigianato e dell'ambiente, al fine di usufruire degli incentivi di cui all'art. 10, con priorità correlata all'anticipo dei tempi di dismissione, secondo le modalità che saranno fissate con decreto del Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato, d'intesa con il Ministro dell'ambiente.
[comma VI] Chiunque violi le disposizioni di cui al presente articolo, è punito con l'arresto fino a due anni e con l'ammenda fino al triplo del valore delle sostanze utilizzate per fini produttivi, importate o commercializzate. Nei casi più gravi, alla condanna consegue la revoca dell'autorizzazione o della licenza in base alla quale viene svolta l'attività costituente illecito.
D.Lgs 6 novembre 2007 n. 202. - Attuazione della direttiva 2005/35/CE - relativa all'inquinamento provocato dalle navi e conseguenti sanzioni.
Art. 1 D.lgs 202/07 - Finalità
[I]. Al fine di aumentare la sicurezza marittima e di migliorare la protezione dell'ambiente marino dall'inquinamento provocato dalle navi, il presente decreto prevede il divieto di scarico delle sostanze inquinanti di cui all'articolo 2, comma 1, lettera b), nelle aree individuate all'articolo 3, comma 1, ed introduce adeguate sanzioni in caso di violazione degli obblighi previsti.
Art. 2 D.lgs 202/07 - Definizioni
[I]. Ai fini del presente decreto si intende per:
a) «Convenzione Marpol 73/78»: la Convenzione internazionale del 1973 per la prevenzione dell'inquinamento causato dalle navi e il relativo protocollo del 1978;
b) «sostanze inquinanti»: le sostanze inserite nell'allegato I (idrocarburi) e nell'allegato II (sostanze liquide nocive trasportate alla rinfusa) alla Convenzione Marpol 73/78, come richiamate nell'elenco di cui all'allegato A alla legge 31 dicembre 1982, n. 979, aggiornato dal decreto del Ministro della marina mercantile 6 luglio 1983, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 229 del 22 agosto 1983;
c) «scarico»: ogni immissione in mare comunque proveniente da una nave di cui all'articolo 2 della Convenzione Marpol 73/78;
d) «nave»: un natante di qualsiasi tipo comunque operante nell'ambiente marino e battente qualsiasi bandiera, compresi gli aliscafi, i veicoli a cuscino d'aria, i sommergibili, i galleggianti, le piattaforme fisse e galleggianti;
e) «Convenzione sul diritto del Mare»: Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, firmata a Montego Bay, il 10 dicembre 1982.
Art. 3 D.lgs 202/07 - Ambito di applicazione
[I] Le disposizioni del presente decreto si applicano agli scarichi in mare delle sostanze inquinanti di cui all'articolo 2, comma 1, lettera b), provenienti dalle navi battenti qualsiasi bandiera effettuati:
a) nelle acque interne, compresi i porti, nella misura in cui e' applicabile il regime previsto dalla Convenzione Marpol 73/78;
b) nelle acque territoriali;
c) negli stretti utilizzati per la navigazione internazionale e soggetti al regime di passaggio di transito, come specificato nella parte III, sezione 2, della Convenzione delle Nazioni Unite del 1982 sul diritto del mare;
d) nella zona economica esclusiva o in una zona equivalente istituita ai sensi del diritto internazionale e nazionale;
e) in alto mare.
[II] Le disposizioni del presente decreto non si applicano alle navi militari da guerra o ausiliarie e alle navi possedute o gestite dallo Stato, solo se impiegate per servizi governativi e non commerciali.
Art. 4 D.lgs 202/07 - Divieti
[I] Fatto salvo quanto previsto all'art. 5, nelle aree di cui all'articolo 3, comma 1, e' vietato alle navi, senza alcuna discriminazione di nazionalità, versare in mare le sostanze inquinanti di cui all'articolo 2, comma 1, lettera b), o causare lo sversamento di dette sostanze.
Art. 5 D.lgs 202/07 - Deroghe
[I] Lo scarico di sostanze inquinanti di cui all'articolo 2, comma 1, lettera b), in una delle aree di cui all'articolo 3, comma 1, e' consentito se effettuato nel rispetto delle condizioni di cui all'allegato I, norme 15, 34, 4.1 o 4.3 o all'allegato II, norme 13, 3.1 o 3.3 della Convenzione Marpol 73/78.
[II] Lo scarico di sostanze inquinanti di cui all'articolo 2, comma 1, lettera b), nelle aree di cui all'articolo 3, comma 1, lettere c), d) ed e), e' consentito al proprietario, al comandante o all'equipaggio posto sotto la responsabilita' di quest'ultimo, se effettuato nel rispetto delle condizioni di cui all'allegato I, norma 4.2, o all'allegato II, norma 3.2 della Convenzione Marpol 73/78.
Art. 8 D.lgs 202/07 - Inquinamento doloso
[I] Salvo che il fatto costituisca più grave reato, il Comandante di una nave, battente qualsiasi bandiera, nonche' i membri dell'equipaggio, il proprietario e l'armatore della nave, nel caso in cui la violazione sia avvenuta con il loro concorso, che dolosamente violano le disposizioni dell'art. 4 sono puniti con l'arresto da sei mesi a due anni e con l'ammenda da euro 10.000 ad euro 50.000.
[II] Se la violazione di cui al comma 1 causa danni permanenti o, comunque, di particolare gravita', alla qualita' delle acque, a specie animali o vegetali o a parti di queste, si applica l'arresto da uno a tre anni e l'ammenda da euro 10.000 ad euro 80.000.
[III] Il danno si considera di particolare gravità quando l'eliminazione delle sue conseguenze risulta di particolare complessità sotto il profilo tecnico, ovvero particolarmente onerosa o conseguibile solo con provvedimenti eccezionali.
Art. 9 D.lgs 202/07 - Inquinamento colposo
[I] Salvo che il fatto costituisca più grave reato, il Comandante di una nave, battente qualsiasi bandiera, nonchè i membri dell'equipaggio, il proprietario e l'armatore della nave, nel caso in cui la violazione sia avvenuta con la loro cooperazione, che violano per colpa le disposizioni dell'art. 4, sono puniti con l'ammenda da euro 10.000 ad euro 30.000.
[II] Se la violazione di cui al comma 1 causa danni permanenti o, comunque, di particolare gravita', alla qualita' delle acque, a specie animali o vegetali o a parti di queste, si applica l'arresto da sei mesi a due anni e l'ammenda da euro 10.000 ad euro 30.000.
[III] Il danno si considera di particolare gravità quando l'eliminazione delle sue conseguenze risulta di particolare complessità sotto il profilo tecnico, ovvero particolarmente onerosa o conseguibile solo con provvedimenti eccezionali.
Regolamento (CE) n. 338/97 del Consiglio, del 9 dicembre 1996 - relativo alla protezione di specie della flora e della fauna selvatiche mediante il controllo del loro commercio
Art.16 - Sanzioni
[I] Gli Stati membri adottano i provvedimenti adeguati per garantire che siano irrogate sanzioni almeno per le seguenti violazioni del presente regolamento:
a) introduzione di esemplari nella Comunità ovvero esportazione o riesportazione dalla stessa, senza il prescritto certificato o licenza ovvero con certificato o licenza falsi, falsificati o non validi, ovvero alterati senza l'autorizzazione dell'organo che li ha rilasciati;
c) falsa dichiarazione oppure comunicazione di informazioni scientemente false al fine di conseguire una licenza o un certificato;
d ) uso di una licenza o certificato falsi, falsificati o non validi, ovvero alterati senza autorizzazione, come mezzo per conseguire una licenza o un certificato comunitario ovvero per qualsiasi altro scopo rilevante ai sensi del presente regolamento;
e) omessa o falsa notifica all'importazione;
1) falsificazione o alterazione di qualsiasi licenza o certificato rilasciati in conformità del presente regolamento;
- Giurisprudenza:
· Nei reati colposi l'interesse e/o il vantaggio vanno letti, nella prospettiva patrimoniale dell'ente, come risparmio di risorse economiche conseguente alla mancata predisposizione dello strumentario di sicurezza ovvero come incremento economico conseguente all'aumento della produttività non ostacolata dal pedissequo rispetto della normativa prevenzionale. Cassazione penale, sez. IV, del 23/06/2015, n. 31003.
· E' legittimo il sequestro preventivo per equivalente disposto sui beni immobili di una Srl responsabile, ex art. 25-undecies del D.Lgs 231/2001, della realizzazione di una discarica non autorizzata a condizione che la somma sequestrata corrisponda al profitto conseguito dall'impresa nel non aver sostenuto i costi per il corretto smaltimento dei rifiuti (la Corte ha precisato che non è invece consentito il sequestro per equivalente del profitto rappresentato dalla mancata spesa necessaria per la bonifica dell'area). Cass. pen. Sez. III, 05/02/2014, n. 13859; Rivista231.it.
· In materia di responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni private, i soggetti collettivi privati, con o senza personalità giudica, ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 1390 e 1391 c.c., 5 e 6 d.lgs. n. 231/2001, sono responsabili sul piano amministrativo per i reati (quali sono quelli in materia di rifiuti ed inquinamento) commessi nel loro interesse o vantaggio da persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell'ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale, nonché da persone che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dello stesso. Tale responsabilità, che si fonda sul rapporto di immedesimazione organica del rappresentante nell'ente rappresentato, può essere evitata solo con la prova, da parte dello stesso ente, dell'adozione di misure organizzative e funzionali di precauzione, di controllo e di prudenza. T.A.R. Trento - Trentino Alto Adige, sez. I, 2 novembre 2011, n. 275.
· In tema di prevenzione dell'inquinamento causato da navi, a seguito dell'entrata in vigore, avvenuta il 2 ottobre 1983, della convenzione internazionale conclusa a Londra il 2 novembre 1973 (c.d. Marpol) e ratificata dall'Italia con l. 29 settembre 1980 n. 662 nonché del protocollo adottato a Londra il 17 febbraio 1978 e della relativa legge di adesione 4 giugno 1982 n. 438 vincolanti per tutti gli Stati aderenti - in virtù dello specifico dettato dall'art. 1 della convenzione e dell'art. 1 del protocollo del 1978 - alle condotte precedentemente vietate dalla l. 13 dicembre 1982 n. 979 sono succedute - per il richiamo operato dall'art. 17 di quest'ultima normativa (n. 979 del 1982) - quelle previste dalla convenzione e dal protocollo, che sono più favorevoli in quanto nel rispetto di determinate condizioni consentono lo scarico in mare, che è, invece, sempre vietato dalla legge nazionale. Ne deriva che le sanzioni di cui alla l. n. 979 del 1982 sono inapplicabili, quando la normativa internazionale viene osservata; mentre sono configurabili, in base all'art. 4 della convenzione, qualora quest'ultima disciplina è violata. Cassazione Penale, sez. III, n. 612 del 19.11.1996
· La convenzione Marpol 73/1978, in vigore in Italia dal 1983, contiene i requisiti minimi per gli Stati contraenti: pertanto, le norme contenute nella l. 31 dicembre 1982 n. 979, che prevedono per le navi italiane requisiti antinquinamento più rigorosi rispetto a quelli stabiliti dalla convenzione internazionale non sono caducate per effetto di quest'ultima. Cassazione penale, sez. III, n. 11209 del 22.09.1995
Art. 25-Duodecies
Impiego di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare (I)
* * *
1. In relazione alla commissione del delitto di cui all'articolo 22, comma 12-bis, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, si applica all'ente la sanzione pecuniaria da 100 a 200 quote, entro il limite di 150.000 euro.
(I) Art. 2, Decreto legislativo n. 109 del 16 luglio 2012 (in vigore dal 9 agosto 2012), rubricato: "Attuazione della direttiva 2009/52/CE che introduce norme minime relative a sanzioni e a provvedimenti nei confronti di datori di lavoro che impiegano cittadini di Paesi terzi il cui soggiorno e' irregolare".
Decreto Legislativo 25 luglio 1998, n. 286
"Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero"
Art. 22. Lavoro subordinato a tempo determinato e indeterminato.
[I] In ogni provincia è istituito presso la prefettura-ufficio territoriale del Governo uno sportello unico per l'immigrazione, responsabile dell'intero procedimento relativo all'assunzione di lavoratori subordinati stranieri a tempo determinato ed indeterminato.
[II] Il datore di lavoro italiano o straniero regolarmente soggiornante in Italia che intende instaurare in Italia un rapporto di lavoro subordinato a tempo determinato o indeterminato con uno straniero residente all'estero deve presentare, previa verifica, presso il centro per l'impiego competente, della indisponibilità di un lavoratore presente sul territorio nazionale, idoneamente documentata, allo sportello unico per l'immigrazione della provincia di residenza ovvero di quella in cui ha sede legale l'impresa, ovvero di quella ove avrà luogo la prestazione lavorativa:
a) richiesta nominativa di nulla osta al lavoro;
b) idonea documentazione relativa alle modalità di sistemazione alloggiativa per il lavoratore straniero;
c) la proposta di contratto di soggiorno con specificazione delle relative condizioni, comprensiva dell'impegno al pagamento da parte dello stesso datore di lavoro delle spese di ritorno dello straniero nel Paese di provenienza;
d) dichiarazione di impegno a comunicare ogni variazione concernente il rapporto di lavoro.
[III] Nei casi in cui non abbia una conoscenza diretta dello straniero, il datore di lavoro italiano o straniero regolarmente soggiornante in Italia può richiedere, presentando la documentazione di cui alle lettere b) e c) del comma 2, il nulla osta al lavoro di una o più persone iscritte nelle liste di cui all'articolo 21, comma 5, selezionate secondo criteri definiti nel regolamento di attuazione.
[IV] [Lo sportello unico per l'immigrazione comunica le richieste di cui ai commi 2 e 3 al centro per l'impiego di cui all'articolo 4 del decreto legislativo 23 dicembre 1997, n. 469, competente in relazione alla provincia di residenza, domicilio o sede legale. Il centro per l'impiego provvede a diffondere le offerte per via telematica agli altri centri ed a renderle disponibili su sito INTERNET o con ogni altro mezzo possibile ed attiva gli eventuali interventi previsti dall'articolo 2 del decreto legislativo 21 aprile 2000, n. 181. Decorsi venti giorni senza che sia stata presentata alcuna domanda da parte di lavoratore nazionale o comunitario, anche per via telematica, il centro trasmette allo sportello unico richiedente una certificazione negativa, ovvero le domande acquisite comunicandole altresì al datore di lavoro. Ove tale termine sia decorso senza che il centro per l'impiego abbia fornito riscontro, lo sportello unico procede ai sensi del comma 5.] Comma abrogato dall' art. 9, co. VII, lett. b), D.L 28.6.2013, n. 76, convertito con modificazioni dalla L. 9.08.2013 n. 99.
[V] Lo sportello unico per l'immigrazione, nel complessivo termine massimo di sessanta giorni dalla presentazione della richiesta, a condizione che siano state rispettate le prescrizioni di cui al comma 2 e le prescrizioni del contratto collettivo di lavoro applicabile alla fattispecie, rilascia, in ogni caso, sentito il questore, il nulla osta nel rispetto dei limiti numerici, quantitativi e qualitativi determinati a norma dell'articolo 3, comma 4, e dell'articolo 21, e, a richiesta del datore di lavoro, trasmette la documentazione, ivi compreso il codice fiscale, agli uffici consolari, ove possibile in via telematica. Il nulla osta al lavoro subordinato ha validità per un periodo non superiore a sei mesi dalla data del rilascio.
[V-Bis] Il nulla osta al lavoro è rifiutato se il datore di lavoro risulti condannato negli ultimi cinque anni, anche con sentenza non definitiva, compresa quella adottata a seguito di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale, per:
a) favoreggiamento dell'immigrazione clandestina verso l'Italia e dell'emigrazione clandestina dall'Italia verso altri Stati o per reati diretti al reclutamento di persone da destinare alla prostituzione o allo sfruttamento della prostituzione o di minori da impiegare in attività illecite;
b) intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro ai sensi dell'articolo 603-bis del codice penale;
c) reato previsto dal comma 12.
[V-Ter] Il nulla osta al lavoro è, altresì, rifiutato ovvero, nel caso sia stato rilasciato, è revocato se i documenti presentati sono stati ottenuti mediante frode o sono stati falsificati o contraffatti ovvero qualora lo straniero non si rechi presso lo sportello unico per l'immigrazione per la firma del contratto di soggiorno entro il termine di cui al comma 6, salvo che il ritardo sia dipeso da cause di forza maggiore. La revoca del nulla osta è comunicata al Ministero degli affari esteri tramite i collegamenti telematici.
[VI] Gli uffici consolari del Paese di residenza o di origine dello straniero provvedono, dopo gli accertamenti di rito, a rilasciare il visto di ingresso con indicazione del codice fiscale, comunicato dallo sportello unico per l'immigrazione. Entro otto giorni dall'ingresso, lo straniero si reca presso lo sportello unico per l'immigrazione che ha rilasciato il nulla osta per la firma del contratto di soggiorno che resta ivi conservato e, a cura di quest'ultimo, trasmesso in copia all'autorità consolare competente ed al centro per l'impiego competente.
[VII] [Il datore di lavoro che omette di comunicare allo sportello unico per l'immigrazione qualunque variazione del rapporto di lavoro intervenuto con lo straniero, è punito con la sanzione amministrativa da 500 a 2.500 euro. Per l'accertamento e l'irrogazione della sanzione è competente il prefetto] Comma abrogato dalla lettera c) del comma 1 dell'art. 1, D.Lgs. 16 luglio 2012, n. 109..
[IIX] Salvo quanto previsto dall'articolo 23, ai fini dell'ingresso in Italia per motivi di lavoro, il lavoratore extracomunitario deve essere munito del visto rilasciato dal consolato italiano presso lo Stato di origine o di stabile residenza del lavoratore.
[IX] Le questure forniscono all'INPS e all'INAIL, tramite collegamenti telematici, le informazioni anagrafiche relative ai lavoratori extracomunitari ai quali è concesso il permesso di soggiorno per motivi di lavoro, o comunque idoneo per l'accesso al lavoro, e comunicano altresì il rilascio dei permessi concernenti i familiari ai sensi delle disposizioni di cui al titolo IV; l'INPS, sulla base delle informazioni ricevute, costituisce un «Archivio anagrafico dei lavoratori extracomunitari», da condividere con altre amministrazioni pubbliche; lo scambio delle informazioni avviene in base a convenzione tra le amministrazioni interessate. Le stesse informazioni sono trasmesse, in via telematica, a cura delle questure, all'ufficio finanziario competente che provvede all'attribuzione del codice fiscale.
[X] Lo sportello unico per l'immigrazione fornisce al Ministero del lavoro e delle politiche sociali il numero ed il tipo di nulla osta rilasciati secondo le classificazioni adottate nei decreti di cui all'articolo 3, comma 4.
[XI] La perdita del posto di lavoro non costituisce motivo di revoca del permesso di soggiorno al lavoratore extracomunitario ed ai suoi familiari legalmente soggiornanti. Il lavoratore straniero in possesso del permesso di soggiorno per lavoro subordinato che perde il posto di lavoro, anche per dimissioni, può essere iscritto nelle liste di collocamento per il periodo di residua validità del permesso di soggiorno, e comunque, salvo che si tratti di permesso di soggiorno per lavoro stagionale, per un periodo non inferiore ad un anno ovvero per tutto il periodo di durata della prestazione di sostegno al reddito percepita dal lavoratore straniero, qualora superiore. Decorso il termine di cui al secondo periodo, trovano applicazione i requisiti reddituali di cui all'articolo 29, comma 3, lettera b). Il regolamento di attuazione stabilisce le modalità di comunicazione ai centri per l'impiego, anche ai fini dell'iscrizione del lavoratore straniero nelle liste di collocamento con priorità rispetto a nuovi lavoratori extracomunitari.
[XI-Bis] Lo straniero che ha conseguito in Italia il dottorato o il master universitario ovvero la laurea triennale o la laurea specialistica, alla scadenza del permesso di soggiorno per motivi di studio, può essere iscritto nell'elenco anagrafico previsto dall'articolo 4 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 7 luglio 2000, n. 442, per un periodo non superiore a dodici mesi, ovvero, in presenza dei requisiti previsti dal presente testo unico, può chiedere la conversione in permesso di soggiorno per motivi di lavoro.
[XII] Il datore di lavoro che occupa alle proprie dipendenze lavoratori stranieri privi del permesso di soggiorno previsto dal presente articolo, ovvero il cui permesso sia scaduto e del quale non sia stato chiesto, nei termini di legge, il rinnovo, revocato o annullato, e' punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa di 5000 euro per ogni lavoratore impiegato.
[comma XII-Bis] Le pene per il fatto previsto dal comma 12 sono aumentate da un terzo alla meta':
a) se i lavoratori occupati sono in numero superiore a tre;
b) se i lavoratori occupati sono minori in eta' non lavorativa;
c) se i lavoratori occupati sono sottoposti alle altre condizioni lavorative di particolare sfruttamento di cui al terzo
comma dell'articolo 603-bis del codice penale. (II)
[XII-Ter] Con la sentenza di condanna il giudice applica la sanzione amministrativa accessoria del pagamento del costo medio di rimpatrio del lavoratore straniero assunto illegalmente. (II)
[XII-Quater] Nelle ipotesi di particolare sfruttamento lavorativo di cui al comma 12-bis, è rilasciato dal questore, su proposta o con il parere favorevole del procuratore della Repubblica, allo straniero che abbia presentato denuncia e cooperi nel procedimento penale instaurato nei confronti del datore di lavoro, un permesso di soggiorno ai sensi dell'articolo 5, comma 6.(III)
[XII-Quinquies] Il permesso di soggiorno di cui al comma 12-quater ha la durata di sei mesi e può essere rinnovato per un anno o per il maggior periodo occorrente alla definizione del procedimento penale. Il permesso di soggiorno è revocato in caso di condotta incompatibile con le finalità dello stesso, segnalata dal procuratore della Repubblica o accertata dal questore, ovvero qualora vengano meno le condizioni che ne hanno giustificato il rilascio. (III)
[XIII] Salvo quanto previsto per i lavoratori stagionali dall'articolo 25, comma 5, in caso di rimpatrio il lavoratore extracomunitario conserva i diritti previdenziali e di sicurezza sociale maturati e può goderne indipendentemente dalla vigenza di un accordo di reciprocità al verificarsi della maturazione dei requisiti previsti dalla normativa vigente, al compimento del sessantacinquesimo anno di età, anche in deroga al requisito contributivo minimo previsto dall'articolo 1, comma 20, della legge 8 agosto 1995, n. 335.
[XIV] Le attribuzioni degli istituti di patronato e di assistenza sociale, di cui alla legge 30 marzo 2001, n. 152, sono estese ai lavoratori extracomunitari che prestino regolare attività di lavoro in Italia.
[XV] I lavoratori italiani ed extracomunitari possono chiedere il riconoscimento di titoli di formazione professionale acquisiti all'estero; in assenza di accordi specifici, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sentita la commissione centrale per l'impiego, dispone condizioni e modalità di riconoscimento delle qualifiche per singoli casi. Il lavoratore extracomunitario può inoltre partecipare, a norma del presente testo unico, a tutti i corsi di formazione e di riqualificazione programmati nel territorio della Repubblica.
[XVI] Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano alle regioni a statuto speciale e alle province autonome di Trento e di Bolzano ai sensi degli statuti e delle relative norme di attuazione
(II) Articoli inseriti al dall'art. 2 Decreto legislativo n. 109 del 16 luglio 2012 (in vigore dal 9 agosto 2012), rubricato: "Attuazione della direttiva 2009/52/CE che introduce norme minime relative a sanzioni e a provvedimenti nei confronti di datori di lavoro che impiegano cittadini di Paesi terzi il cui soggiorno e' irregolare".
(III) Comma aggiunto dalla lettera b) del comma 1 dell'art. 1, D.Lgs. 16 luglio 2012, n. 109.
Illeciti ex 231 non inseriti nel corpus del decreto de quo
Reati Transnazionali– L. 146/2006
Ratifica ed esecuzione della Convenzione e dei Protocolli delle Nazioni Unite contro il crimine organizzato transnazionale, adottati dall'Assemblea generale il 15 novembre 2000 ed il 31 maggio 2001. L. 16-3-2006 n. 146 - Pubblicata nella Gazz. Uff. 11 aprile 2006, n. 85, S.O.
Art. 3 - L. 146/2006
Definizione di reato transnazionale
* * *
1. Ai fini della presente legge si considera reato transnazionale il reato punito con la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni, qualora sia coinvolto un gruppo criminale organizzato, nonchè:
a) sia commesso in più di uno Stato;
b) ovvero sia commesso in uno Stato, ma una parte sostanziale della sua preparazione, pianificazione, direzione o controllo avvenga in un altro Stato;
c) ovvero sia commesso in uno Stato, ma in esso sia implicato un gruppo criminale organizzato impegnato in attività criminali in più di uno Stato;
d) ovvero sia commesso in uno Stato ma abbia effetti sostanziali in un altro Stato.
Art. 10 - L. 146/2006
Responsabilità amministrativa degli enti
* * *
1. In relazione alla responsabilità amministrativa degli enti per i reati previsti dall'articolo 3, si applicano le disposizioni di cui ai commi seguenti.
2. Nel caso di commissione dei delitti previsti dagli articoli 416 e 416-bis del codice penale, dall'articolo 291-quater del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43, e dall'articolo 74 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, si applica all'ente la sanzione amministrativa pecuniaria da quattrocento a mille quote.
3. Nei casi di condanna per uno dei delitti indicati nel comma 2, si applicano all'ente le sanzioni interdittive previste dall'articolo 9, comma 2, del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, per una durata non inferiore ad un anno.
4. Se l'ente o una sua unità organizzativa viene stabilmente utilizzato allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione dei reati indicati nel comma 2, si applica all'ente la sanzione amministrativa dell'interdizione definitiva dall'esercizio dell'attività ai sensi dell'articolo 16, comma 3, del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231.
5. [Nel caso di reati concernenti il riciclaggio, per i delitti di cui agli articoli 648-bis e 648-ter del codice penale, si applica all'ente la sanzione amministrativa pecuniaria da duecento a ottocento quote] (Abrogato - I).
6. [Nei casi di condanna per i reati di cui al comma 5 del presente articolo si applicano all'ente le sanzioni interdittive previste dall'articolo 9, comma 2, del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, per una durata non superiore a due anni] (Abrogato - II).
7. Nel caso di reati concernenti il traffico di migranti, per i delitti di cui all'articolo 12, commi 3, 3-bis, 3-ter e 5, del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni, si applica all'ente la sanzione amministrativa pecuniaria da duecento a mille quote.
8. Nei casi di condanna per i reati di cui al comma 7 del presente articolo si applicano all'ente le sanzioni interdittive previste dall'articolo 9, comma 2, del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, per una durata non superiore a due anni.
9. Nel caso di reati concernenti intralcio alla giustizia, per i delitti di cui agli articoli 377-bis e 378 del codice penale, si applica all'ente la sanzione amministrativa pecuniaria fino a cinquecento quote.
10. Agli illeciti amministrativi previsti dal presente articolo si applicano le disposizioni di cui al decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231.
(I) Comma abrogato dall'art. 64, D.Lgs 21 novembre 2007, n. 231
(II)Comma abrogato dall'art. 64, D.Lgs 21 novembre 2007, n. 231
- Normativa di riferimento:
416 c.p. Associazione per delinquere
[I]. Quando tre o più persone si associano allo scopo di commettere più delitti, coloro che promuovono o costituiscono od organizzano l'associazione sono puniti, per ciò solo, con la reclusione da tre a sette anni.
[II]. Per il solo fatto di partecipare all'associazione, la pena è della reclusione da uno a cinque anni.
[III]. I capi soggiacciono alla stessa pena stabilita per i promotori.
[IV]. Se gli associati scorrono in armi le campagne o le pubbliche vie, si applica la reclusione da cinque a quindici anni.
[V]. La pena è aumentata se il numero degli associati è di dieci o più.
[VI]. Se l'associazione è diretta a commettere taluno dei delitti di cui agli articoli 600, 601 e 602, nonché all'articolo 12, comma 3-bis, del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 si applica la reclusione da cinque a quindici anni nei casi previsti dal primo comma e da quattro a nove anni nei casi previsti dal secondo comma
[VII] Se l'associazione è diretta a commettere taluno dei delitti previsti dagli articoli 600-bis, 600-ter, 600-quater, 600-quater.1, 600-quinquies, 609-bis, quando il fatto è commesso in danno di un minore di anni diciotto, 609-quater, 609-quinquies, 609-octies, quando il fatto è commesso in danno di un minore di anni diciotto, e 609-undecies, si applica la reclusione da quattro a otto anni nei casi previsti dal primo comma e la reclusione da due a sei anni nei casi previsti dal secondo comma
416-Bis c.p. Associazioni di tipo mafioso anche straniere
[I]. Chiunque fa parte di un'associazione di tipo mafioso formata da tre o più persone, è punito con la reclusione da dieci a quindici anni.
[II]. Coloro che promuovono, dirigono o organizzano l'associazione sono puniti, per ciò solo, con la reclusione da dodici a diciotto anni.
[III]. L'associazione è di tipo mafioso quando coloro che ne fanno parte si avvalgono della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva per commettere delitti, per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici o per realizzare profitti o vantaggi ingiusti per sé o per altri, ovvero al fine di impedire od ostacolare il libero esercizio del voto o di procurare voti a sé o ad altri in occasione di consultazioni elettorali.
[IV]. Se l'associazione è armata si applica la pena della reclusione da dodici a venti anni nei casi previsti dal primo comma e da dodici a ventiquattro anni nei casi previsti dal secondo comma.
[V]. L'associazione si considera armata quando i partecipanti hanno la disponibilità, per il conseguimento della finalità dell'associazione, di armi o materie esplodenti, anche se occultate o tenute in luogo di deposito.
[VI]. Se le attività economiche di cui gli associati intendono assumere o mantenere il controllo sono finanziate in tutto o in parte con il prezzo, il prodotto, o il profitto di delitti, le pene stabilite nei commi precedenti sono aumentate da un terzo alla metà.
[VII]. Nei confronti del condannato è sempre obbligatoria la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e delle cose che ne sono il prezzo, il prodotto, il profitto o che ne costituiscono l'impiego. [Decadono inoltre di diritto le licenze di polizia, di commercio, di commissionario astatore presso i mercati annonari all'ingrosso, le concessioni di acque pubbliche e i diritti ad esse inerenti nonché le iscrizioni agli albi di appaltatori di opere o di forniture pubbliche di cui il condannato fosse titolare] Parte soppressa dall'art. 36, co. II, L. 19.03.1990, n. 55, per la prevenzione della delinquenza di tipo mafioso e di altre gravi forme di pericolosità sociale, che ha inoltre disposto che «restano tuttavia ferme le decadenze di diritto ivi previste conseguenti a sentenze divenute irrevocabili anteriormente alla data di entrata in vigore della presente legge».
[VIII]. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche alla camorra, alla 'ndrangheta e alle altre associazioni, comunque localmente denominate, anche straniere, che valendosi della forza intimidatrice del vincolo associativo perseguono scopi corrispondenti a quelli delle associazioni di tipo mafioso.
D.P.R. 23-1-1973 n. 43
Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale.
Art. 291-Bis - D.P.R. 43/73 Contrabbando di tabacchi lavorati esteri
[I]. Chiunque introduce, vende, trasporta, acquista o detiene nel territorio dello Stato un quantitativo di tabacco lavorato estero di contrabbando superiore a dieci chilogrammi convenzionali è punito con la multa di euro 5 (lire diecimila) per ogni grammo convenzionale di prodotto, come definito dall'articolo 9 della legge 7 marzo 1985, n. 76, e con la reclusione da due a cinque anni.
[II]. I fatti previsti dal comma 1, quando hanno ad oggetto un quantitativo di tabacco lavorato estero fino a dieci chilogrammi convenzionali, sono puniti con la multa di euro 5 (lire diecimila) per ogni grammo convenzionale di prodotto e comunque in misura non inferiore a euro 516 (lire un milione).
Art. 291-Ter - D.P.R. 43/73 - Circostanze aggravanti del delitto di contrabbando di tabacchi lavorati esteri.
[I]. Se i fatti previsti dall'articolo 291-bis sono commessi adoperando mezzi di trasporto appartenenti a persone estranee al reato, la pena è aumentata.
[II]. Nelle ipotesi previste dall'articolo 291-bis, si applica la multa di euro 25 (lire cinquantamila) per ogni grammo convenzionale di prodotto e la reclusione da tre a sette anni, quando:
a) nel commettere il reato o nei comportamenti diretti ad assicurare il prezzo, il prodotto, il profitto o l'impunità del reato, il colpevole faccia uso delle armi o si accerti averle possedute nell'esecuzione del reato;
b) nel commettere il reato o immediatamente dopo l'autore è sorpreso insieme a due o più persone in condizioni tali da frapporre ostacolo agli organi di polizia;
c) il fatto è connesso con altro reato contro la fede pubblica o contro la pubblica amministrazione;
d) nel commettere il reato l'autore ha utilizzato mezzi di trasporto, che, rispetto alle caratteristiche omologate, presentano alterazioni o modifiche idonee ad ostacolare l'intervento degli organi di polizia ovvero a provocare pericolo per la pubblica incolumità;
e) nel commettere il reato l'autore ha utilizzato società di persone o di capitali ovvero si è avvalso di disponibilità finanziarie in qualsiasi modo costituite in Stati che non hanno ratificato la Convenzione sul riciclaggio, la ricerca, il sequestro e la confisca dei proventi di reato, fatta a Strasburgo l'8 novembre 1990, ratificata e resa esecutiva ai sensi della legge 9 agosto 1993, n. 328, e che comunque non hanno stipulato e ratificato convenzioni di assistenza giudiziaria con l'Italia aventi ad oggetto il delitto di contrabbando.
[III]. La circostanza attenuante prevista dall'articolo 62-bis del codice penale, se concorre con le circostanze aggravanti di cui alle lettere a) e d) del comma 2 del presente articolo, non può essere ritenuta equivalente o prevalente rispetto a esse e la diminuzione di pena si opera sulla quantità di pena risultante dall'aumento conseguente alle predette aggravanti
Art. 291-Quater - D.P.R. 43/73 Associazione per delinquere finalizzata al contrabbando di tabacchi lavorati esteri
[I]. Quando tre o più persone si associano allo scopo di commettere più delitti tra quelli previsti dall'articolo 291-bis, coloro che promuovono, costituiscono, dirigono, organizzano o finanziano l'associazione sono puniti, per ciò solo, con la reclusione da tre a otto anni.
[II]. Chi partecipa all'associazione è punito con la reclusione da un anno a sei anni.
[III]. La pena è aumentata se il numero degli associati è di dieci o più.
[IV]. Se l'associazione è armata ovvero se ricorrono le circostanze previste dalle lettere d) od e) del comma 2 dell'articolo 291-ter, si applica la pena della reclusione da cinque a quindici anni nei casi previsti dal comma 1 del presente articolo, e da quattro a dieci anni nei casi previsti dal comma 2. L'associazione si considera armata quando i partecipanti hanno la disponibilità, per il conseguimento delle finalità dell'associazione, di armi o materie esplodenti, anche se occultate o tenute in luogo di deposito.
[V]. Le pene previste dagli articoli 291-bis, 291-ter e dal presente articolo sono diminuite da un terzo alla metà nei confronti dell'imputato che, dissociandosi dagli altri, si adopera per evitare che l'attività delittuosa sia portata ad ulteriori conseguenze anche aiutando concretamente l'autorità di polizia o l'autorità giudiziaria nella raccolta di elementi decisivi per la ricostruzione dei fatti e per l'individuazione o la cattura degli autori del reato o per la individuazione di risorse rilevanti per la commissione dei delitti. (I)
(I) Articolo aggiunto dall'art. 1, L. 19 marzo 2001, n. 92. Cfr. anche, l'art. 10,L.16 marzo 2006, n. 146.
Art. 74. Testo Unico sulla droga - D.P.R. , testo coordinato 09.10.1990 n° 309 , G.U. 31.10.1990
Associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope
[I]. Quando tre o piu' persone si associano allo scopo di commettere piu' delitti tra quelli previsti dall'articolo 70, COMMI 4, 6 e 10 escluse le operazioni relative alle sostanze di cui alla categoria III dell' allegato I al regolamento (CE) n. 273/2004 e dell'allegato al regolamento n. 111/2005, ovvero dall' articolo 73, chi promuove, costituisce, dirige, organizza o finanzia l'associazione e' punito per cio' solo con la reclusione non inferiore a venti anni.
[II]. Chi partecipa all'associazione e' punito con la reclusione non inferiore a dieci anni.
[III]. La pena e' aumentata se il numero degli associati e' di dieci o piu' o se tra i partecipanti vi sono persone dedite all'uso di sostanze stupefacenti o psicotrope.
[IV]. Se l'associazione e' armata la pena, nei casi indicati dai commi 1 e 3, non puo' essere inferiore a ventiquattro anni di reclusione e, nel caso previsto dal comma 2, a dodici anni di reclusione.
L'associazione si considera armata quando i partecipanti hanno la disponibilita' di armi o materie esplodenti, anche se occultate o tenute in luogo di deposito.
[V] La pena e' aumentata se ricorre la circostanza di cui alla lettera e) del comma 1 dell'articolo 80.
[VI]. Se l'associazione e' costituita per commettere i fatti descritti dal comma 5 dell'articolo 73, si applicano il primo e il secondo comma dell'articolo 416 del codice penale.
[VII]. Le pene previste dai commi da 1 a 6 sono diminuite dalla meta' a due terzi per chi si sia efficacemente adoperato per assicurare le prove del reato o per sottrarre all'associazione risorse decisive per la commissione dei delitti.
[VIII]. Quando in leggi e decreti e' richiamato il reato previsto dall'articolo 75 della legge 22 dicembre 1975, n. 685, abrogato dall'articolo 38, comma 1, della legge 26 giugno 1990, n. 162, il richiamo si intende riferito al presente articolo.
Decreto Legislativo 25 luglio 1998, n. 286
"Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero"
Art. 12. Disposizioni contro le immigrazioni clandestine (L.6 marzo 1998, n. 40, art. 10).
[I]. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, in violazione delle disposizioni del presente testo unico, promuove, dirige, organizza, finanzia o effettua il trasporto di stranieri nel territorio dello Stato ovvero compie altri atti diretti a procurarne illegalmente l'ingresso nel territorio dello Stato, ovvero di altro Stato del quale la persona non è cittadina o non ha titolo di residenza permanente, è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa di 15.000 euro per ogni persona.
[II]. Fermo restando quanto previsto dall'articolo 54 del codice penale, non costituiscono reato le attività di soccorso e assistenza umanitaria prestate in Italia nei confronti degli stranieri in condizioni di bisogno comunque presenti nel territorio dello Stato.
[III]. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, in violazione delle disposizioni del presente testo unico, promuove, dirige, organizza, finanzia o effettua il trasporto di stranieri nel territorio dello Stato ovvero compie altri atti diretti a procurarne illegalmente l'ingresso nel territorio dello Stato, ovvero di altro Stato del quale la persona non è cittadina o non ha titolo di residenza permanente, è punito con la reclusione da cinque a quindici anni e con la multa di 15.000 euro per ogni persona nel caso in cui:
a) il fatto riguarda l'ingresso o la permanenza illegale nel territorio dello Stato di cinque o più persone;
b) la persona trasportata è stata esposta a pericolo per la sua vita o per la sua incolumità per procurarne l'ingresso o la permanenza illegale;
c) la persona trasportata è stata sottoposta a trattamento inumano o degradante per procurarne l'ingresso o la permanenza illegale;
d) il fatto è commesso da tre o più persone in concorso tra loro o utilizzando servizi internazionali di trasporto ovvero documenti contraffatti o alterati o comunque illegalmente ottenuti;
e) gli autori del fatto hanno la disponibilità di armi o materie esplodenti.
[III-bis]. Se i fatti di cui al comma 3 sono commessi ricorrendo due o più delle ipotesi di cui alle lettere a), b), c), d) ed e) del medesimo comma, la pena ivi prevista è aumentata.
[III-ter]. La pena detentiva è aumentata da un terzo alla metà e si applica la multa di 25.000 euro per ogni persona se i fatti di cui ai commi 1 e 3:
a) sono commessi al fine di reclutare persone da destinare alla prostituzione o comunque allo sfruttamento sessuale o lavorativo ovvero riguardano l'ingresso di minori da impiegare in attività illecite al fine di favorirne lo sfruttamento;
b) sono commessi al fine di trarne profitto, anche indiretto.
[...V]. Fuori dei casi previsti dai commi precedenti, e salvo che il fatto non costituisca più grave reato, chiunque, al fine di trarre un ingiusto profitto dalla condizione di illegalità dello straniero o nell'ambito delle attività punite a norma del presente articolo, favorisce la permanenza di questi nel territorio dello Stato in violazione delle norme del presente testo unico, è punito con la reclusione fino a quattro anni e con la multa fino a euro 15.493 (lire trantamilioni). Quando il fatto è commesso in concorso da due o più persone, ovvero riguarda la permanenza di cinque o più persone, la pena è aumentata da un terzo alla metà.
377-Bis c.p. Induzione a non rendere dichiarazioni o a rendere dichiarazioni mendaci all'autorità giudiziaria.
[I]. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, con violenza o minaccia, o con offerta o promessa di denaro o di altra utilità, induce a non rendere dichiarazioni o a rendere dichiarazioni mendaci la persona chiamata a rendere davanti alla autorità giudiziaria dichiarazioni utilizzabili in un procedimento penale, quando questa ha la facoltà di non rispondere, è punito con la reclusione da due a sei anni.
378 c.p. Favoreggiamento personale
[I]. Chiunque, dopo che fu commesso un delitto per il quale la legge stabilisce la pena di morte o l'ergastolo o la reclusione, e fuori dei casi di concorso nel medesimo, aiuta taluno a eludere le investigazioni dell'autorità, comprese quelle svolte da organi della Corte penale internazionale, o a sottrarsi alle ricerche effettuate dai medesimi soggetti, è punito con la reclusione fino a quattro anni
[II]. Quando il delitto commesso è quello previsto dall'art. 416-bis, si applica, in ogni caso, la pena della reclusione non inferiore a due anni.
[III]. Se si tratta di delitti per i quali la legge stabilisce una pena diversa, ovvero di contravvenzioni, la pena è della multa fino a euro 516.
[IV]. Le disposizioni di questo articolo si applicano anche quando la persona aiutata non è imputabile o risulta che non ha commesso il delitto.
Illeciti ex 231 non inseriti nel corpus del decreto de quo
Codice dell’Ambiente- D.Lgs 152/2006
* * *
Art. 192 - L. 152/2006
Divieto di abbandono [di rifiuti]
* * *
1. L'abbandono e il deposito incontrollati di rifiuti sul suolo e nel suolo sono vietati.
2. È altresì vietata l'immissione di rifiuti di qualsiasi genere, allo stato solido o liquido, nelle acque superficiali e sotterranee.
3. Fatta salva l'applicazione della sanzioni di cui agli articoli 255 e 256, chiunque viola i divieti di cui ai commi 1 e 2 è tenuto a procedere alla rimozione, all'avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti ed al ripristino dello stato dei luoghi in solido con il proprietario e con i titolari di diritti reali o personali di godimento sull'area, ai quali tale violazione sia imputabile a titolo di dolo o colpa, in base agli accertamenti effettuati, in contraddittorio con i soggetti interessati, dai soggetti preposti al controllo. Il Sindaco dispone con ordinanza le operazioni a tal fine necessarie ed il termine entro cui provvedere, decorso il quale procede all'esecuzione in danno dei soggetti obbligati ed al recupero delle somme anticipate.
4. Qualora la responsabilità del fatto illecito sia imputabile ad amministratori o rappresentanti di persona giuridica ai sensi e per gli effetti del comma 3, sono tenuti in solido la persona giuridica ed i soggetti che siano subentrati nei diritti della persona stessa, secondo le previsioni del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, in materia di responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni.
Illeciti ex 231 non inseriti nel corpus del decreto de quo
TESTO UNICO FINANZA - D.LGS. 24.02.1998 N. 58
(in Suppl. ordinario n. 52 alla Gazz. Uff., 26 marzo, n. 71)
Art. 187-Quinquies - L. 58/98
Responsabilità dell'ente (*).
* * *
1. L'ente è responsabile del pagamento di una somma pari all'importo della sanzione amministrativa irrogata per gli illeciti di cui al presente capo commessi nel suo interesse o a suo vantaggio:
a) da persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell'ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria o funzionale nonché da persone che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dello stesso;
b) da persone sottoposte alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti di cui alla lettera a).
2. Se, in seguito alla commissione degli illeciti di cui al comma 1, il prodotto o il profitto conseguito dall'ente è di rilevante entità, la sanzione è aumentata fino a dieci volte tale prodotto o profitto.
3. L'ente non è responsabile se dimostra che le persone indicate nel comma 1 hanno agito esclusivamente nell'interesse proprio o di terzi.
4. In relazione agli illeciti di cui al comma 1 si applicano, in quanto compatibili, gli articoli 6, 7, 8, e 12 del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231. Il Ministero della giustizia formula le osservazioni di cui all'articolo 6 del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, sentita la CONSOB, con riguardo agli illeciti previsti dal presente titolo.
(*) Articolo inserito dall'articolo 9, comma II, L. 18.04.2005, n. 62 (Legge comunitaria 2004).
- Normativa di riferimento:
TESTO UNICO FINANZA - D.LGS. 24.02.1998 N. 58
(in Suppl. ordinario n. 52 alla Gazz. Uff., 26 marzo, n. 71). - Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, ai sensi degli articoli 8 e 21 della L. 6.02.1996, n. 52
TITOLO I-BIS
CAPO III
Art. 187-Bis D.lgs 58/98 - Abuso di informazioni privilegiate (*)
[I]. Salve le sanzioni penali quando il fatto costituisce reato, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro centomila a euro quindici milioni chiunque, essendo in possesso di informazioni privilegiate in ragione della sua qualità di membro di organi di amministrazione, direzione o controllo dell'emittente, della partecipazione al capitale dell'emittente, ovvero dell'esercizio di un'attività lavorativa, di una professione o di una funzione, anche pubblica, o di un ufficio:
a) acquista, vende o compie altre operazioni, direttamente o indirettamente, per conto proprio o per conto di terzi su strumenti finanziari utilizzando le informazioni medesime;
b) comunica informazioni ad altri, al di fuori del normale esercizio del lavoro, della professione, della funzione o dell'ufficio;
c) raccomanda o induce altri, sulla base di esse, al compimento di taluna delle operazioni indicate nella lettera a) (**).
[II]. La stessa sanzione di cui al comma 1 si applica a chiunque essendo in possesso di informazioni privilegiate a motivo della preparazione o esecuzione di attività delittuose compie taluna delle azioni di cui al medesimo comma 1.
[III]. Ai fini del presente articolo per strumenti finanziari si intendono anche gli strumenti finanziari di cui all'articolo1, comma 2, il cui valore dipende da uno strumento finanziario di cui all'articolo 180, comma 1, lettera a).
[IV]. La sanzione prevista al comma 1 si applica anche a chiunque, in possesso di informazioni privilegiate, conoscendo o potendo conoscere in base ad ordinaria diligenza il carattere privilegiato delle stesse, compie taluno dei fatti ivi descritti.
[V]. Le sanzioni amministrative pecuniarie previste dai commi 1, 2 e 4 sono aumentate fino al triplo o fino al maggiore importo di dieci volte il prodotto o il profitto conseguito dall'illecito quando, per le qualità personali del colpevole ovvero per l'entità del prodotto o del profitto conseguito dall'illecito, esse appaiono inadeguate anche se applicate nel massimo.
[VI]. Per le fattispecie previste dal presente articolo il tentativo è equiparato alla consumazione.
(*) Articolo inserito dall'articolo 7 del D.Lgs 11 aprile 2002, n. 61 e, successivamente, sostituito dall'articolo 9, comma 2, della legge 18 aprile 2005, n. 62 (Legge comunitaria 2004).
(**) L'importo della sanzione amministrativa prevista dal presente comma è così elevato a norma dell'articolo 39, comma 3, della legge 28 dicembre 2005, n. 262.
Art. 187-Ter D.lgs 58/98 - Manipolazione del mercato (*)
[I]. Salve le sanzioni penali quando il fatto costituisce reato, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro centomila a euro venticinque milioni chiunque, tramite mezzi di informazione, compreso INTERNET o ogni altro mezzo, diffonde informazioni, voci o notizie false o fuorvianti che forniscano o siano suscettibili di fornire indicazioni false ovvero fuorvianti in merito agli strumenti finanziari (**).
[II]. Per i giornalisti che operano nello svolgimento della loro attività professionale la diffusione delle informazioni va valutata tenendo conto delle norme di autoregolamentazione proprie di detta professione, salvo che tali soggetti traggano, direttamente o indirettamente, un vantaggio o un profitto dalla diffusione delle informazioni.
[III]. Salve le sanzioni penali quando il fatto costituisce reato, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria di cui al comma 1 chiunque pone in essere:
a) operazioni od ordini di compravendita che forniscano o siano idonei a fornire indicazioni false o fuorvianti in merito all'offerta, alla domanda o al prezzo di strumenti finanziari;
b) operazioni od ordini di compravendita che consentono, tramite l'azione di una o di più persone che agiscono di concerto, di fissare il prezzo di mercato di uno o più strumenti finanziari ad un livello anomalo o artificiale;
c) operazioni od ordini di compravendita che utilizzano artifizi od ogni altro tipo di inganno o di espediente;
d) altri artifizi idonei a fornire indicazioni false o fuorvianti in merito all'offerta, alla domanda o al prezzo di strumenti finanziari.
[IV]. Per gli illeciti indicati al comma 3, lettere a) e b), non può essere assoggettato a sanzione amministrativa chi dimostri di avere agito per motivi legittimi e in conformità alle prassi di mercato ammesse nel mercato interessato.
[V]. Le sanzioni amministrative pecuniarie previste dai commi precedenti sono aumentate fino al triplo o fino al maggiore importo di dieci volte il prodotto o il profitto conseguito dall'illecito quando, per le qualità personali del colpevole, per l'entità del prodotto o del profitto conseguito dall'illecito ovvero per gli effetti prodotti sul mercato, esse appaiono inadeguate anche se applicate nel massimo.
[VI]. Il Ministero dell'economia e delle finanze, sentita la CONSOB ovvero su proposta della medesima, può individuare, con proprio regolamento, in conformità alle disposizioni di attuazione della direttiva 2003/6/CE adottate dalla Commissione europea, secondo la procedura di cui all'articolo 17, paragrafo 2, della stessa direttiva, le fattispecie, anche ulteriori rispetto a quelle previste nei commi precedenti, rilevanti ai fini dell'applicazione del presente articolo.
[VII]. La CONSOB rende noti, con proprie disposizioni, gli elementi e le circostanze da prendere in considerazione per la valutazione dei comportamenti idonei a costituire manipolazioni di mercato, ai sensi della direttiva 2003/6/CE e delle disposizioni di attuazione della stessa (***).
(*) Articolo inserito dall'articolo 9, comma II, L. 18.04.2005, n. 62 (Legge comunitaria 2004).
(**) L'importo della sanzione amministrativa prevista dal presente comma è così elevato a norma dell'articolo 39, comma III, L. 28.12.2005, n. 262
(***) Per l'adozione del Regolamento recante norme di attuazione del presente decreto, in materia di mercati, vedi ora la Deliberazione CONSOB 29.10.2007, n. 16191.
Art. 187-Quater D.lgs 58/98 - Sanzioni Amministrative accessorie (*)
[I]. L'applicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie previste dal presente capo importa la perdita temporanea dei requisiti di onorabilità per gli esponenti aziendali ed i partecipanti al capitale dei soggetti abilitati, delle società di gestione del mercato, nonché per i revisori e i promotori finanziari e, per gli esponenti aziendali di società quotate, l'incapacità temporanea ad assumere incarichi di amministrazione, direzione e controllo nell'ambito di società quotate e di società appartenenti al medesimo gruppo di societa' quotate.
[II]. La sanzione amministrativa accessoria di cui al comma 1 ha una durata non inferiore a due mesi e non superiore a tre anni.
[III]. Con il provvedimento di applicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie previste dal presente capo la CONSOB, tenuto conto della gravità della violazione e del grado della colpa, può intimare ai soggetti abilitati, alle società di gestione del mercato, agli emittenti quotati e alle società di revisione di non avvalersi, nell'esercizio della propria attività e per un periodo non superiore a tre anni, dell'autore della violazione, e richiedere ai competenti ordini professionali la temporanea sospensione del soggetto iscritto all'ordine dall'esercizio dell'attività professionale.
(*) Articolo inserito dall'articolo 9, comma II, L. 18.04.2005, n. 62 (Legge comunitaria 2004).
Art. 26
Delitti tentati
* * *
1. Le sanzioni pecuniarie e interdittive sono ridotte da un terzo alla metà in relazione alla commissione, nelle forme del tentativo, dei delitti indicati nel presente capo del decreto.
2. L'ente non risponde quando volontariamente impedisce il compimento dell'azione o la realizzazione dell'evento.
- Relazione Ministeriale al Decreto:
12.2: Non sussistono dubbi sulla necessità di prevedere che la responsabilità amministrativa dell'ente debba essere estesa anche alle ipotesi di reato tentato.
...Nel delineare la disciplina, il Governo ha ritenuto di doverla caratterizzare in modo diverso da quella penale per quanto concerne le ipotesi di recesso attivo. L'ultimo comma dell'articolo 56 del codice penale prevede, in questo caso, una sensibile riduzione di pena, mentre il Governo è dell'avviso che debba essere esclusa la "punibilità" dell'ente. Questa scelta è intimamente collegata alla filosofia preventiva che percorre trasversalmente l'intero decreto legislativo. Come si ricorderà, alle condotte riparatorie, che si atteggiano come "controvalore" rispetto all'offesa e che, quindi, si muovono in direzione della tutela del bene protetto, è stata riconosciuta un'efficacia attenuante rispetto al carico sanzionatorio pecuniario, mentre escludono l'applicazione delle sanzioni interdittive. Nel tentativo, come è noto, il bene protetto viene posto in pericolo: di conseguenza, l'ente che volontariamente impedisce l'azione o la realizzazione dell'evento compie una inequivocabile scelta di campo in favore della legalità, disinnescando la fonte di rischio o comunque impedendo che la stessa sprigioni definitivamente i suoi effetti dannosi. Qui la contro-azione dell'ente è tempestiva ed interna alla dinamica del fatto e ne scongiura la consumazione. Il bisogno di pena che, nel caso delle condotte riparatorie successive al reato risulta attenuato, nel caso del recesso attivo viene completamente meno. La scelta di non far rispondere l'ente costituisce quindi, la conferma di un sistema di responsabilità estremamente dosato, che esclude o gradua la risposta sanzionatoria in funzione dell'intensità e della tempestività con le quali si assicura la salvaguardia del bene protetto. Se la responsabilità è attenuata in presenza di un post-fatto che reintegra per quanto possibile l'offesa, a maggior ragione deve essere esclusa quando ricorre un'azione che impedisce lo stesso accadimento dell'illecito.
Non è stata dettata alcuna disposizione con riguardo alla "desistenza volontaria", sul presupposto, ormai unanimemente condiviso, della sostanziale superfluità di cui è intrisa la norma dell'articolo 56, secondo capoverso, del codice penale: che l'ente quindi, nel caso in questione, non debba rispondere, se non limitatamente agli atti compiuti a condizione che costituiscano un reato per il quale sia prevista la sua responsabilità, è agevolmente ricavabile sul piano dell'interpretazione e dei principi.
- Giurisprudenza:
· La responsabilità degli enti per i reati commessi nel loro interesse o vantaggio sussiste, ai sensi dell'art. 26 D.Lgs. n. 231 del 2001, anche quando gli stessi reati vengono consumati solo nelle forme del tentativo. (Fattispecie relativa al reato "presupposto" di truffa ai danni dello Stato). -Annulla senza rinvio, Trib. lib. Milano, 26 giugno 2008-. Cass. pen., sez. V, n. 7718 del 13 gennaio 2009, Rv. 242567, CED Cass. pen. 2009.
RESPONSABILITA' PATRIMONIALE E VICENDE MODIFICATIVE DELL'ENTE
Responsabilità patrimoniale dell'ente
Art. 27
Responsabilità patrimoniale dell'ente
* * *
1. Dell'obbligazione per il pagamento della sanzione pecuniaria risponde soltanto l'ente con il suo patrimonio o con il fondo comune. (1)
2. I crediti dello Stato derivanti degli illeciti amministrativi dell'ente relativi a reati hanno privilegio secondo le disposizioni del codice di procedura penale sui crediti di